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In difesa dello spirito di scissione e dell’unità dei comunisti

Nell’editoriale dello scorso numero di questo giornale si sosteneva l’esigenza, seguendo l’esempio della Grecia, di rompere con i socialdemocratici per ricostruire


In difesa dello spirito di scissione e dell’unità dei comunisti

Nell’editoriale dello scorso numero di questo giornale si sosteneva l’esigenza, seguendo l’esempio della Grecia, di rompere con i socialdemocratici per ricostruire, a partire dall’unificazione dei comunisti, un fronte ampio anticapitalista e antimperialista. Nel presente articolo intendiamo rispondere alle obiezioni più comuni a questa prospettiva.

di Renato Caputo

Dobbiamo necessariamente fare tesoro delle contraddizioni che hanno portato alla rapida caduta del primo significativo tentativo di un governo di sinistra che cerchi di contrastare l’austerità imposta dalla Troika. È indispensabile imparare dal passato per evitare di ripeterne gli errori. Per questo nel precedente articolo abbiamo delineato l’esigenza nel nostro paese di rompere da subito ogni forma di alleanza in posizione subordinata con la socialdemocrazia, puntando a riunificare i comunisti. La rifondazione di un partito comunista è, infatti, la conditio sine qua non per lo sviluppo anche in Italia di un fronte ampio contro questo governo, che rappresenta in modo sempre più aperto gli interessi del grande capitale finanziario.

Il senso comune di una parte significativa del “popolo di sinistra” del nostro paese ritiene questa parola d’ordine astratta e poco praticabile, visti gli attuali rapporti di forza svantaggiosi ai ceti sociali subalterni. Essa sarebbe il prodotto di una logica identitaria e minoritaria, in grado di svolgere al più un residuale ruolo di testimonianza. Perciò si ritiene indispensabile costruire un soggetto unitario con chi nel nostro paese rivendica l’esperienza “socialdemocratica” dell’Ulivo, mettendo da parte sine die l’esigenza di rifondare un partito comunista degno di questo nome. Cercheremo, dunque, di rispondere alle critiche all’unità dei comunisti e al fronte anticapitalista su cui si fonda la presunta mancanza di alternativa all’alleanza, in posizione per altro subalterna, dei comunisti con i socialdemocratici.

1. L’accusa di minoritarismo è la più sovente rivolta a chi si ostina in questa fase di restaurazione a voler costruire un fronte ampio in netta opposizione al liberismo imperante. Si ritiene, infatti, che in tal modo ci si condannerebbe a restare sempre all’opposizione. È la stessa logica che ha portato il Pci a sciogliersi fino a divenire l’attuale partito della Nazione, che ha portato all’oggettivo fallimento del governo e alla scissione del partito della sinistra radicale greca, che ha portato Rifondazione comunista agli attuali minimi termini per aver appoggiato due governi social-liberisti. Tale logica – che in fondo si riduce al paradosso di M. Cacciari per cui per poter governare bisogna far proprie le prospettive dell’avversario, dal momento che ha l’egemonia – rischia di portarci oggi all’eutanasia della prospettiva della rifondazione comunista, per avere un posto minoritario nel processo costituente di una nuova sinistra di governo, neoulivista guidata dai Vendola e Civati.

2. La riproposizione della sinistra di lotta e di governo di bertinottiana memoria si giustifica ancora una volta con l’esigenza di riunificare l’intera sinistra per poter tenere testa all’altrimenti inarrestabile offensiva della destra. Evidentemente, in tal caso, il problema risiede nella definizione del termine “sinistra”, che nell’uso comune denota empiricamente le forze che siedono alla sinistra del presidente della camera. Al contrario, dal punto di vista del concetto, per sinistra si devono intendere le forze che si schierano dalla parte dei subalterni nel conflitto fra capitale e forza-lavoro i. Da questo punto di vista credo sia ancora valida la lezione dei classici, in primo luogo di Lenin, che sostenevano come fosse utile l’unità dei comunisti con i socialdemocratici per rafforzare opposizione a un governo di destra, a patto che i primi conservassero l’imprescindibile necessità di denunciare davanti alla propria classe di riferimento l’illusorietà delle soluzioni riformiste. Dunque, l’unità di azione contro il comune nemico non doveva in nessun modo ostacolare il necessario conflitto ideologico per contendersi l’egemonia sulle masse. D’altra parte tale unità d’azione doveva necessariamente interrompersi nel momento in cui le forze socialdemocratiche, nel senso odierno del termine, fossero andate al governo, dal momento che i comunisti non potevano certo mirare a governare un sistema economico-politico che intendono contrastare.

