L’avvio del processo di pace Cuba-USA e il potere di menzogna dei nostri giornali

La stampa più servile e menzognera del mondo, quella italiana, ha nascosto da sempre la verità sul criminale bloqueo statunitense e sulla vicenda dei cinque eroi cubani. Ora quella stessa stampa cerca di presentare l’ammissione della sconfitta da parte di Obama come se fosse una sconfitta della rivoluzione cubana. 


L’avvio del processo di pace Cuba-USA e il potere  di menzogna dei nostri giornali

 

La stampa più servile e menzognera del mondo, quella italiana, ha nascosto da sempre la verità sul criminale bloqueo statunitense e sulla vicenda dei cinque eroi cubani. Ora quella stessa stampa cerca di presentare l’ammissione della sconfitta da parte di Obama come se fosse una sconfitta della rivoluzione cubana. 

di Raul Mordenti 

Come il benevolo lettore già sa, “La Città Futura” è nata soprattutto per cercare di contrastare il terribile potere borghese di mentire e di far credere alla menzogna, insomma il potere che il monopolio dei mass media garantisce alla classe dominante di poter dire – e di poter far credere! – che la merda profumi e che sia una buona cosa mangiarsela a colazione (per le masse, beninteso, non certo per lorsignori).
Di questo terribile potere di menzogna abbiamo avuto una riprova clamorosa in occasione dell’avvio (si tratta solo di un avvio) di un processo di pace fra gli Stati Uniti e Cuba.
Che cosa è successo in realtà?
E cosa ne ha detto la grande stampa italiana? 

È successo che gli Stati Uniti, dopo oltre mezzo secolo, hanno semplicemente riconosciuto la loro sconfitta, come hanno dovuto fare anni fa in Vietnam. Obama ha dichiarato testualmente: “Decenni di isolamento di Cuba da parte degli Usa non sono riusciti a realizzare il nostro obiettivo: oggi, come nel 1961, Cuba è governata dai Castro e dal Partito comunista.”
Il che non significa, ovviamente, che Obama sia diventato un rivoluzionario cubano; significa solo (e non è poco) che egli si impegna a combattere la rivoluzione con metodi meno infami del bloqueo, del terrorismo e dell’ingerenza negli affari interni di Cuba.
In realtà Obama nasconde, e non può non nascondere, che cosa effettivamente hanno fatto dal 1959 ad oggi gli Stati Uniti per “realizzare il loro obiettivo”: il furto da parte degli uomini del dittatore Batista di tutte le riserve auree della Banca di Cuba (mai restituite e depositate nelle banche USA), una invasione armata alla Baia dei Porci (aprile 1961) respinta dal popolo cubano in armi, decine e decine di attentati alla vita di Fidel Castro, una continua serie di atti terroristici a Cuba e di bombe sugli aerei cubani, foraggiata e organizzata direttamente dalla CIA (che ha ucciso 3.478 persone e – fra gli altri – il nostro concittadino Di Celmo) e perfino numerosi episodi di criminale guerra batteriologica e biologica (come nel 1981 l’epidemia di dengue emorragica, che provocò 300.000 casi, 158 morti fra cui 106 bambini), per non dire della continua “guerra mediatica” (radio e Tv della mafia cubano-americana puntate sull’isola) e dei massicci foraggiamenti a spie e controrivoluzionari di ogni tipo e in ogni parte del mondo, Italia compresa.
Ma la vera aggressione statunitense è la “guerra econonica” cioè l’embargo, che i cubani chiamano bloqueo.
Di cosa si tratta?
Gli articoli di Fabio Marcelli (http://www.lacittafutura.it/giornale/l-avvio-del-processo-di-pace-cuba-usa-e-il-potere-di-menzogna-dei-nostri-giornali.html) e Paquale Vecchiarelli (http://www.lacittafutura.it/mondo/america/breve-scheda-sul-blocco-commerciale-a-cuba.html) su “La Città Futura”  ne hanno già trattato, ma poiché la stampa padronale non ne ha mai parlato per cinquant’anni, e continua a non parlarne adesso, ci sembra giusto ripetere qui alcuni dati. 

