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E’ tempo di sciopero sociale, è tempo di scegliere da che parte stare

«Faremo di tutto per cambiare l'Italia» e  «sono consapevole che alcune cose vanno cambiate in modo violento». Sono parole di Matteo Renzi. Il presidente del consiglio le ha pronunciate alla fine dello scorso settembre allo Yacht club di San Francisco, incontrando 150 responsabili di start-up italiane della Silicon Valley. Poi sono arrivate entrambe le cose: il cambiamento e la violenza.


E’ tempo di sciopero sociale, è tempo di scegliere da che parte stare Credits: @zak_says

«Faremo di tutto per cambiare l'Italia» e «sono consapevole che alcune cose vanno cambiate in modo violento».

di Carmine Tomeo

Sono parole di Matteo Renzi. Il presidente del consiglio le ha pronunciate alla fine dello scorso settembre allo Yacht club di San Francisco, incontrando 150 responsabili di start-up italiane della Silicon Valley. Poi sono arrivate entrambe le cose: il cambiamento e la violenza.

L’approvazione al Senato del Jobs act ha rappresentato il primo passo verso il cambiamento di cui parlava Renzi. La violenza, fisica, ingiustificabile, è arrivata nel corso della manifestazione pacifica di lavoratori della Ast di Terni in difesa del posto di lavoro. Ed è stata proprio quella violenza, arbitraria, propria di un governo bonapartista in evidente crisi di consenso, a far scoccare l’ora dello sciopero generale.

La questione dirimente è la collocazione che si vuole assumere rispetto al governo Renzi ed alle sue politiche. En passant, è il caso di notare, ad esempio, che la piattaforma con la quale la Cgil ha chiamato i lavoratori a scendere in piazza il 25 ottobre, non si poneva contro il governo. La Cgil ha portato in piazza una serie di proposte, che di conflittuale avevano ben poco nel loro complesso. La stessa proclamazione dello sciopero generale per il 5 dicembre, mostra il suo primo, importante limite nella scelta della data. Con molta probabilità, il 5 dicembre il Jobs act sarà già stato approvato anche alla Camera, viste le accelerazioni che il governo vuole imprimere alla sua approvazione. Lo confermano sia la sottosegretaria al Lavoro, Teresa Bellanova, che si pone l’obiettivo di «arrivare in aula la prossima settimana e chiudere l'iter del Jobs act alla Camera prima della legge di Stabilità», sia Matteo Renzi, che non esclude il ricorso all’ennesimo voto di fiducia. Inoltre, l’approvazione da parte del comitato direttivo Cgl di un ordine del giorno che continua a richiamare all’unità sindacale, che pone l’accento sui modi di approvazione dei provvedimenti del governo più che sul disegno più ampio di disgregazione delle forme di organizzazione dei lavoratori, fa pensare che il problema che si pone la Camusso è quello di ritrovare un’interlocuzione con il governo. In sostanza di confermare la linea della sua Cgil, in termini tutt’altro che conflittuali, ma concertativi, di mediazione sociale. Non a caso, il documento approvato dal comitato direttivo considera la «scelta del Governo di avere a riferimento il blocco sociale rappresentato da Confindustria e dalle altre Associazioni datoriali» tra i principali fattori che «impongono di continuare nella mobilitazione e nella lotta».

È evidente che, pur con i limiti del documento che proclama lo sciopero generale, la mobilitazione del 5 dicembre è estremamente importante, perché si inserisce in un contesto molto ampio di lotte contro politiche del governo i cui margini di interlocuzione sono praticamente inesistenti. Le politiche che il governo vuol portare avanti sono di un effetto così devastante per il mondo del lavoro che qualsiasi toppa messa qua e là, qualsiasi alleggerimento della sua violenza, non sarebbe in grado di lenire le sofferenze sociali ed economiche che produrrebbero. Sarebbe come voler applicare un cerotto per rimediare ad una frattura.

Ecco, una frattura. È questa che si sta producendo tra Renzi ed un variegato popolo di sinistra che in lui riponeva illusorie speranze di cambiamento. Un elemento certamente importante scaturisce dalla manifestazione del 25 ottobre: è stato messo a nudo lo spazio che si è aperto tra Renzi, il suo governo, il Pd ed una parte del suo stesso elettorato, della sua base. Quella frattura non va ricucita, ma inasprita per riprendere conflitto e non per tentare, come qualcuno sta già facendo con troppa leggerezza e poca modestia, una riunificazione nominalistica della sinistra con la presunzione di porsi automaticamente in rappresentanza di quella piazza.

Quello spazio che si sta aprendo non va riempito, ma allargato per aumentare il potenziale di conflitto, tra governo e padronato da una parte e classe lavoratrice dall’altra. Quello spazio va allargato, abbandonando terre di mezzo, abbattendo i ponti, che sono del tutto inutili quando si sceglie senza troppe reticenze da che parte stare. Ed oggi, la parte con cui stare per poter fermare le politiche antisociali di Renzi è quella dove si vedono impegnati il sindacalismo conflittuale, dalla Fiom al sindacato di base, i movimenti antagonisti e poi i precari, i cassintegrati, i disoccupati, che per la frammentazione che il capitale impone loro non hanno modo di organizzarsi. Questa parte, che ha scioperato il 14 novembre, ha messo in atto un primo straordinario tentativo, ambizioso e necessario al tempo stesso, di ricucire la frammentazione sociale prodotta in decenni di politiche neoliberiste, a cui il governo Renzi vuole dare una accelerazione per cambiare le cose «in modo violento».

Non c’è interlocuzione possibile e di questa impossibilità la Cgil ed i costruttori di ponti sarebbe bene si rendessero conto. La straordinaria giornata di lotta del 14 novembre ( Reoportage foto), con mobilitazioni su tutto il territorio nazionale, ha lanciato un messaggio importante: è tempo di unire ciò che il capitale divide; è tempo di mobilitazione generalizzata, di trovare terreno comune alle tante e varie vertenze di lavoro e sociali. È tempo di scegliere da che parte stare.

 

12/11/2014 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: @zak_says

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Carmine Tomeo
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