3. Si rimprovera a chi intende rompere con le logiche di austerità insite nello stesso codice genetico dell’Unione europea, che in tal modo ci si precluderebbe la possibilità di allargare il proprio orizzonte politico a livello europeo. Evidentemente, al di là delle apparenze, è proprio questa posizione a essere troppo limitata, dal momento che nel DNA dei comunisti vi è la prospettiva internazionalista. Tanto più che mai come oggi appare evidente che, nonostante le contraddizioni interne, le potenze imperialiste quando si tratta di affrontare chi si sottrae al proprio dominio agiscono all’unisono, come ad esempio nella Nato. Dunque, per avere speranze di vittoria, il fronte dei lavoratori deve essere necessariamente internazionale e proprio per questo non può essere euro-centrico ii. Tanto più che la forma attuale del nazional-socialismo, ovvero del populismo di destra rivendica la difesa degli interessi dei lavoratori italiani o comunitari contro gli extra-comunitari, dinanzi ai quali l’Unione europea si presenta come una fortezza ostile. Senza contare le molteplici aggressioni imperialiste di cui i paesi dell’Unione europea si sono macchiati, spesso all’unisono con l’imperialismo statunitense, contro i paesi che, in modo per quanto discutibile, non accettavano un ruolo subalterno.

4. Si sente spesso dire che al di fuori dall’Unione europea non ci sarebbe modo di portare avanti politiche progressiste. Tale posizione è facilmente confutabile non solo dal punto di vista teorico-razionale, ma dallo stesso punto di vista storico-empirico. Negli ultimi anni sono stati proprio paesi extra-europei, il Venezuela in primis, a costituire le più significative esperienze di governo in grado di rovesciare la tendenza dominante a livello globale. Mentre invece non c’è un solo caso di paese dell’Unione europea dove le forze di sinistra, pur vincendo le elezioni, siano riuscite a invertire la tendenza; valgano per tutti gli ultimi due esempi di Cipro e della Grecia, per non parlare dei governi di centro-sinistra italiani o francesi. Fra l’altro se si paragonassero le politiche portate avanti dal governo venezuelano e dal governo guidato da Tsipras ci si renderebbe facilmente conto che hanno proceduto in direzione sostanzialmente opposta. Non a caso l’imperialismo statunitense ha nel Venezuela un nemico mortale, mentre con il governo di Tsipras ha mantenuto buoni rapporti per la collaborazione militare nella Nato e il comune aperto sostegno a Israele iii.

5. Ancora più imbarazzante appare la prospettiva di costruire l’unità della sinistra sull’europeismo, ossia sull’internità all’Unione europea. Tale prospettiva è solo apparentemente unitaria, perché in primo luogo contrappone nei fatti la sinistra europeista ai paesi del terzo mondo, che continuano a subire aggressioni imperialiste. In secondo luogo indicando nell’Ue il perimetro della sinistra europea, se ne escludono le masse di extra-comunitari più o meno condannati alla clandestinità, oltre a tutti i cittadini dei paesi europei esclusi dall’UE iv.

6. Altro luogo comune della nostrana a-sinistra è la necessità della prospettiva di governo come strumento ritenuto indispensabile per poter favorire realmente il proprio blocco sociale. Anche in questo caso non solo la teoria marxista sostiene esattamente il contrario, ma tali posizioni sono confutate dallo stesso corso storico. In tutti i paesi a capitalismo avanzato in cui, a partire dalla Francia di Mitterand, le sinistre hanno governato sono cresciute le differenze sociali, mentre in diversi casi in cui i comunisti sono stati in maniera conseguente all’opposizione, come il caso italiano ai tempi del Pci insegna, tali differenze tendevano a diminuire.

