A piedi sulla strada ferrata

Continua il viaggio sui tratti di ferrovia abbandonata. Tra tante sorprendenti scoperte e la conferma della mancanza di volontà politica di recupero e valorizzazione della ferrovia. Anche una frana è solo un’occasione, un pretesto in più per chiudere una linea. Già da prima era in atto il processo di svuotamento e dismissione.


A piedi sulla strada ferrata

Continua il viaggio sui tratti di ferrovia abbandonata. Tra tante sorprendenti scoperte e la conferma della mancanza di volontà politica di recupero e valorizzazione della ferrovia. Anche una frana è solo un’occasione, un pretesto in più per chiudere una linea. Già da prima era in atto il processo di svuotamento e dismissione.

di Claudio C.

Reportage/viaggio:

“CON L’ECO DEI TRENI”

Foto di Giuliano Guida, testi di Claudio C.

Giuliano ci accompagna alla stazione di Montereale dopo la notte trascorsa nel suo storico casello con mille aneddoti riguardanti la ferrovia. Riprendiamo la marcia. Percepiamo immediatamente l’immensità dell’opera architettonica davanti ai nostri occhi. L’imponente viadotto sul torrente Cellina è composto da 12 arcate con alla base colonne di pietre e alla sommità dei mattoncini rossi. Alla nostra sinistra incombono le Dolomiti friulane e alla destra un più moderno viadotto stradale permette l’attraversamento del fiume alle automobili. La nostra presenza è visibile a chilometri di distanza. Nascosto su una piccola altura, all’altra estremità del ponte, Stefano scatta con un teleobiettivo qualche fotografia particolare e suggestiva.

Più avanti ci raggiunge per conoscerci. Stefano cinquantenne di Travesio appassionato di arte fotografica e di ferrovia ci accoglie con un sorriso e un ringraziamento per quello che stiamo facendo. Una frase che abbiamo già sentito e continueremo a sentire più volte nel corso di questo viaggio e che ogni volta ci lascerà sempre orgogliosi ma anche increduli. Saremo noi invece, come con molti altri, a ringraziarlo per tutto quello che farà per noi. Sarà la nostra guardia del corpo a distanza, sostenendoci, trovandoci un alloggio ed infine invitandoci a cena a casa sua. “La ferrovia negli ultimi anni non funzionava bene, era poco frequentata perché gli orari non erano comodi. Nessuno però ha mai fatto nulla per incentivarne l’uso”. La zona ha un grande bacino di utenza, ci sono ciclisti, si fa parapendio, si tengono eventi sportivi mondiali e nazionali eppure la possibilità di giungere qui in treno non viene preventivata né tanto meno impiegata.” Una volta veniva molto utilizzato da studenti e pendolari, infatti sono proprio questi ultimi ad essere i più agguerriti per la riapertura. Io stesso lo usavo ai tempi della scuola, ho fatto incontri indimenticabili, ancora oggi ho amici conosciuti sulla littorina”. Ci fa intendere che la frana poteva essere prevista e che il deragliamento è apparso ben più grave di quello che in realtà è stato, come se qualcuno accogliesse quel tragico evento come una grazia divina. “Ci sono molte fabbriche e le merci, come indicano le direttive europee, dovrebbero essere trasportate su ferro”. Crede che il treno possa avere una funzione se si adotta una strategia integrata e differenziata, al servizio sia della popolazione locale che dei turisti, delle merci e per eventi sportivi e culturali. E’ consapevole che sarà dura raggiungere l’obiettivo perché in ballo ci sono forti interessi contrari ma tanta gente, comprese le amministrazioni locali, si stanno impegnando. Il suo è un velato ottimismo, una sana speranza. “Ogni anno, almeno per una volta, con un gruppo di amici prendiamo il treno, solo per il piacere di farlo e di ricordare gli anni passati. Ci fu quella volta che arrivati a Sacile restammo bloccati lì perché il ritorno fu soppresso e così fummo costretti ad un ritorno con mezzi di fortuna”.

Casette basse, orti coltivati e prato curato, passaggi a livello, tutto lascia pensare che siamo in arrivo a Maniago. La stazione è composta da tre binari, uno scalo merci, un vecchio serbatoio idrico per le locomotive a vapore, l’edificio un po’ cadente e diverse erbacce. Nel complesso ci appare meno curata delle precedenti. Un signore davanti a noi supera i binari, lo fermiamo e ci guida verso la piazza del comune. “Poche le corse al giorno ed in orari sbagliati, impossibile prendere le coincidenze per Udine e Pordenone. Prima quando i collegamenti erano buoni lo prendevo, ora ci sono solo le corriere ma i tempi di percorrenza sono più lunghi”.

