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Il paese che vorrebbe far lavorare soltanto i suoi cittadini

La Svizzera isola i lavoratori stranieri. Grandi rischi anche per la sua economia


Il  paese che vorrebbe far lavorare soltanto i suoi cittadini

BERNA. È stato approvato dai cittadini del Canton Ticino in Svizzera il referendum di iniziativa popolare “Prima i nostri”. La sostanza del quesito, proposto dal partito di destra UDC, da votare riguarda le maggiori restrizioni per i lavoratori stranieri. Il referendum è passato con il 58% di sì contro il 397% di no. In pratica i promotori hanno chiesto che nel mondo del lavoro, a parità di qualifiche professionali, venga privilegiato che vive sul territorio svizzero.

Fuori dal Paese elvetico le prime critiche sono arrivate dal presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni che su Facebook ha scritto: “Il Canton Ticino ha votato per bloccare l’ingresso a decine di migliaia di lavoratori lombardi (lavoratori, non immigrati clandestini) che ogni giorno attraversano il confine per lavorare (regolarmente) in Svizzera. L’esito del referendum è chiaro: il popolo sovrano si è espresso, viva la democrazia diretta. Accettiamo l’esito del referendum, naturalmente, ma vigileremo perché ciò non si traduca in una lesione dei diritti dei nostri concittadini lombardi o (peggio) nella introduzione di discriminazioni o violazioni delle norme che tutelano i nostri lavoratori. A partire da subito, dunque, la Regione Lombardia predisporrà le adeguate contromisure per difendere i diritti dei nostri concittadini lavoratori”.

Anche il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è intervenuto, su Twitter: “Il referendum anti frontalieri che si è tenuto nel Canton Ticino non ha per ora effetti pratici, ma senza libera circolazione delle persone i rapporti Svizzera-Ue sono a rischio”.

I frontalieri che lavorano in Ticino sono oltre 62mila e provengono principalmente dalle province di Varese e Como, Verbano-Cusio-Ossola (zone di Intra, Domodossola, Valle Vigezzo) e sono parecchi i pendolari italiani che provengono da province più lontane rispetto a quelle di confine. In Canton Ticino, nel distretto meridionale svizzero di Mendrisio il numero dei frontalieri occupati supera quello dei lavoratori locali in particolare nei settori delle costruzioni edilizie, dell’industria e del terziario.

L’Ufficio federale di statistica UST rileva che nel 2001 – prima dell’entrata in vigore dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea – nella Confederazione elvetica lavoravano poco più di 151mila pendolari transfrontalieri. Nel secondo trimestre del 2015 erano quasi 300mila.

In cifre assolute il maggior numero di lavoratori transfrontalieri in Svizzera proviene dalla Francia per prestare la loro attività nella zona di Ginevra e dintorni. Prima della libera circolazione erano quasi 80mila, oggi sono oltre 157mila: È, però, il Cantone Ticino che, proporzionalmente al numero di abitanti, detiene il primato tra tutti i cantoni della Svizzera: il 27% dei posti di lavoro qui è occupato da italiani pendolari.

Anche dalla Germania e dall’Austria arrivano a lavorare in Svizzera transfrontalieri: circa 80mila persone nella regione di Basilea.

Chi ha votato no al referendum ticinese e molti analisti a Berna e Zurigo sono convinti che se venisse confermata dal Parlamento centrale la richiesta dei cittadini del Canton Ticino si creerebbero molti problemi per l’economia svizzera. I frontalieri, generalmente, fanno lavori che i cittadini elvetici vorrebbero evitare di fare e, quindi, come sostengono alcuni Sindacati al momento non dovrebbero esserci problemi sull’occupazione dei lavoratori transfrontalieri, ma sarebbe meglio che la legge confederale tenesse conto della tutela di chi ogni giorno varca la frontiera per svolgere attività nei cantoni svizzeri.

Nel Paese delle banche e della finanza potrebbero essere questi settori ad applicare la scelta di cittadini svizzeri a discapito dei transfrontalieri per occupare posti di lavoro. Insomma una sorta di protettorato per ruoli e competenze professionali di medio-alta dimensione.

La strada formale per una norma vincolante le imprese a scegliere cittadini di nazionalità svizzera prima e piuttosto di lavoratori provenienti da altri Paesi è ancora lunga, ma la questione rimane aperta, soprattutto perché si estende all’accoglienza di extra-comunitari e profughi richiedenti asilo.

La fobia nei confronti dello straniero in questo Paese, che già all’inizio del secolo scorso ha sfruttato i lavoratori migranti, cresce in larghi strati della popolazione che dimentica come la dignità dell’altro dovrebbe venire prima di tutto.

01/10/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Guido Capizzi
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