La costituente dei riformisti: Quo Vadis?

L’annuncio dell’uscita di Civati dal PD non avrebbe dovuto far dormire per molte notti di seguito il capobastone Renzi, il quale, però, minimamente preoccupato della scissione del più grande partito della “sinistra” italiana dal dopoguerra, si prepara a colpire il fianco sinistro con provvedimenti impopolari e distruttivi quali la riforma della scuola in chiave thatcheriana, come neppure Valentina Aprea aveva mai sognato.


La costituente dei riformisti: Quo Vadis?

Dopo la “scissione” piddina, Civati lancia, assieme a Vendola, un appello per l’unificazione della sinistra, al quale si ammicca anche da parte del PRC. Ma può essere questa costituente di riformisti, che per tanti versi ricorda vecchi (e già fallimentari) progetti, quella “casa comune della sinistra” per i comunisti?

di Giovanni Bruno

L’annuncio dell’uscita di Civati dal PD non avrebbe dovuto far dormire per molte notti di seguito il capobastone Renzi, il quale, però, minimamente preoccupato della scissione del più grande partito della “sinistra” italiana dal dopoguerra (mai nessuno aveva raggiunto le percentuali bulgare delle ultime europee, mentre i voti reali hanno numeri più modesti, con l’aiuto dell’astensionismo putrido all’americana che si va diffondendo anche nel nostro paese), si prepara a colpire il fianco sinistro con provvedimenti impopolari e distruttivi quali la riforma della scuola in chiave thatcheriana, come neppure Valentina Aprea aveva mai sognato.

Si possono sprecare le battute sulla reale incidenza che la fuoriuscita di Civati avrà sulla vita politica italiana ma un merito va riconosciuto al nuovo Pippo nazionale e cioè quello di essere rimasto coerente fino in fondo ed avere alfine tratte le conseguenze: renziano della prima ora, il Pippo ‘eroe e martire’ della sinistra PD ha visto chiudersi sempre di più ogni spazio e prospettiva nel Partito Democratico, scontrandosi con la visione autoritaria e leaderistica di Renzi. 

Dopo la collisione, alla fine si è consumata la rottura.

La domanda che dobbiamo porci adesso è: ma quanto la posizione di Civati si discosta effettivamente, e non solo per qualche sfumatura, da quella del Partito Democratico di Renzi? 

Facciamo l’esempio del lavoro, prendendo il programma con cui  Pippo Civati si è presentato come candidato alla segreteria del PD del 2013: si sostiene, in quel documento, che occorra un “reddito minimo garantito”, integrato da “una politica fiscale che riduca con decisione la tassazione sul lavoro e sulla produzione, colpisca la rendita e promuova la ricchezza reinvestita nello sviluppo”; un programma che si incentra, comunque, sulle imprese e sul profitto (“promuovere la ricchezza”, anche se reinvestita nello sviluppo, non è altro che un altro modo di sostenere il modello economico-produttivo e sociale capitalistico). Inoltre, Civati ritiene che sia necessario dare “dignità alla vita dei lavoratori fin dai loro primi passi, con garanzie progressive ed un livello salariale degno di questo nome e di questo mondo”: la progressività delle garanzie è uno dei punti forti contenuti nel Jobs Act, mentre il “livello salariale degno di questo nome e mondo” non significa granché, se non viene quantificato e soprattutto accettato dalle aziende. Infine, la chicca: la valorizzazione del “merito come fattore relazionale”, come “talento che si riceve”, che va “riconosciuto e premiato e che si condivide, però, con gli altri”. Insomma, Civati alle primarie rappresentava un Partito Democratico più partecipativo, maggiormente inserito nel solco della sinistra socialista europea (poi è stato Renzi a portare il PD nel PSE) ancorchè compatibile con il modello neocapitalista e neoimperialista dell’Unione Europea e perfettamente integrato, poi, nel Partito Socialista Europeo, corresponsabile primario delle politiche di austerità assieme al Partito Popolare Europeo.

Ora Civati esce dal PD e lancia, assieme a Vendola, un appello all’unificazione della sinistra per un nuovo progetto di “centrosinistra”, una sorta di “nuovo Ulivo” che non ha niente di alternativo al PDNR (Partito Democratico della Nazione di Renzi) nè, tantomeno, rappresenterebbe una qualsiasi alternatività al sistema capitalistico. Perfino un generico antiliberismo sarebbe seriamente compromesso in un accrocco di questo tipo, che farebbe svanire in una melassa di buone intenzioni prive di principi e di un’analisi complessiva della realtà ogni possibile ricostruzione di una sinistra di classe, combattiva e conflittuale, veramente alternativa.

Già il progetto dell’Altra Europa, declinato non come lista unitaria per le elezioni europee ma come prototipo di “soggetto unico” per la “rinascita di una “nuova” sinistra in Italia, ha mostrato da subito le crepe dell’opportunismo, quando è stato usato da SEL come un taxi per arrivare al Parlamento Europeo ed immediatamente abbandonato dopo i risultati di maggio dello scorso anno. 