Con una serie di leggi sempre più ostili e aggressive, iniziate il 3 febbraio 1962 (presidenza Kennedy) e culminate nella Legge Helms-Burton del 1996 (presidenza Clinton), gli Stati Uniti non solo hanno impedito qualsiasi rapporto economico e commerciale fra Cuba e gli USA e le imprese statunitense ma – comportandosi da veri padroni del mondo quali si sentono e sono – hanno proibito anche alle imprese di qualsiasi altro paese del mondo di commerciare con Cuba; chi osa disobbedire subisce la punizione di non poter avere più rapporti con gli USA. Insomma se una nave attracca in un porto cubano nessuna nave di quell’armatore potrà più attraccare in un porto statunitense, idem per gli aerei e le compagnie aeree; così anche l’aspirina, essendo la Bayer partecipata dal capitale USA, non può essere venduta a Cuba, e tale proibizione è particolarmente criminale nel caso dei medicinali, anche quelli salvavita o per i bambini. Questo vale anche per l’uso del dollaro come moneta delle transazioni internazionali, per il petrolio (di cui Cuba è povera), per il software, per i rapporti scientifici e culturali, per i macchinari e i pezzi di ricambio, e così via. In questo modo Cuba è costretta – nel migliore dei casi – a far fare alle merci che importa o che esporta un giro lunghissimo per il mondo, con un aggravio di spesa di circa il 30%, mentre il totale del danno arrecato all’economia della piccola isola è stato calcolato pari a 120.000 milioni di dollari. 

Si noti che il bloqueo rappresenta una violazione flagrante non solo del diritto internazionale ma anche della sovranità degli Stati che subiscono i diktat statunitensi; e infatti l’ONU ha condannato decine di volte il bloqueo, l’ultima volta nel 2013 con ben 188 voti a favore e solo 2 contrari (USA e Israele), perfino tre statarelli servi degli USA (Palau, Isole Marshall, Micronesia) che le volte precedenti avevano votato con i loro padroni, questa volta si sono astenuti, forse si sono vergognati. L’intento di questo crimine internazionale chiamato bloqueo è stato più volte chiarito dagli stessi governanti USA; così si legge in un documento del Dipartimento di Stato (a firma di L.D. Mallory): “la maggioranza dei cubani appoggia Castro (...) non esiste un’opposizione politica effettiva (...) l’unico mezzo prevedibile per alienare l’appoggio interno è attraverso il malcontento e la sfiducia basati sull’insoddisfazione e sulle difficoltà economiche (...) Si deve utilizzare subito qualunque mezzo concepibile per debilitare la vita economica di Cuba (...) La linea di azione che avrebbe maggiore impatto è quella di negare denaro e forniture a Cuba per diminuire i salari reali e monetari al fine di provocare fame e disperazione e l’abbattimento del Governo”. Criminali, ma almeno sinceri.
Noi non possiamo non domandarci: cosa sarebbe diventata l’economia socialista cubana senza la colossale taglia del bloqueo?
Senza l’incremento artificiale del 30% su ogni transazione?
Potendo disporre per lo sviluppo del paese e il benessere della popolazione dei 120.000 milioni di dollari sottratti dal bloqueo? 

Gli USA non possono tollerare che il socialismo significhi agli occhi delle masse (specie latinoamericane) un esempio praticabile di prosperità e giustizia, affinché le masse continuino ad obbedire al capitale il socialismo deve essere presentato loro come sinonimo di fame e miseria, ma poiché queste non sono affatto le conseguenze del socialismo cubano, ecco che fame e miseria debbono essere provocate artificialmente, dall’esterno, con ogni mezzo. Avete mai letto sulla nostra libera stampa queste informazioni sul bloqueo? Franco Venturini, in un fondo del “Corriere della sera” (del 18 dicembre) scrive: “Cinquant’anni di inimicizia e di embargo hanno aiutato (sic!) più che danneggiato il comunismo castrista, sono stati la sua stampella nei momenti difficili (...)”.
E bravo Venturini! Ecco allora spiegato come mai in tutti questi anni né lui né il “Corriere della sera” hanno mai detto una parola contro il bloqueo, anzi – per essere ancora più sicuri – non ne hanno mai dato notizia: era il loro modo di aiutare la Cuba di Fidel. 

Analogo discorso si dovrebbe fare (ma lo spazio ci manca) a proposito dei cinque eroi cubani: questi non sono affatto “spie” (come scrivono ora i giornali della menzogna, quelli stessi che hanno scrupolosamente taciuto sulla loro storia per ben sedici anni).
I cinque cubani si erano infiltrati nella mafia cubana di Miami e avevano poi denunciato al Governo degli Stati Uniti, tramite un passo ufficiale del Governo cubano (garantito in qualità di testimone dal Premio Nobel Gabriel Garcia Marquez), le attività terroristiche che si preparavano. La risposta del Governo nord-americano non è stata un ringraziamento e il conferimento di una medaglia al valore bensì la condanna dei cinque a centinaia di anni di carcere.
Come ha scritto il grande intellettuale nord-americano Noam Chomsky, in una pagina a pagamento del “New York Times”: “Si può essere incarcerati negli USA per aver combattuto il terrorismo? Sì, se si è combattuto il terrorismo organizzato dalla CIA”.
Avete mai letto una sola parola di questa vicenda sulla nostra stampa e nelle nostre TV in questi sedici anni?
“Il Corriere della sera”, dando notizia dell’accordo Cuba-USA (il 18 dicembre), riesce nell’impresa di non nominare neanche i cinque cubani (verificare per credere)! Dedica invece un commosso trafiletto, con foto, alla spia statunitense Alan Gross liberata da Cuba. Ora anche “Il Fatto” continua a nascondere la verità, pur essendo costretto a parlarne. Sorprendendosi che i cubani festeggino sulle piazze di tutta l’isola il ritorno dei loro cinque eroi, che realizza la promessa di Fidel del 2001 “Torneranno!”, Nuccio Ciconte scrive salomonicamente: “eroi o spie, dipende dai punti di vista" (“Il Fatto”, 19, dicembre 2014, p. 6).

