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I comunisti e la guerra

Lenin, in polemica con quelli che criticava come socialpacifisti – socialisti a parole ma pacifisti nei fatti – ricordava che l’unico modo per farla finita con le guerre, sempre più causate dall’imperialismo, è di trasformare la guerra (imperialista) fra nazioni in una guerra civile rivoluzionaria fra classi sociali.


I comunisti e la guerra

In generale i comunisti sono contrari alla guerra, in quanto si tratta di un ritorno a uno Stato pre-civile in cui gli uomini risolvono i contrasti fra di loro non razionalmente, attraverso il dialogo e il confronto, ma attraverso l’irrazionale legge della giungla, cioè attraverso la legge del più forte in cui determinante diviene la violenza. D’altra parte, come già osservava Hegel in polemica con le utopie della pace perpetua ancora presenti in Kant, da un punto di vista necessariamente realista i rapporti fra gli Stati nazione, quando non risulta possibile trovare una soluzione pacifica, si risolvono tuttora sul piano, per quanto irrazionale, della guerra. Non esiste, in effetti, un’istanza di giudizio superiore a quella degli Stati nazione, come dimostrano i continui fallimenti della Società delle nazioni e dell’Onu, nell’individuare una soluzione unicamente pacifica dei contrasti internazionali. Da questo punto di vista anche il tentativo di costruire un tribunale internazionale ha avuto scarsi risultati, anche perché i paesi più potenti, a partire dagli Stati Uniti, non lo riconoscono. Inoltre i paesi più potenti rendono non vincolanti, con l’utilizzo del diritto di veto, le risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dello stesso Consiglio di Sicurezza volte a una risoluzione pacifica dei conflitti. Senza contare che, il più delle volte, quando una grande potenza non ha posto il veto, l’Onu ha finito, come già prima la Società delle nazioni, con l’aprire la strada a soluzioni militari e violente dei conflitti, essendo egemonizzata dagli Stati nazionali e dalle alleanze fra Stati nazionali più potenti. Dunque, come appunto già osservava Hegel, l’unico tribunale superiore alla sovranità nazionale, almeno per gli Stati più forti, resta la Storia universale.

Del resto, se l’ideale kantiano della pace perpetua era legato al predominio a livello europeo della Francia che, dopo la Rivoluzione francese, imponeva ai paesi conservatori europei lo Stato di diritto moderno – tanto che l’opera kantiana fu composta sulla scia dell’entusiasmo dopo che anche la Prussia, bastione della reazione, si era dovuta arrendere stipulando un trattato di pace con il paese uscito dalla Rivoluzione – al tempo di Hegel, epoca della restaurazione, a farsi garante della pace internazionale vi erano gli eserciti della Santa Alleanza pronti a intervenire per impedire ogni rivoluzione in tutto il mondo e a impedire che fossero messi in questione gli equilibri a loro favorevoli imposti con il Congresso di Vienna. Più in generale anche negli anni seguenti a voler imporre la pace sia a livello nazionale sia a livello sociale sono spesso coloro che hanno il potere. Così, per esempio, a rivendicare la pace durante l’occupazione nazista dell’Italia erano i nazisti di contro ai “banditi” partigiani che portavano avanti azioni di guerriglia che oggi verrebbero bollate facilmente come terroriste, almeno dalle potenze imperialiste che le subiscono. Allo stesso modo a rivendicare la pace sociale sono sempre le classi dominanti che accusano e combattono come sovversive – di concerto con la Chiesa – le forze che, come i comunisti, la mettono in questione cercando di fomentare e organizzare la lotta di classe dei subalterni.

In realtà, anche in questo caso, le classi dominanti sostengono di voler imporre la ormai classica pace augustea o mongolica, ma non solo non rinunciano a renderla effettiva con le armi, ma tale pace non è altro che un modo per nascondere la lotta di classe dall’alto o l’occupazione che, a esempio, con gli strumenti più violenti gli occupanti sionisti impongono agli occupati palestinesi. Così a essere sempre accusate dagli occupanti di fomentare la violenza sono le forze della resistenza che si oppongono all’occupazione sionista dei territori arabi.

Inoltre, come già ricordava Lenin, in polemica con quelli che criticava come socialpacifisti – come durante la grande guerra la maggioranza del Partito Socialista Italiano, riformista e massimalista – cioè socialisti a parole ma pacifisti nei fatti, l’unico modo per farla davvero finita con le guerre, sempre più causate dall’imperialismo, non può che essere il trasformare la guerra (imperialista) fra nazioni in una guerra civile rivoluzionaria fra classi. In effetti l’imperialismo comporta necessariamente la diffusione della guerra per poter scaricare sulle classi e i paesi più deboli i costi negativi della crisi prodotta necessariamente da questa forma suprema di capitalismo, ormai inevitabilmente e progressivamente sempre più freno e impedimento a un ulteriore sviluppo delle forze produttive

Del resto già Platone – pur sostenendo sempre le ragioni del dialogo contro il ricorso alla violenza – era costretto a riconoscere che davanti a pensatori così reazionari come Callicle, che riconoscevano come unica legge la legge della giungla, che era necessario ricorrere a una violenza seconda per poter tenere testa alla “violenza prima” di chi si comporta come un lupo nei confronti degli uomini pacifici e dialoganti.