Maniago è una cittadina di 12 mila abitanti famosa per la produzione delle coltellerie che fin dal medioevo furono prodotte qui sia per la posizione geografica che per la presenza di corsi d’acqua. Nel ‘900 la produzione artigianale viene sostituita da quella industriale, oggi sono parecchie le piccole e medie aziende. Il sindaco ci accoglie nel suo ufficio al primo piano. “Questa linea deve essere concepita come parte di una rete integrata di trasporti con collegamenti per tutta la regione e divenire una sorta di metropolitana leggera per Pordenone”. Ci parla dello studio di fattibilità commissionato dalla regione e della sua più grande preoccupazione, cioè che la Sacile-Gemona possa fare la fine della Pinanzo-Casarsa chiusa da trent’anni ed inutilizzata, un patrimonio pubblico perso. “Sono molte le scuole che sorgono lungo la pedemontana e quindi tanti i ragazzi che si spostano da un comune all’altro. Erano molti quelli che prendevano il treno ma ora con i bus i tempi sono maggiori e così sempre più si dirigono a Pordenone creando una vera emorragia per il territorio. Poi ci sono le tante aziende dei coltelli che hanno la necessità di trasportare i loro articoli destinati per l’80% all’esportazione. Abbiamo anche la pista ciclabile fvg 3 e la formula treno + bici potrebbe attrarre turisti”. Ci salutiamo con un ricordo personale, “la littorina era un fantastico luogo di conoscenza e socializzazione”.

Riprendiamo il cammino sotto un clima torrido ed afoso, è ancora diversa la strada ferrata da calpestare. Un esteso impianto fotovoltaico a terra sorge appena fuori la cittadina poi una grandissima fabbrica. Il cementificio Zillo, nel territorio comunale di Fanna, ha al suo interno un esteso scalo merci composto da diversi binari, peccato che il raccordo sia stato tagliato all’altezza del cancello di separazione con la ferrovia e lo scambio rimosso dal corretto tracciato. Sembra che l’opera sia stata finanziata con soldi pubblici e qualcuno dubita anche che sia mai entrata in funzione. Sarebbe servita ad eliminare i circa 100 camion al giorno che portavano i prodotti, oggi ridotti grosso modo a 30, diminuendo così l’inquinamento ed i rischi connessi alla gomma.

La vegetazione si fa leggermente più fitta ma questo non ci impedisce di andare avanti. La stazione di Fanna-Cavasso, che sembrerebbe più una fermata, è composta da un solo binario, l’erba è alta anche se il fabbricato appare decente e per la prima volta non troviamo una fontanella ad accoglierci. Usciamo così alla ricerca di acqua. La cortese signora del civico 29 ci apre il cancello della sua casa e, mentre facciamo rifornimento vicino a un rigoglioso orto, iniziamo a chiacchierare. “Il treno lo usavo per muovermi, quando i collegamenti erano congeniali andavo dai miei suoceri a Mestre, negli ultimi anni invece era impossibile prendere una coincidenza e così adoperavo la macchina”.

Il cippo chilometrico segna 38, siamo a metà percorso ed un albero di medie dimensioni è caduto sulle rotaie sbarrando l’intera sagoma. Siamo costretti a scavalcarlo. Il fiume Meduno lo oltrepassiamo grazie ad un ponte che ripropone in scala ridotta quello della mattina, subito dopo, appena la linea corre in trincea, giungiamo al famoso punto incriminato. E’ qui che alle ore 18.00 del 6 luglio 2012 avvenne lo smottamento, dovuto alle forti piogge, che provocò lo svio del Minutto 6046 e la sospensione della circolazione. L’argine è stato completamente rifatto con pietroni e con un muretto di cemento, per circa 100 metri sono state rimosse le traverse e le rotaie (probabilmente per consentire l’opera di recupero del materiale rotabile) che ora si trovano depositate ai lati del sedime pronte per essere riposizionate. La stazione di Meduno la raggiungiamo in breve tempo. I marciapiedi sono pieni di erba alta, i due binari non sono più collegati fra loro e lo scambio sembra essere stato rimosso di recente, il fabbricato non è in cattive condizioni, appare addirittura intonacato, infine notiamo i resti di un casotto demolito da poco. Giusto il tempo di una pausa e si rivà, spediti verso la fine della tappa. Al km 44 un casello in stato di abbandono e completamente avvolto dalla vegetazione cattura la nostra attenzione, poi l’entrata a Travesio che percepiamo essere stata una delle stazioni principali composta da due binari e tronchino di ricovero, scalo merci e piano caricatore ed una discreta estensione in lunghezza.

