Le tensioni tra i diversi imperialismi globali stanno ridefinendo gli equilibri politici del nostro tempo. Non è solo l’egemonia statunitense a determinare gli scenari internazionali: anche l’Unione Europea persegue interessi propri e spesso contrastanti, pur criticando Washington solo da destra e senza mai mettere in discussione la logica imperialista in sé. L’Italia, schiacciata tra il polo USA e quello franco-tedesco dominante nell’UE, tenta di oscillare fra i due campi, finendo però per assorbirne gli aspetti peggiori, dal razzismo crescente a politiche securitarie che in alcuni casi superano persino la linea americana. Sul piano globale, il nuovo corso strategico degli Stati Uniti mostra una chiara duplice direzione: riconquista dell’America Latina e rafforzamento dell’offensiva nel Pacifico contro la Cina. La retorica “democratica” che accompagna questa proiezione di forza appare sempre più come una copertura ideologica, soprattutto di fronte all’azzardo di voler sostenere simultaneamente il confronto con Mosca e Pechino, spingendo di fatto Russia e Cina verso un’alleanza più stretta. Washington tenta ora di dividerle per concentrare la pressione sulla Cina, mentre in America Latina mira in particolare al Venezuela bolivariano, ostacolato da una milizia popolare che complica qualsiasi ipotesi di intervento diretto. Sul versante latinoamericano emergono anche gravi violazioni del diritto internazionale, spesso giustificate dagli Stati Uniti con la formula della “guerra alla droga”: dal sostegno a figure legate al narcotraffico all’esecuzione di attacchi contro imbarcazioni prive di qualunque capacità offensiva. Preoccupa il silenzio complice dell’Unione Europea, del governo italiano e dei principali media, incapaci di esprimere anche solo una critica verso queste operazioni che ribadiscono l’idea dell’America Latina come “cortile di casa”. Uno dei fronti più drammatici rimane però quello palestinese. Una pressione crescente punta a imporre al popolo palestinese una sorta di mandato coloniale mascherato, negandone il diritto all’autodeterminazione sotto la minaccia dell’inasprimento delle politiche genocidarie con il pieno appoggio statunitense. La mancanza di sostegno internazionale è evidente: vari paesi arabi appoggiano il piano USA, mentre Russia e Cina si limitano ad astenersi, confermando la natura meramente economica dei BRICS e la loro irrilevanza politica nei momenti decisivi. In Italia, il dibattito politico registra un ulteriore irrigidimento con la proposta di legge — sostenuta da una parte significativa del Partito Democratico — che mira a equiparare antisemitismo e antisionismo. Un’iniziativa in linea con le posizioni di Lega e Forza Italia e con le definizioni adottate dall’Unione Europea, che rischia di criminalizzare le critiche radicali alle politiche dei governi israeliani, trasformandole in reati d’opinione. Di fronte a questo scenario, si pone il nodo della strategia politica della sinistra italiana. La priorità indicata è la caduta dell’attuale governo, definito espressione di una destra radicale e pienamente inserito nell’ordine imperialista globale. Per farlo, si sostiene che occorra superare definitivamente l’esperienza del “campo largo” a guida PD, ritenuto non credibile né alternativo, e puntare invece alla federazione delle forze collocate alla sua sinistra. Un’ipotesi che potrebbe essere accompagnata — come già sperimentato in Francia — da accordi tattici di desistenza con PD e centristi nei collegi uninominali, senza però confondere programmi e identità politiche. Non mancano critiche alle formazioni considerate espressione della piccola borghesia, come Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, giudicate oscillanti e inaffidabili nel conflitto sociale. Lo stesso vale per gli ultimi scioperi: quello dei sindacati di base del 28 novembre e quello separato della CGIL del 12 vengono definiti “scioperi di bottega”, privi di reale capacità mobilitante. L’indicazione è piuttosto quella di unificare le lotte dal basso, attraverso l’autoconvocazione dei lavoratori e il superamento delle barriere burocratiche che frammentano il fronte sindacale. Tra conflitti imperialistici, crisi internazionale e un’Italia sempre più subalterna, emerge il ritratto di una sinistra chiamata a riorganizzarsi profondamente, ridefinendo alleanze e strumenti di lotta per affrontare un contesto politico in rapido deterioramento.