7. Altrettanto spesso si sente obiettare che l’unità dei comunisti non sarebbe possibile né auspicabile perché vi sono forze che si definiscono comuniste, ma portano avanti politiche non di sinistra. Anche da questa apparente contraddizione si esce distinguendo fra chi si dice comunista e chi opera da comunista. In altri termini anche in questo caso vale la distinzione fra il cattivo senso comune che ritiene comunista chiunque si dichiari tale e la logica del concetto per cui si definisce comunista la parte più avanza e cosciente della forza-lavoro in lotta con il capitale, ossia le avanguardie riconosciute dei lavoratori salariati, che indicano nella direzione di ampliare e radicalizzare la lotta per abbattere il capitalismo e sviluppare la transizione al socialismo. Se non si operasse tale distinzione non solo non ci sarebbe più bisogno della scienza, ma non si potrebbe, paradossalmente, nemmeno più distinguere l’estrema destra, propugnatrice di un socialismo nazionale, dai fautori della transizione al socialismo.

8. Si sente spesso ripetere che, considerati gli attuali sfavorevoli rapporti di forze, si dovrebbero mettere da parte le chiacchiere sulla prospettiva della transizione al socialismo e portare avanti nei fatti una politica riformista. Tale posizione dimentica che in primo luogo non solo dal punto di vista teorico, dal punto di vista del marxismo, ma anche dal punto di vista storico-empirico le più significative riforme le hanno fatte le forze che miravano a un rivolgimento radicale dell’ordine costituito. Anzi ogni qualvolta si è abbandonata tale prospettiva in nome del realismo più che riforme si sono realizzate contro-riforme. Tanto più che l’attuale situazione di crisi internazionale e di assenza di un campo socialista, rende sostanzialmente irrealizzabile una politica riformista, visto che i margini di profitto tendono a diminuire e, quindi, sempre meno c’è da ridistribuire, considerato anche che le più forti alternative al capitalismo appaiono essere oggi le forze dell’integralismo religioso. Tanto meno tale prospettiva riformista appare credibile e verosimile all’interno dell’Unione europea, considerati gli statuti liberisti su cui tale unione si è fondata e che impediscono, nei fatti, anche una politica di stampo keynesiano v.

9. Proprio per questo appaiono poco credibili le giustificazioni addotte dalla maggioranza di Syriza e dai suoi sostenitori della sinistra europea per cui stando al governo si potrebbero mitigare o addirittura volgere a favore dei lavoratori le politiche di austerità imposte dai memorandum della troika. Tanto più se tali memorandum sono stati votati con il consenso delle forse socialdemocratiche che poi intenderebbero renderli esecutivi in senso progressista vi. Persino un ex ministro del governo Letta, dinanzi alla domanda del giornalista de Il manifesto, «Non crede che con un nuovo mandato potrà guadagnare margini di interpretazione di quell’accordo? Magari strapperà la rinegoziazione del debito?», ha risposto «Il debito sarà ristrutturato comunque perché non è sostenibile [tanto più che a chiederlo è il Fondo monetario internazionale], ma nel breve e medio periodo non avrà effetti. L’ulteriore deregolazione del mercato del lavoro, le privatizzazioni — cioè la svendita degli asset più profittevoli alle imprese pubbliche tedesche — sono già stati definiti, le condizioni del paese possono solo peggiorare. Promettere un’interpretazione “sociale” del memorandum è propaganda. Quando ti sei impegnato a fare un avanzo primario di 3,5 punti percentuali e tagli pesanti già da quest’anno puoi dire addio al sostegno al reddito» (http://ilmanifesto.info/fassina-elezioni-inutili-tutti-sconfitti/ vii. A prescindere dal fatto che chi si assume la responsabilità di firmare tali memoriali, soprattutto se è stato eletto con programmi radicalmente opposti, difficilmente manterrà il consenso necessario a renderli esecutivi, i memorandum firmati con la troika determinano una svolta nella politica di un paese, come la storia oltre alla teoria insegnano. In altri termini ne risultano modificate le strutture economico-produttive con la riduzione del mercato interno a favore dell’esportazione, i servizi pubblici lucrativi sono privatizzati, generalmente posti sotto il controlli del capitale finanziario transnazionale, si estende la precarizzazione della forza-lavoro e tendono a legalizzarsi i licenziamenti, ha il sopravvento la previdenza privata sulla pubblica, il sistema fiscale pesa sempre più sui lavoratori e i pensionati, aumenta il debito pubblico e privato rispetto al Pil. In tali condizioni un’applicazione di sinistra di tali politiche è, a essere ottimisti, una pia illusione.

