Lettera al nuovo presidente della Repubblica

Sergio Mattarella è stato eletto Presidente della Repubblica da un parlamento eletto in base ad una legge dichiarata incostituzionale e su proposta di un Presidente del Consiglio che ha fatto dello smantellamento dei diritti di chi lavora il baricentro del suo governo. Potrà essere il garante della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare?


Lettera al nuovo presidente della Repubblica

Sergio Mattarella è stato eletto Presidente della Repubblica da un parlamento eletto in base ad una legge dichiarata incostituzionale e su proposta di un Presidente del Consiglio che ha fatto dello smantellamento dei diritti di chi lavora il baricentro del suo governo. Potrà essere il garante della Costituzione della Repubblica fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare?

L’elezione del Presidente della Repubblica è un momento altamente simbolico: viene scelta la figura istituzionale più alta e rappresentativa. Colui che deve garantire l’equilibrio tra i poteri dello stato in base ai principi fondamentali della Costituzione.

Ma se i simboli devono avere una base di verità, chiediamo innanzitutto al nuovo Presidente se la realtà rispecchia quei principi. Proviamo a fissare alcuni punti, pro-memoria.

A partire da questa stessa elezione. Questa volta infatti il Presidente della Repubblica è stato scelto da un parlamento eletto in base a una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Perché, nonostante questa incostituzionalità ampiamente riconosciuta e formalmente dichiarata rispetto alle regole con cui si è formato, il parlamento non è stato rapidamente sciolto, ridando così la parola alla “sovranità popolare” che secondo la Costituzione è alla base del potere politico e consentendo di rinnovare la rappresentanza parlamentare attraverso una legge elettorale costituzionale. No, quel parlamento è rimasto in carica e ha scelto il garante della legalità costituzionale. Un parlamento composto in modo incostituzionale ha eletto il garante della Costituzione.

Basterebbe riflettere su questo paradosso per capire quanta (e quale) strada è stata fatta dal momento della scrittura della Carta del 1948 ad oggi. A che grado di raffinatezza sono giunti i meccanismi utili a sabotare i principi fondamentali della Costituzione, ad impedirne in ogni modo l’attuazione.

Il paradosso, infatti, non è casuale ma è lo specchio del prevalere delle forze che hanno, da subito, potentemente agito per limitare, svuotare, vanificare il carattere potenzialmente dirompente dell’ordine politico capitalistico che era insito nella solennità dell’affermazione della sovranità che appartiene al popolo (inserita nel primo articolo della Carta).

Così come hanno agito in ogni modo per modificare e “riformare” il disegno costituzionale di un sistema rappresentativo che aveva il suo centro nelle assemblee parlamentari concepite come luogo di confronto e di contrasto politico perché rispecchianti tutta la complessità sociale, con le sue contraddizioni. Un parlamento forte e rappresentativo (quindi eletto su base proporzionale) e un governo dipendente dalle maggioranze parlamentari, così come deve esserlo rispetto alle contraddizioni e ai conflitti sociali riportati dalle posizioni politiche dei parlamentari.

Sin dagli anni ’50 le leggi-truffa hanno rappresentato le prime espressioni della volontà di svuotare e riscrivere questi principi democratici della Carta del ’48; un percorso avviato allora e che, in perfetta continuità, giunge fino ad oggi con gli ultimi sviluppi nelle “riforme istituzionali” messe in cantiere dal governo in carica. “Riforme” tutte miranti a comprimere gli spazi e l’efficacia della sovranità popolare e della sua rappresentanza parlamentare. Si rafforza la funzione del governo, dandogli sempre più la potestà legislativa in luogo del parlamento. Si arriva fino a concedergli pure la facoltà di decidere l’ordine del giorno dei lavori parlamentari, stabilendo quali disegni di legge approvare. Si svuota la funzione assembleare del parlamento composto dai rappresentanti del popolo, si riduce il parlamento a una camera di ratificazione dell’azione governativa. Può accettare tutto questo il garante della Costituzione?

Non parliamo di aspetti secondari della nostra Costituzione, ci stiamo riferendo all’articolo 1 della Carta, il primo perché ritenuto il più urgente, essenziale, inalienabile. Quello che stabilisce che “la sovranità appartiene al popolo”, ma prima ancora proclama che la Repubblica è fondata sul lavoro, e forse tra le due cose c’è un nesso piuttosto stretto, se è vero che il popolo è composto, per lo più, da lavoratori.

Questo vorremmo chiedere al nuovo Presidente: qual è oggi il rispetto, l’effettività, non diciamo di tutta la Costituzione nel suo insieme, ma almeno del suo articolo 1?

La conquista dei diritti di chi lavora non si esaurisce certamente con la scrittura di un articolo di legge, per quanto importante e fondamentale sia quella legge. E infatti ci sono voluti decenni per dare un inizio di attuazione alle norme costituzionali in materia di lavoro; decenni di lotte senza le quali le affermazioni di principio potevano rimanere nell’ambito della bella letteratura. Così, sono state scritte negli anni ’60 e ’70 le leggi fondamentali di un possibile stato sociale, di una ragionevole tutela del lavoro, fino a tappe importanti del percorso, tra tutte lo Statuto dei Lavoratori del 1970.

Così è stata data concretezza al carattere avanzato della nostra Costituzione, che non si limita a proclamare l’uguaglianza dei cittadini, come già tante costituzioni avevano fatto rimanendo lettera morta, ma sancisce che è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e la uguaglianza. Non uno stato neutrale, quindi, ma uno stato che deve operare fattivamente per rimuovere le differenze economiche e sociali.

Ma il percorso di lotta per l’attuazione di questi principi ha subito, come sappiamo, arresti e arretramenti, sconfitte e restaurazioni. Ciò nonostante, la lotta rimane sempre aperta, i principi sono ancora scritti, potrebbero ancora essere fatti valere.

Da che parte starà il nuovo Presidente? Dalla parte di chi vuole riprendere il filo di quel percorso, difendere, recuperare e riaffermare i principi costituzionali, o dalla parte di chi vuole definitivamente cancellarli o comunque renderli inefficaci?

Il Parlamento che lo ha eletto ed il capo del Governo che ne ha lanciato la candidatura hanno già detto con chiarezza da che parte stanno. Dalla parte di chi cancella i diritti del lavoro, sancisce la libertà di licenziare anche in modo illegittimo, condanna ogni lavoratore ad essere per sempre un precario strumento nelle mani dell’impresa. Di chi non riconosce la dignità dell’uomo, ma lo consegna al libero sfruttamento da parte del suo simile. Di chi smantella ogni servizio pubblico per affidare tutto al processo di mercificazione. Di chi propugna la centralità dell’impresa al posto di quella “inviolabile” della persona umana.

È difficile immaginare che il Presidente eletto da questo parlamento e da questo governo possa essere il garante di quella Costituzione che racconta tutta un’altra storia. E non per caso, ma perché è nata da una lotta popolare fondamentale, quella che ha sconfitto il nazi-fascismo, che ha unito la volontà di liberazione con la volontà di giustizia ed eguaglianza, affinchè la società non fosse più la stessa.

Quella lotta è ancora la nostra lotta; quella volontà è ancora viva ed operante.

Ne tenga conto Presidente.

31/01/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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