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Confindustria e CCNL. “Modello Marchionne” o niente rinnovi

Sono quasi 5 milioni i lavoratori in attesa del rinnovo del contratto secondo l’Istat.


Confindustria e CCNL. “Modello Marchionne” o niente rinnovi

Sono milioni i lavoratori in attesa del rinnovo del contratto: quasi 5 milioni secondo l’indagine dell’Istat, secondo cui al mese di ottobre sono 36 i contratti da rinnovare. E l'attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto risulta essere in media di quasi 5 anni (3 anni e mezzo se si considera solo il settore privato).

di Carmine Tomeo

Su questo fronte il padronato aveva già mostrato in maniera molto chiara le proprie intenzioni. Già a settembre il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi aveva lanciato un segnale esplicito: il contratto collettivo di lavoro «deve essere il vero motore del cambiamento». Ma il cambiamento auspicato dal presidente degli industriali (manco a dirlo) consiste nell’aumento della flessibilità e della produttività, maggiore propensione alla flessibilità delle mansioni, potenziamento dei contratti aziendali e conseguente depotenziamento di quello nazionale in modo da scardinare la capacità contrattuale dei lavoratori. L’idea di Squinzi si può riassumere in due parole: “modello Marchionne”.

Un messaggio che dovrebbe arrivare forte e chiaro a quelli che, rinunciando sostanzialmente ad una lotta antagonista con il padronato e posizionandosi nei fatti solo sull’attività istituzionale, affermano che «dobbiamo redistribuire la ricchezza». Giusto, in linea di principio; ma così resta un principio.

Il padronato sta dicendo che non c’è ricchezza da redistribuire; che semmai sono i lavoratori a dover restituire quanto percepito (perché a loro dire le retribuzioni sono cresciute troppo… sic!), altrimenti – aveva affermato Squinzi – si produrrà una «una forte erosione dei margini di profitto», tale da scoraggiare gli investimenti, «il cui minor livello indebolisce la crescita, anche futura». Più chiaro di così…

Di fronte a questo attacco del padronato, che trova il suo migliore alleato nel governo guidato dal segretario del Pd, Matteo Renzi, definire timida la risposta dei sindacati “maggiormente rappresentativi” è ormai un eufemismo che non descrive adeguatamente la realtà.

Lo scorso 25 novembre si sono incontrati i vertici di Cgil, Cisl e Uil che condividono “la necessità di elaborare una proposta unitaria” per «un moderno e innovativo sistema di relazioni industriali», che si basi, oltre che su nuovi modelli di partecipazione dei lavoratori, sull’estensione della contrattazione «a tutti i livelli» e sul «consolidamento del Testo Unico del 10 gennaio 2014», tanto caro al padronato in quanto contiene clausole di raffreddamento (ma dovremmo dire congelamento) dei conflitti. Ma arriva anche un monito (si perdoni l’ironia) delle segreterie di Cgil, Cisl e Uil, che ribadiscono «che l'elaborazione di una proposta unitaria non deve condizionare» il confronto sul rinnovo del Ccnl in scadenza.

In realtà, a condizionare la discussione ci hanno già pensato quegli stessi sindacati: non solo con il loro annoso atteggiamento passivo; non solo con gli accordi firmati in questi anni, almeno dal 2011 ad oggi; non solo con il depotenziamento delle lotte quando. In maniera diretta la discussione è stata condizionata con l’accordo dei chimici siglato nelle scorse settimane.

Quel contratto è stata la conferma delle parole della segreteria generale della Cgil, Susanna Camusso che aveva parlato di «autunno piovoso», allontanando l’idea di autunno caldo.

Il contratto firmato per il settore chimico, prevede, infatti, l’adeguamento degli aumenti salariali all’inflazione reale e quindi l’incertezza degli stessi, esattamente come chiedeva Squinzi (tra l’altro resi ancora più incerti da meccanismi di assorbimento nella contrattazione aziendale). Così come, rispondendo alle richieste di Confindustria, viene incentivato il secondo livello di contrattazione a discapito della centralità del contratto nazionale. In più si apre al welfare aziendale finanziato con la riduzione salariale che maschera, tra l’altro, i tagli allo Stato sociale imposti dal governo con la legge di Stabilità.

Il contratto dei chimici assume un’importanza fondamentale nella stagione di rinnovi contrattuali (che, come già detto, interessa milioni di lavoratori) perché sarà utilizzato come testa d’ariete per sfondare eventuali resistenze al peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Che questa sia l’intenzione di Confindustria e dei sindacati firmatari lo si legge nello stesso accordo, dove si afferma che «il ccnl ha l’obiettivo di preparare e indirizzare le Parti sociali di tutti i livelli verso sfide e confronti innovativi e responsabili». E tra i prossimi contratti da siglare c’è quello dei metalmeccanici. Purtroppo, però, la Fiom sembra non discostarsi troppo da alcuni punti che qualificano la logica del contratto dei chimici.

Nella piattaforma Fiom per il contratto nazionale, approvata in assemblea nazionale alla fine di ottobre, le richieste di aumenti salariali non sono troppo coraggiose (contrattazione annuale e, anche qui, assorbimento di alcune voci nella contrattazione) e si rivendica l’istituzione della sanità integrativa.

Come se non bastasse, la piattaforma Fiom accetta la possibilità della saturazione degli impianti con il sistema dei 18 turni, già applicato in alcuni stabilimenti Fca e che significa aumenti di produttività e flessibilità tanto cari ai padroni e così logoranti per i lavoratori.

È in questo quadro che, infine, si apre in maniera esplicita all’accordo del 10 gennaio 2014, per affermare la validità ed esigibilità dei contratti ed accettare il sistema delle clausole di raffreddamento del conflitto.

Si tratta di un’ipotesi contrattuale che dovrebbe sorprendere, soprattutto alla luce della straordinaria vittoria della Fiom nelle elezioni per il rinnovo delle Rsu e dei Rls.

Alla luce di quei risultati e delle esperienze di lotte come quella dei lavoratori della logistica, ci si dovrebbe attendere una volontà di ripresa del protagonismo dei lavoratori, attraverso un lavoro organizzativo che ricomponga le componenti sociali e politiche di classe.

Diversamente, la stagione contrattuale rischia di sancire una vittoria sui lavoratori di quanti avanzano politiche di riduzione dei diritti e del salario ed in generale di quanti impongono politiche neoliberiste, dalla quale con sempre maggiori difficoltà ci si potrà risollevare.

27/11/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Carmine Tomeo
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