10. Non reggono alla prova dei fatti nemmeno le obiezioni (fatte proprie in Italia da Sel, in Grecia da ambienti vicini a Tsipras) che stando al governo, pur non rompendo con la logica dell’austerità, sarà possibile varare misure favorevoli ai subalterni come il reddito di cittadinanza. In questo caso, al di là degli aspetti utopistici, che sono rimasti fino a ora al massimo delle pie illusioni, tutte le volte che forme di sostegno al reddito sono state realizzate hanno finito per andare contro gli interessi dei lavoratori viii. Resta, infatti, la questione di come individuare le risorse per questo ammortizzatore sociale, che per altro aumenterebbe il baratro fra italiani e immigrati privi di cittadinanza. Se come vorrebbero i liberisti tali risorse venissero dallo smantellamento del cosiddetto welfare state, tali misure sostituirebbero un diritto collettivo con un diritto individualista favorendo la logica egoista del capitalismo. Se le risorse fossero prese, come generalmente è avvenuto, da quanto prodotto dal lavoro salariato, si avrebbe lo svantaggio di contrapporre lavoratori, sempre più impoveriti, a disoccupati che sopravvivono grazie a un reddito. Infine se si avesse davvero la forza di farlo finanziare dai capitalisti e dalle rendite, tolto che il loro reddito dipende unicamente dallo sfruttamento di quanto prodotto dalla forza lavoro salariata, richiederebbe la costruzione di rapporti di forza notevolmente differenti, sviluppando un poderoso conflitto sociale. A questo punto, però, non resta che domandarsi se è sensato impegnarsi a costruire un tale conflitto per avere un mero palliativo, per cui continueremo ad avere una parte della forza-lavoro sempre più sfruttata e un’altra condannata alla disoccupazione o a lavori precari? Tanto varrebbe allora spendere i rapporti di forza conquistati per imporre una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi.

11. Si sostiene che la rottura con il riformismo di destra rende necessaria la ricerca di alleanze con un estremismo di sinistra ancora più pernicioso. Anche da questo punto di vista però né la teoria né la prassi sono in grado di suffragare tale tesi. Non solo perché i classici del marxismo hanno sempre sostenuto l’esigenza di condurre una duplice lotta contro il riformismo di destra e l’opportunismo di sinistra, ma perché generalmente la subalternità al primo, storicamente molto più frequente, ha prodotto danni ben maggiori. L’estremismo di sinistra, dal punto di vista marxista, è una malattia infantile del comunismo, da cui è possibile uscire con un processo di maturazione, che può essere favorito dalla collaborazione con le forze comuniste. Mentre il riformismo di destra è sempre una mistificazione della realtà, un far credere che il capitalismo sia riformabile, che sia possibile ottenere avanzamenti senza la lotta di classe, posizioni che i comunisti non si possono stancare dal denunciare come illusorie ix.

12. Occorre altresì confutare il senso comune che ritiene irrealistico battersi contro la Nato o schierarsi anche una volta al governo per l’unificazione dei lavoratori autoctoni e immigrati. In entrambi i casi si tratta di battaglie indispensabili se si intendono davvero rimettere in discussione i rapporti di forza e rendere ancora credibile e verosimile la parola d’ordine della transizione al socialismo.

13. Un’altra obiezione piuttosto comune ritiene sia preferibile, piuttosto che frazionare ulteriormente la sinistra politica, rompere quanto resta dell’unità della sinistra sindacale, a partire dalla Cgil. Si tratta di un argomento tipicamente anarchico e proudhoniano, sviluppato in particolare da Sorel, per cui a essere rivoluzionario non è il partito politico, ma il sindacato o meglio il movimento il più possibile spontaneo dei lavoratori, che va contrapposto alle burocrazie sindacali. In tal modo si finisce per indebolire la lotta sindacale separando i pochi lavoratori consapevoli dalle masse dei privi di coscienza, condannati a essere diretti da burocrati e si indebolisce la lotta politica che ha bisogno di direzione consapevole e organizzazione.

