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Brutti, sporchi e cattivi… oggi

Intervista a Vladimir Kosturi, il padre della ragazza violentata nel quartiere Prenestino, a Roma est.


Brutti, sporchi e cattivi… oggi

L’episodio di violenza accaduto nel quartiere Prenestino, a Roma est, riporta alla mente le scene di miseria e violenza descritte dal notissimo film di Ettore Scola. Come nella pellicola viene magistralmente tratteggiato il carattere del sottoproletariato romano delle borgate dell’epoca, oggi osserviamo una fase differente ma in cui permangono inalterati nella sostanza gli stessi problemi e le stesse cause che li generano. Come dovrebbe affrontare la sinistra la questione dei migranti e del sottoproletariato? Intervista a Vladimir Kosturi, il padre della ragazza violentata.

di P.V., S.D.F. e F.P.C.

Lo incontriamo nel suo quartiere Prenestino, in uno dei pochi bar frequentati e aperti la sera, Vladimir Kosturi [1], albanese, residente da quasi 30 anni in Italia e professore di matematica e fisica, nonché padre di Besjana, la ragazza 26enne balzata, purtroppo, in queste settimane agli onori della cronaca per essere stata vittima di una terribile esperienza proprio in quel quartiere, a pochi passi dalla sua abitazione. Chiediamo a Vladimir di raccontarci cosa è accaduto a sua figlia, consapevoli che il momento per lui è molto delicato sia per la vicenda in sé che per gli sviluppi politici che ha avuto la storia ma altrettanto consapevoli che anche l’umanità ha il suo peso nella coscienza e nella storia di ognuno di noi e poter parlare con quelli che un tempo sono stati compagni di battaglia possa essere un valido conforto.

Era notte e Besjana come altre volte tornava a casa dopo aver salutato la sua amica.

Siamo nel quartiere Prenestino, a Roma est, (stessa distanza dal centro storico dei Parioli). Duecento metri, fiancheggiando il parchetto semiabbandonato, è il tratto di via Teano dove le macchine sfrecciano a tutta velocità e che Besjana doveva percorrere per raggiungere casa.

Un uomo sconosciuto approfittando della solitudine e del buio, l’ha presa e trascinata con forza nella boscaglia violentandola brutalmente. Purtroppo la notte più lunga della sua vita si apprestava solo ad iniziare: l’infame, forse conscio dall’atroce violenza e delle probabili conseguenze, ha poi pensato bene di sequestrarla tutta la notte trascinandola a spintoni nella sua baracca, 250 metri dentro il parchetto abbandonato, dove c’era un suo coinquilino ad aspettarlo… Chissà forse volevano far sparire per sempre le prove del loro infame gesto.

Come è riuscita a liberarsi?

Dal canto suo, lei ha cercato di fare appello a tutto il suo coraggio ed approfittare del punto debole dei due uomini, fingendo di essere accondiscendente e tranquilla per convincerli a uscire dal campo per andare a bere qualcosa assieme e prendere semplicemente un po’ d’aria; all’alba, dopo essere riuscita a convincerli, Besjana è stata accompagnata fuori dalla baracca da uno dei due balordi e, prontamente, è riuscita a scappare correndo e a fiondarsi con il cuore in gola dentro un’auto ferma al semaforo sulla Prenestina guidata da un’ignara guardia giurata che, vedendo la sconosciuta ragazza supplicante in stato di agitazione e paura, è partito senza batter ciglio, conducendola in salvo presso la stazione dei carabinieri i quali, ritenendo attendibili le ricostruzioni, mezz’ora dopo si trovavano già sul posto per arrestare uno dei due criminali.

Vladimir ma tu quando hai saputo del fatto?