Tantopiù che, come osservava acutamente lo stesso Hegel, “il particolarismo, il privilegio (…) sono qualcosa di così profondamente personale, che il concetto e la comprensione della necessità sono sempre troppo deboli per operare sull’azione stessa; concetto e comprensione attirano una tale diffidenza su di sé, da doversi giustificare con la violenza affinché l’uomo si sottometta loro” [1]. In altri termini le classi dominanti con i loro sempre più irrazionali privilegi – sebbene impediscano lo sviluppo delle forze produttive e condannano allo sfruttamento, all’oppressione e alla miseria una parte sempre più ampia dell’umanità – quasi certamente non rinunceranno sulla base del dialogo alla propria posizione dominante dal punto di vista economico e sociale e dirigente dal punto di vista politico. Quindi chi mirasse a consentire un ulteriore sviluppo delle forze produttive, alla fine di un sistema fondato su oppressione e sfruttamento e all’ulteriore emancipazione del genere umano non può rinunciare a priori, quando indispensabile, all’uso della forza e della coercizione.

In effetti, come faceva notare quello che è considerato il fondatore della scienza politica moderna, cioè Niccolò Machiavelli, se si vuole conseguire una grande ambizione, come ad esempio porre fine allo sfruttamento e all’imperialismo, non si può indietreggiare dall’utilizzo di tutti i mezzi necessari e imprescindibili per la realizzazione di un elevato fine universalistico. Altrimenti, se ci si facesse bloccare anche da – per quanto nobili – convinzioni etiche, religiose, legaliste o morali, si finirebbe per divenire degli ipocriti, dicendo di voler ad esempio l’emancipazione del genere umano e la fine dell’oppressione, senza però volersi sporcare le mani con gli strumenti indispensabili a questo nobile scopo.

Così, secondo Marx ed Engels per quanto sia certo preferibile, nel caso in cui fosse realmente possibile, realizzare la rivoluzione socialista e proletaria senza dover ricorrere all’uso della forza – cioè l’insurrezione sino alla guerra civile rivoluzionaria – d’altra parte nel caso in cui le classi dominanti disponessero di una polizia e di un esercito armati, la rivoluzione non sarebbe realizzabile se i rivoluzionari non disponessero di una capacità, anche sul piano militare, di tenere testa e sconfiggere la reazione violenta del nemico di classe.

Bisogna, inoltre, sempre ricordare che mentre la violenza degli oppressori, degli sfruttatori, dei privilegiati è una violenza inaccettabile sotto tutti i punti di vista, perché implica una regressione allo stato pre-civile dove domina esclusivamente la legge della giungla, la violenza degli oppressi, degli sfruttati, dei subalterni è sempre una violenza seconda, necessaria esclusivamente a impedire un perpetuarsi sine die della legge del più forte, dell’oppressione e dello sfruttamento. Perciò quando si tratta di giudicare un evento storico che ha implicato il ricorso alla violenza, bisogna sempre domandarsi se si sia trattato di una violenza prima, originaria o di una violenza seconda, indispensabile a portare a termine la liberazione. Ottima da questo punto di vista la scena iniziale del film Novecento dove vediamo delle contadine inferocite inseguire e trucidare una coppia di borghesi terrorizzati e in fuga. Tale violenza non può che apparire del tutto ingiustificata, per chi non conosce la storia precedente, cioè per chi non sa che i due giustiziati erano i più violenti organizzatori dello squadrismo che, con una spaventosa violenza, aveva sterminato ogni forma di resistenza degli oppressi e dei subalterni, nel tentativo di eternare il loro sfruttamento da parte di quei privilegiati che da secoli vivono come parassiti sfruttando il lavoro altrui.

Senza contare, inoltre, che per dare un giudizio corretto e ponderato resta indispensabile distinguere fra le diverse tipologie e forme di guerra. Perciò i comunisti saranno sempre contrari a una guerra imperialista, colonialista, nazionalista, sciovinista, razzista, di aggressione, mentre non potranno che sostenere una guerra di liberazione, nazionale e/o sociale, una guerra partigiana, una guerra di popolo e una guerra civile rivoluzionaria.

Peraltro sono gli stessi padri del neoliberismo come Von Hayek a denunciare la democrazia come una forma di oppressione della maggioranza dei più poveri nei confronti dei più ricchi. Per cui ogni forma di democrazia sarebbe da considerare dittatoriale e liberticida. Naturalmente, ragionando in questo modo, non sarebbe mai legittimo mettere in discussione l’oligarchia e nemmeno una dittatura militare e fascista come quella di Pinochet, dal momento che avrebbe avuto il merito di rovesciare il governo, per quanto democraticamente eletto, di Salvador Allende.

Per quanto riguarda l’attuale conflitto fra Russia e Ucraina i comunisti sono, dunque, contrari alla guerra nazionalista condotta da entrambe le parti, che favorisce le classi dominanti creando contrasti pretestuosi fra le classi subalterne. I comunisti sono anche contrari alla guerra imperialista condotta dalla Nato per procura attraverso gli sciovinisti e filoimperialisti ucraini. Sono inoltre contrari alla guerra di aggressione, in tutti i suoi aspetti: dalla aggressione crescente della Nato nei confronti della Russia, alla aggressione degli sciovinisti ucraini contro le popolazione russofone, all’aggressione del capitalismo russo ai territori ucraini, che creerà enormi difficoltà negli anni a venire per ricostruire la solidarietà e l’unità di classe fra il proletariato russo e il proletariato ucraino.

In astratto i comunisti sarebbero a favore della guerra di liberazione e per il diritto all’autodeterminazione condotta dagli abitanti del Donbass contro gli sciovinisti ucraini giunti sostanzialmente al potere dopo la controrivoluzione colorata di Maidan, e della guerra degli ucraini contro le truppe russe di occupazione. Entrambe queste guerre nella situazione attuale non possono però essere sostenute, in quanto hanno sacrificato il loro aspetto potenzialmente rivoluzionario e di guerra di popolo divenendo di fatto uno strumento dei capitalisti e degli sciovinisti ucraini e russi.

 

Note:

[1] Hegel, G.W.F., Scritti storici e politici, tr. it. di G. Bonacina, a cura di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari, p. 106.

10/06/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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