14. Si tende inoltre a sottolineare l’esigenza di stare al passo con i tempi, rivedendo le forme organizzative della sinistra che devono mutare con i cambiamenti intervenuti sul terreno storico-sociale. In tal modo, però, si finisce spesso per considerare come novità al passo con i tempi soluzioni ancora più datate o ancora più confutate dal corso del mondo, come quelle del socialismo utopistico o piccolo borghese x.

15. Anche in ciò scimmiottando Tsipras, molti apprendisti epigoni italiani hanno sottolineato che quella della maggioranza di Syriza sarebbe stata una mossa vincente in vista dei cambiamenti dei rapporti di forza prodotti dal voto portoghese, spagnolo e, perché no, inglese e statunitense. Dunque il nemico, la Germania, sarebbe in crisi e sarebbe alle porte un’inversione di tendenza globale, e in particolare europea, al pensiero unico liberista. Tale posizione, in primo luogo, scambia le cause con gli effetti, ossia il termometro elettorale con i reali rapporti fra le classi che misura; non si capisce, dunque, come la netta marcia indietro di Tsipras possa favorire le forze della sinistra radicale di altri paesi xi.

16. Gli apologeti di Tsipras, infine, tendono a sottolineare l’importante gesto democratico compiuto con il ritorno alle urne, omettendo di dire che era in primo luogo un atto dovuto, visto che il governo aveva perso la maggioranza e temeva il voto di fiducia, dal momento che poteva salvarsi solo grazie a un voto della destra liberista piuttosto improbabile. Tanto più che la politica del governo non aveva nemmeno più il consenso necessario negli organi dirigenti del proprio stesso partito. Inoltre il ricorso alle urne era indispensabile per impedire alla sinistra anti memorandum di riorganizzarsi autonomamente e affinché gli elettori non avessero modo di abbeverarsi al calice amaro delle ricette lacrime e sangue prescritta dal terzo memorandum xii. Non a caso, a parte la reazione degli organi populisti di destra, i vertici dell’establishment europeo non si sono minimamente scomposti dinanzi alla scelta di Tsipras di ricorrere alle elezioni anticipate, sono infatti del tutto sicuri che almeno da quel lato non hanno proprio nulla da temere, dal momento che quel che resta di Syriza si è ormai autocanditato a farsi garante dell’applicazione del memorandum, tenendo sotto controllo il conflitto sociale e l’opposizione di sinistra, favorendo così di fatto le critiche populiste dell’estrema destra.

Note

i Evidentemente se tale necessario scarto fra verità e apparenza non sussistesse, come pretende il cattivo senso comune, non ci sarebbe neanche bisogno della scienza, come sottolineavano già Marx ed Engels.

ii Non a caso sin da il Manifesto del partito comunista i classici del marxismo indicano come parola d’ordine l’unificazione dei lavoratori di tutto il mondo.

iii Tanto più che la rivendicazione della sovranità nazionale è presente sia in Syriza, sia nella sinistra venezuelana, con la significativa differenza che in quest’ultimo caso si mira alla costruzione di una Patria grande, ossia alla costruzione a partire dall’Alba di un blocco di paesi subalterni dell’intera America latina in funzione antimperialista, cercando per altro di ampliare questa alleanza a tutti i popoli del mondo presi di mira dall’imperialismo. Si tratta, dunque, di un progetto continentale antitetico a quello dell’Unione europea la cui politica è sempre stata nei fatti imperialista o filo-imperialista.

iv Anzi i paesi oggettivamente su posizioni di contrasto all’imperialismo, come la Biellorussia e la stessa Federazione russa, sono considerati dall’Unione europea un pericoloso nemico. Inoltre, anche fra i partiti antimperialisti e comunisti dell’Unione europea, le forze più ortodosse sono contrarie all’Unione europea alla quale contrappongono una posizione internazionalista e orientata a combattere in primo luogo il proprio imperialismo. Non a caso il movimento comunista è sorto proprio rompendo con le forze social-imperialiste che sostenevano la necessità di appoggiare il proprio imperialismo contro le potenze antagoniste.