Mia figlia non mi ha raccontato subito cosa fosse successo, forse per timore di farmi stare male, forse per una assurda vergogna. Ho iniziato a sospettare che qualcosa fosse successo dopo le ripetute visite in ospedale e al comando dei Carabinieri. Lei mi dava spiegazioni frammentarie e non chiare, che mi inducevano anche a discutere con lei con toni accesi: mi disse che quella notte - dopo che ci eravamo sentiti al telefono proprio poco tempo prima che lei venisse sequestrata - era stata trattenuta in caserma dei carabinieri per avere subito lo scippo della borsa; e i giorni seguenti, mentre segretamente si recava in ospedale per accertamenti e ancora dai carabinieri per contribuire alle indagini, Besjana mi diceva che andava ad accompagnare un’amica al consultorio… Il quarto giorno i carabinieri mi hanno fatto capire qualcosa e Besjana finalmente ha iniziato a confidarsi con me raccontandomi il fatto.”

E poi?

Quando ho scoperto la verità, per poco non perdevo la testa: rabbioso e ancora incredulo, ho subito cercato di diffondere la notizia dell’accaduto nel quartiere e di contattare quanti più conoscenti possibile, sia per trovare un conforto umano sia per organizzare un momento di confronto nelle strade e nelle piazze del quartiere: questa notizia così grave, da non crederci, degna di un film horror, è incredibile che non sia stata immediatamente diffusa; mia figlia è viva, ma questo non è affatto un dato scontato, se lei non avesse avuto la forza di reagire come ha fatto poteva venire uccisa da quei criminali”.

A questo punto dell’intervista abbiamo percepito tutta la tensione e la rabbia negli occhi di Vladimir e quindi abbiamo smesso i panni dei giornalisti per vestire quelli degli amici che un tempo hanno condiviso molte battaglie per i diritti dei lavoratori immigrati, in modo da dargli la possibilità di sfogarsi ma anche di discutere dell’accaduto su un piano più generale e politico. Proprio su questo piano, infatti, i nodi si sono intrecciati ancora di più. Di fronte alla sofferenza profonda di un padre e di una figlia a causa della orribile tragedia subita, le reazioni sono state a dir poco incredibili: tra chi gli consigliava di non fare assolutamente nulla (di politico, s’intende) e non diffondere la notizia per evitare strumentalizzazioni e chi, invece, la sminuiva, asserendo che si trattava di normali episodi di criminalità.

Oltretutto Vladimir e Besjana hanno dovuto addirittura sopportare le voci di chi dubitava che il fatto fosse realmente accaduto e non fosse una pura invenzione, e la posizione di chi - retorica patetica, sconcertante, onnipresente in questi casi - asseriva che la ragazza “se la fosse andata a cercare”.             

Deluso e amareggiato ma non scoraggiato, Vladimir non si è fermato e assieme alla figlia hanno organizzato una manifestazione all’angolo tra via Teano e via Marcianise per il pomeriggio del 14 maggio:

Noi non avevamo nessuna intenzione di connotare razzialmente né politicamente l’incontro; lo abbiamo organizzato per informare i cittadini e le cittadine dell’avvenuto, per sensibilizzare su un problema che c’è che è quello del degrado di alcune zone della città, dove poi è facile che si insinui la criminalità, favorita dai terreni privati in stato di abbandono; in queste baraccopoli (che non sono il vicino campo rom di Villa Gordiani, come riportato erroneamente da molti giornali, ndr) abitano anche delle famiglie rom, molte delle quali sono famiglie per bene, per le quali dovrebbe essere garantita una casa e un lavoro, anche se nessuno ha realmente intenzione di risolvere il problema in questo senso”.

Questo ci dice Vladimir, e continua: “Noi volevamo organizzare un incontro di persone, che partecipassero alla manifestazione per portare a titolo personale la loro solidarietà e vicinanza umana a me ma soprattutto a mia figlia, anche perché di questa gravissima notizia nessuno aveva ancora dato alcuna notizia. Nessuno parlava di quanto accaduto, ho pensato fosse a causa della mia nazionalità straniera. Se un fatto del genere diventa di dominio pubblico c’è più possibilità di avere giustizia. L’incontro era aperto a tutti, così come i successivi che organizzeremo”.