A questo progetto, svuotato per mesi e riesumato in vista delle regionali - e attraversato da contraddizioni ed ambiguità che non si sono risolte, tanto è vero che SEL, in alcune regioni, si è aggiunta dopo ed in altre addirittura corre con il PD – si è sovrapposto quello di Human Factor lanciato da SEL, a cui il nostro Segretario Ferrero ha dichiarato di aderire “senza se e senza ma” e, soprattutto, senza consultare il partito, come se ci fosse una naturale continuità con il progetto dell’AE, già problematico. 

Se lo scioglimento ‘di fatto’ del PRC nel soggetto unico “della sinistra e dei democratici italiani” non era affatto scontato, nonostante le spinte di una parte del gruppo dirigente, ancor meno lo era l’adesione al mostro partorito da SEL. È incomprensibile la frenesia del nostro Segretario e del gruppo dirigente del partito di incarnarsi in questi progetti, soprattutto perché mancano di qualsiasi garanzia e di una chiara prospettiva di conflitto sociale. È invece presente una ‘nostalgia’ per il centrosinistra, per Romano Prodi e quella scellerata esperienza di governo che ha portato i comunisti sull’orlo del dissolvimento.

Le critiche a tali progetti politicisti, in cui alcuni intellettuali, in nome di una presunta autorevolezza indipendente da qualsiasi relazione sociale, pretendono di imporre a decine di migliaia di persone organizzate in partiti la loro linea senza neppure confrontarsi attraverso un dibattito democratico, devono diventare ancora più stringenti rispetto ad un progetto senza contorni dettato dall’opportunismo anticomunista del gruppo dirigente di SEL.

Se poi pensiamo, infine, che la “costituente della neosinistra” si dovrebbe allargare ulteriormente ai “civatiani”, alle cui posizioni politiche abbiamo accennato, allora ritengo che i comunisti dovrebbero riflettere profondamente sulla direzione verso cui dovremmo indirizzarci: non ci è bastato l’anno e mezzo di governo con Prodi e i goffi tentativi in caduta libera di “unire la/le sinstra/e” (Sinistra Arcobaleno, Federazione della Sinistra, Rivoluzione Civile etc. etc. etc.) che hanno devastato la credibilità del PRC, incrinato la fiducia dei movimenti, distrutto la nostra efficacia comunicativa e annientato il consenso elettorale raggiunto?

La “Syriza italiana” dovrebbe diventare un aggregato che punta a ricostruire il “centrosinistra” o una “sinistra di governo”, un “nuovo Ulivo” (già il primo ha mostrato tutte le sue contraddizioni basate sulla strategia di liberismo temperato, cioè di una liberalizzazione soft dell’economia e una privatizzazione orientata di servizi e beni pubblici e comuni), assieme a componenti del ceto politico, che finge di spostarsi su posizioni critiche perché ha perso la battaglia interna allo scontro di potere in atto nel PD? Che cosa dovrebbero condividere i comunisti con questa costituente riformista e opportunista, in un mondo in cui i margini di riformismo sono terminati da decenni e le riforme che si attuano (se ce lo chiede l’Europa!) hanno tutte il segno dello smantellamento dello Stato sociale e delle garanzie previdenziali, assistenziali, dei diritti (alla salute, allo studio, alla mobilità) e dell’attacco senza quartiere alle classi subalterne?

I comunisti, il PRC, devono mantenere una prospettiva più ampia e non essere risucchiati nel gorgo del centrosinistra: l’idea della governance all’interno delle compatibilità con il sistema capitalistico, la cui dinamica iper-liberista ha provocato la peggiore crisi dal 1929, è fondata sull’idea di riformabilità ed emendabilità del sistema capitalistico, che per i comunisti è impossibile concepire, soprattutto in questa fase storico-politica.

Per i comunisti l’unità della sinistra dovrebbe avere come obiettivi la ricomposizione sociale dei settori di classe in un nuovo blocco storico alternativo al sistema di potere delle classi parassitarie; la riunificazione politica e organizzativa dei comunisti in chiave anticapitalistica e antimperialistica; il potere delle masse popolari contro lo strapotere delle èlite finanziarie e imprenditoriali che dominano in Italia e nel mondo.

La costituente dei riformisti, dai civatiani ai vendoliani, non è che la riproposizione di una sinistra genuflessa al potere del capitale, in cui i comunisti esaurirebbero la propria funzione politica, culturale e organizzativa. Meglio farebbe il nostro Segretario a rilanciare l’autonomia di Rifondazione Comunista, piuttosto che rilasciare dichiarazioni che stravolgono la linea del partito senza neppure aver proceduto ad una consultazione democratica interna.

15/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Giovanni Bruno

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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