v Anzi, in prospettiva, con l’inserimento del pareggio di bilancio in costituzione, con il fiscal compact che incombe e con gli accordi ultraliberisti fra UE e USA (TTIP) i margini per una politica anche moderatamente riformista tendono ancora più a dileguare.

vi Sono le stesse forze conservatrici e filo UE a sottolineare come «sarebbe un’illusione immaginare che le politiche di austerità terminino a breve». Al contrario, sottolineano, «il programma di aggiustamento durerà circa 20 anni», nel corso dei quali i paesi firmatari continueranno «almeno fino al 2035 ad essere sotto sorveglianza speciale della Troika». Matteo Bortolon, in «Il manifesto» del 21 agosto 2015 pag. 14.

vii Andrea Fabozzi, Fassina: “Elezioni inutili, tutti sconfitti”, in «Il manifesto», edizione del 22.08.2015. Alla successiva domanda del giornalista sulla crisi del governo Tsipras: «È un colpo per tutta la sinistra, europea e anche italiana che già si divide sulla scelta di Tsipras. Podemos in Spagna e Sel in Italia per esempio la approvano», così ha risposto Fassina: «Non sono d’accordo. Potrei esserlo solo se pensassi che con il memorandum la Grecia potrà riprendersi un po’, invece sono convinto del contrario. A breve si troverà a fare i conti con un’economia più depressa. E Syriza uscirà dalle urne più debole» (ibidem).

viii Del resto, dal punto di vista teorico, sono ipotesi che sorgono all’interno del pensiero unico dominante liberista, che vuole sostituire i diritti sociali con diritti individuali, dando a ognuno il minimo indispensabile per sopravvivere e lasciando tutto il resto alle leggi del mercato.

ix Tanto più che nei paesi a capitalismo avanzato più o meno da un secolo i riformisti non rappresentano più l’ala destra del movimento dei lavoratori, ma l’ala sinistra della classe dominante, divenendo così parte del problema e non della sua soluzione.

x Da questo punto di vista i sostenitori del nuovismo, i rottamatori dell’ortodossia comunista, tendono a seguire correnti fallimentari altrettanto del passato come l’eurocomunismo, sorto sulla scia della Ostpolitik di Willy Brandt, niente di più storicamente inattuale, o della Perestroika gorbacioviana, niente di più fallito e di meno rimpianto da chi ne ha patito le conseguenze sulla propria pelle. Decisamente più innovativo sarebbe provare a rendere operativa la concezione gramsciana, mai veramente sperimentata storicamente, in primo luogo per la repressione del fascismo, in secondo luogo per il suo abbandono da parte della maggioranza del Pci sin dalla metà degli anni Cinquanta.

xi Non a caso persino Iglesias, il leader di Podemos, il più vicino a Tsipras, si è subito precipitato a togliere la foto del leader greco dal suo profilo facebook. Tanto più che proprio Podemos, sui cui più puntano Tsipras e i suoi epigoni italiani, è in caduta libera nei sondaggi, nonostante abbia giocato la carta populista del né di destra né di sinistra rifiutando la coalizione elettorale con la sinistra radicale spagnola.

xii Tanto più che è stato lo “stesso cerchio magico” di Tsipras a sottolineare che l’esigenza di tornare alle urne era dovuta al fatto che la firma del memorandum aveva aperto uno scenario assolutamente diverso dal mandato ricevuto con le elezioni e ancora di più dal no al referendum. Per quanto sia imbarazzante, occorre ricorrere ancora a Fassina, fra i pochi parlamentari italiani a mantenere lucidità di analisi, non intendendo divenire un epigono di Tsipras; al giornalista che lo incalza: «riconoscerà però il valore democratico del richiamo agli elettori», risponde il ministro del più recente governo tecnico: «ma né il programma con il quale Tsipras ha vinto a gennaio né il risultato del referendum sono stati rispettati. Adesso le elezioni sono inutili, un esercizio virtuale, una ginnastica senza scopo. Chiunque vinca, il programma del prossimo governo è scritto fino alle virgole nel memorandum. I margini di manovra sono ridottissimi. A breve, con o senza ristrutturazione del debito, il paese si troverà con più disoccupazione e con i pochi pezzi di apparato produttivo che restano ceduti alla Germania» (http://ilmanifesto.info/fassina-elezioni-inutili-tutti-sconfitti/).

06/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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