E secondo la stessa ottica, questo padre disperato non si è fermato di fronte a nulla pur di riuscire a sensibilizzare quanta più gente possibile sull’accaduto e spingere le autorità a prendersi le proprie responsabilità e gli inquirenti a proseguire le indagini: avuto notizia di un banchetto elettorale organizzato da Giorgia Meloni nella zona di Torpignattara, Vladimir vi si è recato per volantinare e, avutane la possibilità, ha preso la parola dinnanzi alla folla e alla candidata sindaco di Fratelli d’Italia, la quale ha espresso sui social la propria solidarietà per l’accaduto, ma solamente dopo alcuni giorni e successivamente che la notizia uscisse finalmente anche sui giornali.

Mi pare che sia stato il Messaggero a diffonderla per primo”, ci dice Vladimir. “E solo dopo che sui giornali nazionali è iniziata la diffusione di quanto accaduto a Besjana sono arrivati i comunicati di solidarietà da parte anche di esponenti politici di destra come la Meloni e i militanti di Casa Pound. Quando poi si è interessata al fatto anche la televisione, hanno ricominciato a farsi vivi anche i compagni della zona, prima della manifestazione che stavo organizzando in piazza. Ho ribadito che l’evento era aperto a tutti, che non ci sarebbe stato spazio per caratterizzazioni politiche e razziali di nessun tipo, ma loro hanno insistito nel negare la loro partecipazione, visto che Casa Pound aveva annunciato la propria presenza per il 14. Inoltre mi accusavano di aver riportato nel volantino che i colpevoli fossero due rom rumeni, cosa che, anziché essere valutata come la semplice descrizione di un fatto reale e accreditato, ha fatto immediatamente urlare al razzismo. Al sit-in lo avete sentito, ho ribadito più volte che non si tratta di un problema etnico o di immigrazione clandestina e loro sono stati ben attenti a non esporsi con discorsi razzistiBesjana poi ha fatto un intervento lucidissimo, urlando a gran voce che lei non prova vergogna per quanto accaduto, sono quei balordi che devono vergognarsi, e che queste violenze devono essere denunciate…ho pianto tanto…”.

Ed infatti quel giorno nelle strade del quartiere, mentre organizzazioni e partiti di sinistra “boicottavano” il sit-in, era nutrita la presenza della formazione di estrema destra, che si è presentata senza simboli, bandiere o slogan, ma non ha rinunciato a fare intervenire il proprio candidato sindaco Di Stefano, di fronte ad un’occasione ghiotta di campagna elettorale. Presenza che nei giorni seguenti si è intensificata non poco nel Prenestino, come testimonia la violenta aggressione di pochi giorni fa degli stessi militanti di Casa Pound a tre ignari ragazzi accusati di avere strappato un loro manifesto elettorale all’uscita della palestra che frequentano.

Dall’esperienza del caso di Vladimir e Besjana, forse abbandonati proprio nel momento di maggiore difficoltà da quelle formazioni che si dichiarano progressiste, lasciando quindi il campo libero ai pericolosi populismi e alla retorica violenta e razzista dei neofascisti, si evince chiaramente come il vuoto lasciato dalla sinistra d’alternativa stia creando un problema non indifferente, visto che, da una parte, ci si allontana grandemente da ciò che viene percepito come un grave problema dalle masse dei lavoratori in nome della difesa aprioristica e dal retrogusto samaritano del sottoproletario - anche se, come in questo caso, criminale - e, dall’altra, si offrono soluzioni appiattite sul mero discorso dell’accoglienza buonista del migrante che, in realtà, argomentate così, finiscono per essere parte fondante del problema [2].

