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Crisi senza fine in Brasile

L’attuale crisi in Brasile, apparentemente senza ritorno, apre scenari disastrosi per il futuro, ma al contempo possibilità di grandi sconvolgimenti sociali.


Crisi senza fine in Brasile

La crisi brasiliana sembra sia arrivata a un punto di non ritorno, in cui la rottura non sembra appena possibile, ma addirittura appare inevitabile. L’aumento dei casi da Covid-19, uniti al collasso del sistema sanitario in pressoché tutto il paese, l’aumento della disoccupazione e della fame pongono all’angolo Bolsonaro e i suoi sostenitori politici, nonostante il suo tentativo ipocrita nella conferenza stampa di martedì di presentarsi come colui che vaccinerà tutta la popolazione e il licenziamento del generale Pazuello [1] e la sua sostituzione per l’ennesimo ministro inquadrato con l’irrazionalità bolsonarista, Marcelo Queroiga. La risposta di Bolsonaro non può che essere l’ulteriore radicalizzazione del quadro politico, testimoniato dalle continue minacce a cui sono sottoposti gli attivisti, di essere denunciati secondo la legge di sicurezza nazionale, da parte di qualunque vigile o poliziotto. Vista la difficoltà di ottenere ascolto presso i tribunali, che debbono mantenere almeno una parvenza di legalità, queste operazioni saranno con ogni probabilità portate avante da gruppi paramilitari, che si stanno sviluppando un po’ ovunque nel paese. Il golpe che Bolsonaro ha in mente sarà molto difficile da portare avanti vista la sua popolarità in caduta libera e le sue minacce non sembrano al momento andare al di là di semplici spacconate. Il monopolio dei media tende a ingigantirle per fare il gioco della destra “moderata” che prepara una grande coalizione per sconfiggerlo alle elezioni del 2022 e creare un nuovo regime politico che la mantenga al potere per lungo tempo.

I militari sembrano vedere nella catastrofe che si avvicina l’opportunità per aumentare ancora il loro potere, riprendere gli spazi politici persi almeno parzialmente nell'ultimo trentennio “democratico” e garantire così la propria corporazione e i propri privilegi. Essi difendono dunque Bolsonaro affinché si crei una situazione quanto peggiore possibile che renda necessario un loro intervento più massiccio e un ulteriore giro di vite sulle residue libertà democratiche. L’esempio del 2018, con l’intervento militare nello Stato di Rio de Janeiro, che ha provocato un aumento della violenza contro la popolazione, un rafforzamento del potere delle milizie paramilitari e la sospensione delle indagini sulla morte di Marielle Franco dimostrano chiaramente cosa potrebbe succedere su larga scala. Il caso della vicina Colombia è emblematico, dove l'aumento della violenza contro i militanti di opposizione, anche dei più moderati, è sistematico. Un eventuale governo Mourao, che farebbe seguito all’eventuale impeachment di Bolsonaro, avrebbe come unico effetto rafforzare la militarizzazione in atto, non diminuirla.

La scarcerazione di Lula, che rappresenta per tutti coloro che credono a una soluzione istituzionale a questa crisi l'elemento dirimente, e che invece rimette molto di più al tentativo della destra tradizionale del Congresso e del Supremo tribunale federale di svincolarsi dal controllo dei generali piuttosto che a quello reale di rimettere in gioco l'ex presidente, non risolverà la crisi nì nel breve, né nel lungo termine. Questo perché tale tentativo rimette all'esigenza della borghesia di difendere i propri interessi e le proprie corporazioni, colpendo l’insieme giudiziario denominato come “Lava-Jato” e che aveva portato all'arresto di molti corrotti. E poi perché la realtà della miseria è purtroppo destinata ad imporsi in un contesto di disoccupazione crescente, precarietà esistenziale e riduzione dei programmi del governo. Inoltre il Pt non ha in nessun momento negli ultimi 2 anni organizzato mobilitazioni contro il governo, limitandosi a puntare tutte le sue carte sulle elezioni del 2022, dove è convinto di vincere. Sembrano mirare piuttosto al ruolo di opposizione “ufficiale” al regime che si sta imponendo nel paese. E d'altra parte i 13 anni di governo Pt tra il 2003 e il 2015 hanno mantenuto ben poche delle promesse fatte, creando un vuoto nella coscienza dei lavoratori e conducendoli sulla strada di un impossibile conciliazione tra interessi contrapposti. Sembra di rivedere lo schema populista presente così tante volte in America latina: quante più promesse il leader populista fa, tanto più è difficile compierle, creando insoddisfazione e delusione e il pretesto per golpe militari.

In ogni caso le elezioni sono fissate per il novembre del prossimo anno e fare previsioni rischia di essere quantomai azzardato. Quello che appare chiaro è che compito dei rivoluzionari e dei sinceri democratici in Brasile è quello di denunciare il sistema di sfruttamento esistente nel paese, rompendo qualunque vincolo con la classe dominante. La pandemia non ha fatto altro che estremizzare situazioni già presenti nel paese: disuguaglianze tra ricchi e poveri, ’ipocrisia dell'essere “tutti sulla stessa barca” quando alcuni possono rimanere in casa e altri una casa nemmeno ce l'hanno, il disprezzo per la popolazione più povera e malata, esclusa quasi totalmente dai programmi vaccinali. Per questo motivo non è possibile confidare nell'attuale sistema politico e nei suoi rappresentanti. Quello che manca è proprio una forza politica in grado di operare questa rottura, ma la storia è tutto fuorché finita.

 

Note:

[1] In realtà il licenziamento non è diventato ancora effettivo, infatti è necessario attribuire un qualche incarico governativo a Pazuello, per mantenergli l'immunità parlamentare, necessaria per evitargli processi legati alla sua disastrosa gestione.

27/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone
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