Un vero e proprio comitato di accoglienza ci aspetta sul marciapiede. Insieme a Stefano ed il figlio Francesco troviamo il sindaco con indosso la fascia tricolore, un ex assessore e un ferroviere che vive nell’edificio. La conversazione prende una lunga ed interessante piega. Travesio è un piccolo comune di 1500 abitanti, ottima base per visitare le montagne e fare escursioni, vanta inoltre una frazione inserita fra i borghi più belli d’Italia. “La ferrovia è un patrimonio pubblico pagato dai cittadini e se le FS non vogliono utilizzarla devono riconsegnarla ai comuni” ci dice il sindaco che consapevole dei costi di gestione crede sia necessario creare un’interazione fra i vari mezzi di trasporto al fine di garantire il servizio sia agli abitanti che ai turisti. “La frana è stata solo l’occasione, il pretesto per chiudere la linea, se non ci fosse stata sarebbe avvenuta lo stesso, magari piano piano ma già era in atto un processo di svuotamento e dismissione”. Gli interessi in gioco non sono pochi, la stessa società che effettua il trasporto su gomma è partecipata dalla provincia e da tutti i comuni che ottengono dividendi sugli utili. “E’ inutile spendere soldi per i borghi se poi diviene impossibile raggiungerli, la Regione dovrebbe investire maggiormente sui comuni di montagna”. Anche lui ci fa notare che gli studenti, principali utilizzatori, giungevano a scuola in ritardo a causa delle partenze non proprio in orari confacenti. “Da bambino andavo da mia nonna a Castelnuovo e nonostante fosse vicinissimo a me sembrava un viaggio interminabile; poi ricordo la comodità e la libertà che offriva muoversi con il treno”.

Il dipendente di RFI è un impiegato degli uffici di Udine, sindacalista della Cisl ed ex ausiliario proprio nella stazione di Travesio, ci fornisce qualche prezioso dato. “Nel 1983 lavoravano qua 110 ferrovieri e passavano 21 treni al giorno. Poi gli investimenti tecnologici, la linea trasformata in una a gestione remota con DCO e CCT, montate le sbarre ai passaggi a livello, siamo rimasti solamente in 12 a lavorarci”. Prosegue con una difesa a spada tratta dei vertici aziendali adducendo motivazioni per cui la linea era ormai inutilizzata ed uno spreco di risorse, che la manutenzione si aggira sul milione di euro e che c’è la disponibilità alla riapertura se la Regione sborsa la metà dell’importo. Una posizione che fatichiamo a comprendere considerato anche il ruolo sindacale, in teoria in difesa dei lavoratori. E non afferrare che una dismissione equivale a meno posti di lavoro appare una faccenda grave.

Francesco si sta laureando in scienze tecniche e turismo culturale presso l’Università di Udine e la sua tesi non poteva che non affrontare la vicenda della Sacile-Gemona offrendo una possibile soluzione. “Un anno fa ho partecipato ad un incontro proprio sul tema della ferrovia e sul rilancio del territorio e da lì mi è venuta l’idea e l’incoraggiamento”. La sua tesi è molto facile, bisogna rendere la linea utilizzabile per fini turistici ed il treno non deve essere un semplice mezzo di trasporto ma un richiamo vero e proprio, cioè deve divenire una parte dell’offerta. Questo il punto di partenza per sviluppare una serie di idee e progetti come gli eventi culturali da tenersi nelle ex stazioni o un treno vivente su cui qualcuno racconta la storia della ferrovia e delle zone attraversate. “Non sono un appassionato, pensate che ci ho viaggiato sopra solo da piccolo quando mi ci portava mio padre”.

Nel frattempo ci ha raggiunto anche Enrico di Pordenone. Poche parole e si capisce subito che è un profondo conoscitore, esperto ed appassionato di ferrovia, un personaggio eclettico, simpatico e cordiale che mette sentimento in quello che fa. Fra i promotori del Comitato Gemona-Sacile e membro del gruppo 835, associazione di cultori del modellismo ferroviario a Vapore Vivo. Poche battute e mette subito le cose in chiaro. “Lo studio di fattibilità è uno spreco di soldi inutili” ed ancora “come Comitato abbiamo lanciato nel novembre del 2013 una staffetta per la riapertura che al grido di Trenitalia ridacci il nostro treno è partita da Gemona e ha toccato tutte le stazioni coinvolgendo numerosi cittadini e tutti i comuni attraversati dal tracciato”. E’ un fiume in piena, le sue parole ci riempiono di informazioni e dati di cui ignoravamo l’esistenza. Scopriamo così che, oltre le due di cui siamo a conoscenza, sono state realizzate altre tesi di laurea sul riuso della linea, che nell’ex stazione di S. Martino al Tagliamento fu realizzato uno spettacolo teatrale e tanto altro ancora che, saturi dalla fatica, non riusciamo ad immagazzinare. Una vera e propria enciclopedia vivente oltre che un documentarista eccezionale. Può vantare infatti una preziosa raccolta di materiali, documenti e foto riguardo la tratta Sacile-Gemona. Scopriremo meglio Enrico ed il suo prezioso patrimonio nei giorni successivi, infatti continuerà a raggiungerci ad ogni fine tappa. Con lui l’appuntamento è già per domani sera.

04/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Claudio C.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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