Il disorientamento nel quale si trovano le formazioni politiche di sinistra, causato in larga parte dall’egemonia postmodernista che spaccia per superata l’esistenza delle classi e la principale dicotomia sfruttatori-sfruttati - sulla quale si reggono tutte le altre ineguaglianze e discriminazioni - in luogo di una contrapposizione, trasversale alle classi sociali, di singoli soggetti appartenenti a mega-categorie biologiche, sessuali, etiche o politiche (donne vs. uomini, etero vs. omosessuali, laici vs. religiosi e religiosi X vs. credenti Y, cittadini di serie A vs. migranti ecc…), sta producendo come risultato un arretramento totale del punto di vista che un tempo e correttamente si sarebbe detto, appunto, di classe.

Che il sottoproletariato sia quella fascia di popolazione che subisce una schiavizzazione ancora più feroce da parte di un sistema che fa di tutto per tenerlo ai margini della società in uno stato di indigenza assoluta, facile e funzionale capro espiatorio sul quale scaricare ogni genere di pulsione rabbiosa, pregiudizio e malcontento, non ci sono dubbi: e questo accade indipendentemente dal colore della pelle o dal Paese di provenienza di chi ne fa parte, come anche Vladimir più volte ripete;

Ettore Scola, per dirne uno, ci raccontava già nel 1976 col suo Brutti, sporchi e cattivi quanto questo fenomeno sia stato anche profondamente italiano in queste stesse periferie romane di non molto tempo fa.

Ma un conto è denunciare la natura capitalistica delle cause che spingono intere fasce della popolazione mondiale a permanere in uno stato di indigenza, che spinge costoro (stranieri o italiani che siano) in un circolo vizioso di delinquenza e violenza, spesso organizzata dalla malavita, ed una altro è schierarsi genericamente a protezione del sottoproletariato anche se criminale, rivendicando unicamente (seppur giustamente) l’ingiustizia morale della discriminazione che subisce, ma finendo così per assurdo per calpestare le problematiche sostanziali e il punto di vista della classe lavoratrice, anch’essa costretta al giogo dello sfruttamento capitalistico sul posto di lavoro i cui esponenti, inoltre, gettati come sono a vivere in quartieri affollatissimi e degradati, privi di servizi e organizzazione sociale, finiscono per essere quasi sempre coloro che subiscono le efferatezze brutali di individui ancora più disperati di loro. Anche affrontare violenze di questo tipo unicamente focalizzando il problema di genere (condanniamo in toto, ovviamente, la violenza sulle donne, che è una piaga fondamentale da estirpare, ma su tale complessa questione ci permettiamo di rinviare agli altri e numerosi interventi presenti negli scorsi numeri del nostro giornale [3]) rischia di far perdere le diverse altre sfaccettature che il problema può assumere, e che non sono secondarie, e le cause stesse che lo hanno generato.

In questo modo si imposta il problema nei termini generali ma non si affrontano le questioni specifiche e particolari, finendo per non avere una proposta concreta e di conseguenza perdendo ogni connessione con le masse lavoratrici.

L’errore sostanziale che si commette confondendo i termini del problema è, a nostro avviso, quello di mettersi genericamente dal punto di vista del sottoproletariato e da lì osservare il mondo capitalistico. Questo ovviamente non può che essere reazionario perché da quel punto di vista la società appare come un tutt’uno in cui scompare il conflitto lavoratore\padrone. Appaiono tutti come nemici da combattere indistintamente o ai quali vendersi al miglior offerente. Già Marx nel Manifesto denunciava la natura reazionaria del sottoproletariato, proprio perché pronto a vendersi alla borghesia, stante le condizioni di indigenza in cui versa. Questo salto analitico all’indietro comporta che la sinistra non venga più percepita dal lavoratore come un riferimento perché egli, giustamente, guarda verso l’emancipazione e non può, a ragione, concepire il paradosso che per essere difeso da questa sinistra “caritatevole” dovrebbe cadere nell’indigenza.

