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Breve storia della mafia – parte II

Per una (contro)storia della mafia: dalla guerra fredda ai governi del centrosinistra.


Breve storia della mafia – parte II Credits: http://www.monstersandcritics.com/lists/movie/10-best-movies-of-all-time/

Segue da parte I

Come la guerra fredda favorisce l’affermazione della mafia

Nel 1947 gli angloamericani, hanno – rovesciando la precedente alleanza con l’Urss in funzione anti-tedesca e giapponese – scatenato la guerra fredda, per impedire che il prestigio assunto nella lotta contro il nazifascismo favorisse un’ulteriore affermazione delle forze filocomuniste. In Italia, il governo statunitense aumenta le pressioni sulla Democrazia Cristiana (DC) affinché rompa la coalizione di governo antifascista estromettendo socialisti e comunisti dal governo, quale premessa indispensabile per poter fruire dei grandi investimenti del piano Marshall di vitale importanza per la ricostruzione post-bellica.

Nelle successive elezioni del 1948 – come dimostrano i documenti recentemente desecretati negli Stati Uniti caratterizzate da pesanti brogli, favoriti dalle ingerenze delle forze di occupazione anglo-americani e della mafia – i democristiani ottengo un successo di proporzioni inattese. Le forze della sinistra, nonostante siano consapevoli delle ragioni che hanno prodotto un risultato per loro decisamente inferiore ai propri riscontri dai seggi, preferiscono accettare la sconfitta elettorale, anche perché negli accordi di Yalta l’Italia era stata assegnata all’area di influenza anglo-americana. Dunque, se avessero denunziato il risultato delle elezioni, il paese sarebbe probabilmente precipitato in una guerra civile. In tal caso, il blocco reazionario e conservatore avrebbe avuto il sostegno diretto delle truppe di occupazione anglo-americane, mentre l’Unione Sovietica, stremata dalla guerra, non sarebbe intervenuta. In tal modo, come stava avvenendo in Grecia, le forze della sinistra sembravano destinate a una sconfitta che avrebbe consentito una repressione su larghissima scala delle forze filocomuniste.

Gli anni del centrismo e la conseguente rivoluzione passiva

Conquistata la maggioranza assoluta, la DC costituiva per la mafia un canale politico molto promettente, per la politica moderata portata avanti da questo partito, che costituiva un decisivo bastione della conservazione, di contro a quelle riforme radicali degli assetti proprietari delle campagne per i quali si battevano i comunisti, che avrebbero prodotto forti sconvolgimenti sociali. L’affermazione delle forze di centro-destra nel paese rende la politica separatista controproducente per i poteri forti e la classe dominante. La Sicilia in particolare, dopo la normalizzazione successiva alla strage di Portella della Ginestra e la netta battuta di arresto delle lotte per l’occupazione delle terre, era divenuta un bastione della conservazione, anche per la capacità della mafia di esercitare una significativa influenza sugli esiti delle elezioni.

Il nuovo governo di centro-destra, guidato da Alcide De Gasperi, blocca l’attuazione dei decreti del ministro Gullo impedendo la riforma agraria. Quest’ultima verrà in seguito realizzata in una modalità completamente distorta rispetto al progetto originario all’interno della politica di rivoluzione passiva portata avanti negli anni del “centrismo”. Al punto che i grandi latifondi, residui di un passato feudale che i poteri forti non intendevano archiviare, non vengono realmente posti in discussione e, anzi, le terre demaniali messe in vendita sono spesso acquisite non dai senza terra, privi del necessario potere d’acquisto, ma dai settori della classe dominante che si servono della mafia per riprendere il completo controllo del territorio. La maggioranza del Partito comunista italiano (Pci) – che nel momento decisivo ha deciso da abbandonare lo scontro, temendone le tragiche conseguenze – non appare più in grado di offrire ai subalterni siciliani un’alternativa reale e praticabile. Così via via che la Mafia recupera il pieno controllo del territorio, privi di “un ideale in cui sperar” molti siciliani riprendono la tragica via dell’emigrazione.

In tal modo il divario fra il nord ricco e industrializzato del paese e il sud sempre più abbandonato a se stesso riprende a crescere in modo inesorabile ed esponenziale. La mafia, al servizio dei grandi proprietari e delle componenti reazionarie e conservatrici dello Stato, di nuovo preponderanti, impedisce qualsiasi forma di sviluppo economico delle regioni meridionali. Nonostante le pressioni popolari sul governo, dirette da socialisti e comunisti, affinché cerchi di risolvere la questione meridionale, favoriscano l’istituzione della cassa del mezzogiorno, quest’ultima non produce gli effetti sperati. Le ingenti risorse drenate dallo Stato attraverso la fiscalità generale – che a causa della ingente evasione fiscale pesa essenzialmente sui lavoratori salariati – finiscono infatti, troppo spesso, per arricchire la mafia che esercita un controllo sempre più forte sugli appalti pubblici. In tal modo rafforzata e foraggiata, la mafia si appropria in modo illegale di parte significativa del monopolio della violenza legale dello Stato, in forza delle sempre più strette connivenze con i settori più conservatori della classe dirigente.