In generale l’intento della stampa italiana, la più servile e menzognera del mondo, è presentare l’ammissione della sconfitta nordamericana fatta da Obama come una sconfitta della rivoluzione cubana.
Il titolo “Cuba: cade l’ultimo muro”, alludendo al muro di Berlino, nasconde il fatto che quel muro l’aveva costruito la Germania socialista contro l’Occidente, mentre il muro che finalmente comincia a crollare l’ha costruito l’Occidente contro Cuba socialista.
Dunque chi è che ha vinto?
Un giornalista di “Repubblica” che alcuni malvagi compagni hanno rinominato Omero Cia per la proverbiale obiettività delle sue corrispondenze da Cuba, cerca invano di celare il suo dolore dietro il più consunto gossip anticastrista: Fidel è talmente cattivo che vive in una fattoria che è “un fortino” dove – pensate un po’! – “se, per caso, qualcuno si ferma in meno di due minuti arriva la macchina della polizia. Prima chiedono i documenti, subito dopo danno l’ordine di sloggiare in fretta”, (invece, come è noto, davanti alla Casa Bianca o al Quirinale è facile parcheggiare).
Ma c’è di più: “tutti i pomeriggi verso le cinque Fidel Castro beve un grande bicchiere di spremuta d’arancia e mangia qualche sedano”, non solo, ma egli dispone anche del latte “tutti i giorni su un’isola dove per decenni tutti gli altri hanno bevuto solo quello in polvere che arrivava dall’Urss”; insomma tutto ciò è la riprova che Fidel “governava l’isola come un signorotto medievale cui ogni cosa era permessa”. (O. Ciai, Nella villa bunker di Fidel invisibille lìder maximo regista occulto della svolta, “La Repubblica”, 20 dicembre 2014, p. 12).
Bernardo Valli scrive (su “La Repubblica” del 22 dicembre) un articolo intitolato Cuba cerca un’altra utopia senza Fidel: “Raùl Castro amministra il fallimento del suo comunismo tropicale.” (p.1), e prosegue: “Raùl (...) è approdato a un pragmatismo che lo allontana dagli ideali e lo spinge a guardare al concreto. Vale a dire al dollaro”; e a proposito di Fidel: “Forse lo risentiremo. Non è escluso che parli ancora dalle rovine della rivoluzione.” (p.29).
Di quale rovine parla, di grazia, il signor Valli se la rivoluzione cubana, con la sua resistenza, ha costretto gli strapotenti Stati Uniti ad ammettere la loro sconfitta?
La conosciamo fin troppo bene questa storia: se la rivoluzione viene piegata e sconfitta costoro esultano, ma se la rivoluzione si consolida e avanza parlano del suo cedimento (in questo caso scrivono: “Addio alla révolucion!”) e la criticano “da sinistra”. Non mette neppure conto parlare degli echi di tipo estremistico di questa medesima posizione, di quei compagni che si dolgono e si proccupano per l’ipotesi (ahimé, solo un’ipotesi per ora) che il popolo cubano, con un regime equanime e giusto di scambi internazionali, possa pagare un po’ meno caro il suo sforzo eroico di costruire il socialismo. A costoro basti un vecchio adagio che dice che è troppo comodo fare gli eroi con il corpo degli altri (in realtà l’adagio vero è un po’ diverso, ma ci asteniamo dal citarlo ad verbum per i suoi insopportabili tratti omofobici).

In realtà Cuba non ha ceduto di un millimetro nella sua decisione collettiva di costruire il socialismo elaborando un modello cubano, sulla strada aperta da Fidel e dal Che e ora incarnata da Raùl e dalla giovane leadership che lo circonda, tutta nata e formatasi dopo il trionfo della rivoluzione. Se ne facciano tutti una ragione.

Ora la lotta continua perché il bloqueo (ripetiamolo: tuttora in vigore!) finisca davvero, e perché la solidarietà internazionalista continui ad accompagnare il cammino della rivoluzione cubana, fino alla vittoria.

 

Sitografia:

Per una storia del bloqueo e dei suoi danni, la richiesta cubana di condanna degli USA e le sue motivazioni giuridiche:

http://www.italia-cuba.it/cuba/storia/Demanda_del_pueblo_Cubano.htm

27/12/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Raul Mordenti

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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