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A che punto è la Brexit?

Il governo inglese prepara lentamente la Brexit, da destra.


A che punto è la Brexit?

Dall’Apocalisse all’indifferenza. Nei giorni immediatamente successivi al referendum inglese, i media italiani hanno dedicato molto tempo alle visioni catastrofiche del futuro britannico dopo la vittoria dell’uscita dall’Unione Europea. A distanza di pochi mesi, la questione è stata sempre più spostata verso le pagine interne dei quotidiani fino a essere quasi dimenticata.

In parte è certamente dovuto al ritmo molto lento che hanno preso le operazioni del nuovo governo conservatore a Downing Street, in parte perché, dopo aver descritto un paese allo sbando sull’orlo del baratro, la realtà si è rivelata un po’ diversa.

Nessun tracollo economico (per ora)

Per quanto le previsioni rimangano negative, gli scenari di un crollo immediato dell’economia britannica per ora non si sono verificati. L’istituto statistico NIESR ha pubblico il 7 Settembre un report in cui ha stimato una crescita del PIL nel trimestre Giugno-Agosto 2016 dello 0,3%,dovuta principalmente a una leggera crescita della produzione industriale. Nulla di straordinario, ma più del -0,2% previsto precedentemente dall’Istituto. Inoltre, sempre secondo NIESR, si è molto ridotta la possibilità che entro la fine del 2017 il Regno Unito vada in recessione tecnica [1].

Secondo i dati raccolti dal Business Insider, ad Agosto la produzione industriale misurata dal Purchasing Managers Index è scesa o stagnata in molti paesi rispetto al mese di Luglio. Stagnante attorno al valore di 51 in Spagna, dal 53,8 al 53,6 in Germania, dal 51,2 al 49,8 in Italia, dal 48,5 al 48,3 in Francia [2].

Anche il tasso di disoccupazione è sceso al 4,9%, il tasso più basso da prima dell’inizio della crisi nel 2008, va comunque sottolineato che il metodo di calcolo della disoccupazione nei paesi anglosassoni è spesso meno stringente di quello usati nell’Europa continentale. In ogni caso, questo piccolo rimbalzo, dovuto in parte alla svalutazione della sterlina dopo il referendum, non risolve i problemi cronici dell’economia inglese, tantomeno quelli delle zone economicamente depresse che hanno votato in massa per la Brexit.

Theresa May e l’uscita da destra

Dopo aver vinto la guida del Partito Conservatore, Theresa May ha formato il governo dicendo che “Brexit significa Brexit”, ma senza fretta. L’attivazione immediata della procedura di uscita dell’Articolo 50 è stata una richiesta piovuta con diverse motivazioni da diverse parti – dallo UKIP, dalla campagna Labour Leave, da alcuni leader europei – ma Downing Street ha tutt’altro che fretta.

I più accesi conservatori sostenitori dell’uscita sembravano scomparsi dopo il voto - molti giornalisti italiani li hanno paragonati all’apprendista stregone che fugge di fronte a ciò che ha evocato – ma sono poi prontamente tornati nei posti chiave: Boris Johnson come ministro degli esteri e David Davis come ministro per la Brexit. L’unico rimasto fuori dai giochi è Micheal Gove, in preda a uno spostamento verso destra troppo pesante anche per l’ala destra dei conservatori.

Dopo aver passato l’estate a costruire da zero una squadra di tecnici per la negoziazione, il governo May ha cominciato a rilasciare dichiarazioni su cosa intende ottenere dai negoziati sulla Brexit. In poco parole: circolazione controllata delle persone anche dei paesi UE, libera circolazione dei beni, circolazione controllata dei servizi, libera circolazione della finanza. Secondo le parole del ministro Davis, il piano del governo è “avere accesso al mercato unico europeo”, ma non necessariamente la piena partecipazione a esso.

Sempre secondo il piano del governo, il Parlamento inglese non avrà la possibilità di votare sul piano per la Brexit prima che il governo invochi l’Articolo 50, dando così il via alla procedura formale per l’uscita. D’altra parte, non è ancora stata discussa la data in cui l’Articolo 50 verrà invocato.

Anche dall’Europa nessuna fretta

La fretta non sembra pervadere neanche i partner europei. Se, appena dopo il referendum, molti avevano chiesto l’avvio immediato delle procedure, ora i toni sono molto più leggeri e differenziati. Certamente, capo negoziatore da parte dell’Unione Europea è stato nominato Guy Verhofstadt, capo del gruppo liberale all’Europarlamento e noto per le sue schermaglie verbali con i critici dell’UE. La nomina sembrerebbe implicare la linea dura in stile “fuori subito”, ma ci sono altre forze da controbilanciare.

Una delle questioni è stata trattata esplicitamente dal primo ministro danese Rasmussen: bisogna stare attenti che una separazione netta non metta il Regno Unito nella posizione di essere troppo competitiva rispetto agli altri paesi europei, bisognerebbe cercare di mantenere l’unità del mercato europeo e la vicinanza di Londra all’Europa. In pratica, Rasmsussen invita a non rischiare di lasciare troppo libera Londra pur di staccarsene immediatamente. La stessa Angela Merkel ha dichiarato pubblicamente di non voler forzare i tempi prima che si capisca quale sarà il futuro rapporto tra Unione Europea e Regno Unito.

A che punto è la Brexit? In realtà, non lo sappiamo e forse solo Theresa May e pochi altri sanno quando sarà invocato l’Articolo 50. Quello che sappiamo è che, seppure a rilento, è da parte inglese in campo un progetto di uscita da destra dall’Unione, che gli intenti più bellicosi nei confronti dell’UK sono rimasti per ora solo retorica e che crescono da parte europea le pressioni affinché la Brexit cambi il meno possibile lo status quo.


Note

[1] http://www.niesr.ac.uk/sites/default/files/publications/gdp0916.pdf

http://www.economiccalendar.com/2016/09/07/uk-niesr-gdp-estimate-suggests-slight-growth-for-q3/

[2] http://uk.businessinsider.com/markit-manufacturing-pmis-for-august-2016-9

17/09/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Paolo Rizzi
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