Al contrario, il punto di osservazione dovrebbe essere posto dal lato più avanzato della società capitalistica e cioè dal lato della classe lavoratrice, e dal quel punto non si può che denunciare la putrescenza del sottoproletariato e contemporaneamente accusare il capitalismo di questo scempio. Questi due momenti non sono distinti: tanto più l’esperienza immediata e quotidiana per le strade degradate della città porta a denunciare tale putrescenza, quanto più contemporaneamente si ingigantiscono dinnanzi agli occhi le responsabilità del capitalismo.

Concretamente la nostra proposta non può ovviamente essere quella di spostare le baraccopoli fuori città, ma allo stesso tempo non possiamo vedere queste come una folkloristica espressione dell’epoca nostra, ma piuttosto come elementi di una rete malavitosa di sfruttamento, e di reclutamento di manodopera a bassissimo costo pronta a digerire i rifiuti della nostra società per rimetterli in commercio. E questa rete deve essere abbattuta. Confrontarsi con queste posizioni è necessario se si vogliono fermare le ideologiche ruspe di Salvini. Al contrario, il risultato è scontato: si concede alla destra populista di accreditarsi in vasti strati della società.

Un discorso simile vale anche per i migranti.

La vera follia, sbandierata dai leader di questa sinistra”, come ci racconta Vladimir, “è sostenere questa posizione quasi francescana di accoglimento cieco del migrante in quanto cittadino del mondo, senza preoccuparsi però di chiederne ed esigerne quantomeno la parità di trattamento coi nostri concittadini, e dunque accoglierli sì ma per poi ottenere una abitazione ed un lavoro con un salario decoroso (ricordiamo i raccoglitori di pomodori nei campi pagati 1 euro l’ora?), di modo tale che l’accoglimento non si traduca in una spinta complessiva al ribasso delle condizioni di tutti i lavoratori, per chi ha la fortuna di avercelo un lavoro, figurarsi di chi resta fuori dal circuito”.

Anche le ondate di migranti, ci spiega Vladimir che lo ha vissuto in prima persona circa 26 anni fa, non avvengono a caso, o solo dai Paesi che subiscono una guerra imperialista, ma sono preparate a tavolino dal capitale, il quale organizza nei Paesi d’origine delle vere e proprie campagne di falsa informazione, promettendo lavoro e benessere nel Paese di destinazione, offrendo invece successivamente lavoro dai connotati schiavisti”.

Vladimir infine si confida sulla sua volontà di proseguire la lotta coinvolgendo dal basso la popolazione del quartiere e cercando di far pressione sul municipio in modo tale da iniziare ad affrontare il problema della criminalità nei quartieri abbandonati. Al di là di tutte le incomprensioni e difficoltà che ci sono state in questa vicenda, o lasciamo che siano balordi di destra a prendersi la piazza con gli slogan di pulizia etnica o machismo (come “difendiamo le nostre donne!”) oppure facciamo tutti un passo indietro e costruiamo insieme a gente delusa come Vladimir un percorso in grado di dare delle risposte reali e di classe.

 

Note:

[1] Vladimir Kosturi è noto, soprattutto a Roma, per aver fondato nel 1995 l’associazione ILIRIA – Lega immigrati albanesi; inizialmente di stampo culturale, dopo circa quattro anni di esistenza l’associazione ha intrapreso un’attività più sindacale, nella quale Vladimir in prima persona si è più volte distinto durante azioni concrete e battaglie legali a difesa degli immigrati albanesi in Italia.

[2] Sulla questione dei migranti, rinviamo a precedenti articoli apparsi su La Città Futura: Migranti,la carità umana non basta; Migrazione e lavoro; Alla ricerca delle cause occultate del drammatico fenomeno dell’immigrazione; E pluribus…pluribus:nessuna Unione sui migranti

[3] Sulla questione di genere e relative problematiche, rinviamo a precedenti articoli apparsi su La Città Futura: La donna è l’avvenire dell’uomo; L’inferiorità della donna tra natura e cultura (parte 1 e 2); Riporre al centro pensiero di genere e marxismo.

03/06/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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