Tanto più che parte significativa delle classi dominanti del meridione riconosce alla mafia la decisiva funzione di assicurare stabilità sociale nel territorio, impedendo che i rapporti di proprietà a essa favorevoli siano nuovamente messi in discussione dai subalterni. In tal modo, grazie al controllo sui mezzi di comunicazione di massa – con la complicità dei settori conservatori allora dominanti in Vaticano, che mantiene una larga egemonia sulle masse contadine prive di cultura – viene negata l’esistenza stessa della malavita organizzata, dando a intendere che la mafia non sia altro che il prodotto della fantasia di complottisti o della mala fede dei comunisti. Così la violenza della mafia è sempre più coperta dalla connivenza con i settori conservatori dello Stato e della Chiesa. Ciò consente alla malavita organizzata di potersi liberare con la violenza dei pochi coraggiosi sindacalisti o politici che osano contrastarla e denunciarla, a partire dall’assassinio di Placido Rizzotto nel 1948 e di decine di dirigenti politici e sindacali del movimento popolare e contadino che, anche dopo Portella della Ginestra, osano mettere in discussione il potere degli agrari.

La trasformazione qualitativa della mafia

In tal modo, a partire dagli anni Cinquanta, la mafia conosce un rapidissimo sviluppo quantitativo che produce, inevitabilmente, una metamorfosi qualitativa, nel momento in cui i vecchi sgherri degli agrari prendono il controllo di attività illegali molto lucrose come il controllo degli appalti pubblici e il contrabbando: prima essenzialmente di sigarette, poi degli stupefacenti. Così la mafia, tradizionalmente radicata nelle campagne, sposta il suo asse portante nelle città, in primo luogo a Palermo. Allo stesso tempo i mafiosi abbandonano le vesti e le movenze dei vecchi “bravi” e cominciano a “politicizzarsi”, indossando il “doppio petto”. La progressiva immissione di “politici” collusi con la mafia nella classe dirigente locale, avviene con il decisivo concorso degli anglo-americani: la loro “infiltrazione” nella classe dirigente nazionale si realizza principalmente grazie alla collusione con i settori conservatori della Democrazia Cristiana in funzione della comune militanza anti-comunista nella guerra fredda.

La strutturale ambiguità dello Stato borghese italiano nei confronti della mafia

Più in generale la classe dominante italiana e, di conseguenza, buona parte della classe dirigente politica, mantiene nel corso degli anni nei confronti della malavita organizzata un’attitudine ambigua, resa in qualche modo necessaria da una contraddizione reale. La borghesia e, soprattutto, i suoi settori più conservatori, si servono della violenza nazi-fascista e della mafia, da questo punto interscambiabili e spesso conniventi, per imporre la pace sociale necessaria alla salvaguardia di rapporti di produzione e di proprietà sempre più irrazionali e impopolari.

La mafia favorisce, inoltre, il controllo della classe dirigente e la sua capacità di egemonia sulla popolazione attraverso una gestione capillare del voto di scambio, a lungo controllato grazie al meccanismo delle preferenze multiple. In tal modo, i settori più collusi con la mafia della DC controllavano la maggior parte dei comuni siciliani, a partire da Palermo il cui sindaco Salvo Lima diverrà il principale punto di contatto con la corrente più potente e senza scrupoli della Democrazia Cristiana, capeggiata da Andreotti presidente di ben sette governi.

D’altra parte la classe economica dominante intende mantenere tanto i nazi-fascisti che i mafiosi in una posizione subordinata, evitando che, come avvenuto al tempo del regime totalitario imposto da Mussolini, da utile strumento repressivo potessero esercitare la funzione di classe dirigente al posto delle forze liberali, organiche all’alta borghesia. Così mafia e destra eversiva fornirono la manovalanza ai diversi tentativi di colpi di Stato, sotto la regia degli apparati conservatori dello Stato e della NATO e di apparati repressivi clandestini, come Gladio, funzionali a intimidire i primi governi riformisti del centro-sinistra, resi possibili dal boom economico, e la maggioranza dell’opposizione comunista fra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta.

Allo stesso tempo si sviluppa il confronto-scontro fra i settori conservatori e i settori modernizzatori della classe dirigente per porre un limite all’usurpazione delle prerogative dello Stato da parte della malavita organizzata. Dopo ben quindici anni di continui traccheggiamenti, in cui a causa della fase più calda della guerra fredda prevalgono le forze conservatrici, si arriva – grazie al nuovo clima determinato dalla distensione volta alla coesistenza pacifica con le potenze imperialiste, portata avanti dalla direzione antistaliniana affermatasi in Urss – all’istituzione nel 1962 della prima Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Con essa finalmente lo Stato borghese, ormai guidato da una classe dirigente di centrosinistra, riconosceva l’esistenza della mafia, senza però risolversi a contrastarla. La spada di Damocle del colpo di Stato, agitata dai settori conservatori della classe dominante, impedirà alla commissione antimafia per un altro quindicennio di divenire operativa. Solo alla fine degli anni Settanta, con la sconfitta della sinistra rivoluzionaria e l’inizio a livello internazionale della controffensiva liberista, inaugurata da Margaret Thatcher, la commissione si deciderà a condurre una seria indagine sulla mafia.

Dalla collusione all’ingresso della mafia nella classe dirigente e dominante

Da parte sua la mafia, via via che cresceva la sua capacità di controllo sugli appalti pubblici, tanto che sempre più i mafiosi si trasformavano in imprenditori, si rendeva conto che la consistenza degli interessi in gioco e la sua capacità di autonomizzarsi dalla vecchia classe dominante, necessitava l’acquisizione di un potere politico superiore a quello precedentemente assicurato dalle tradizionali complicità istituzionali. In tal modo, la mafia decide di scendere direttamente in campo nell’agone politico, condizionando in modo sempre più deciso l’elezione di deputati e amministratori locali sino a che, nel 1970, riesce a far eleggere sindaco di Palermo un suo rappresentante, candidatosi nelle fila della Democrazia Cristiana.

Continua sul prossimo numero

10/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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