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Cambiato il primo Decreto Lupi. Ma non c’è nulla da festeggiare

Molti sostengono, in questo periodo di grande discussione, che bisogna cavalcare le vittorie (anche se limitate), perché la consequenzialità tra il battersi e ottenere un risultato positivo ci aiuta a far politica. Allora dovremmo forse far sapere che, anche grazie al nostro contributo, il decreto attuativo Lupi – che in soldoni prevedeva la vendita all’asta delle case popolari per dismettere il patrimonio residenziale pubblico – è stato bloccato e ridiscusso. Un primo risultato, quindi, è stato ottenuto grazie alla lotta e anche alla nostra mobilitazione.


Cambiato il primo Decreto Lupi. Ma non c’è nulla da festeggiare

Bloccato il primo Decreto Lupi che prevedeva la vendita all’asta delle case popolari. Questo dimostra che la lotta paga. Ma non ci si può fermare e non si può festeggiare. Il nuovo testo contiene ancora numerose insidie e addirittura degli elementi peggiorativi.

di Giulia Pezzella*

Molti sostengono, in questo periodo di grande discussione, che bisogna cavalcare le vittorie (anche se limitate), perché la consequenzialità tra il battersi e ottenere un risultato positivo ci aiuta a far politica. Allora dovremmo forse far sapere che, anche grazie al nostro contributo, il decreto attuativo Lupi – che in soldoni prevedeva la vendita all’asta delle case popolari per dismettere il patrimonio residenziale pubblico – è stato bloccato e ridiscusso. Un primo risultato, quindi, è stato ottenuto grazie alla lotta e anche alla nostra mobilitazione.

Quando è stato diffuso il nuovo testo del decreto approvato dalla Conferenza unificata a metà dicembre, alcuni l’hanno salutato come grande vittoria, altri hanno festeggiato seppur ricordando la necessità di avere più case popolari. E noi? Noi non potevamo levare i calici, perché chiedevamo altro: chiedevamo che venisse cancellato. 

Sostenevamo che un semplice aggiustamento della prima stesura approvata non sarebbe bastato: l’obiettivo a cui mira il Decreto è un tassello importante dell’attacco più generale che il governo Renzi sta portando avanti contro lo stato sociale, da leggere insieme alla lotta all’occupazione abusiva di immobili (art. 5), alla mancata proroga degli sfratti per finita locazione (che riguardava solo affittuari con caratteristiche particolari), al sistema inadeguato (sia per quantità che per lungaggine di attuazione) pensato a favore di chi rientra tra “i morosi incolpevoli”. Perché questo provvedimento, anche se rivisto, crea le basi per un possibile – non futuribile! – inizio della chiusura definitiva del capitolo Edilizia Residenziale Pubblica.

Ma cosa c’è scritto nel nuovo decreto? Alcune cose non cambiano: si procede con il piano di dismissione, tutta la partita delle vendite rimane nelle mani degli enti proprietari,  gli alloggi e i locali possono essere venduti (all’asta) anche a soggetti diversi dagli assegnatari in nome della razionalizzazione. La pianificazione deve essere realizzata nel giro di poco tempo: quattro mesi dalla firma del ministro. Il ruolo delle regioni è ridotto a un “formale assenso”, che se non espresso entro 45 giorni viene ritenuto “tacito”. E introduce persino un elemento peggiorativo, dal mio punto di vista: mentre nella prima formulazione del decreto, tutti gli inquilini erano uguali e potevano diventare un pericoloso fronte unico di opposizione alle vendite, in questa nuova versione ci sono i buoni e i cattivi. Ad alcuni viene riconosciuto un vantaggioso diritto di prelazione su listini calmierati; per altri l’unica possibilità è la partecipazione all’asta pubblica.

Il nuovo decreto, infatti, ripropone agli assegnatari regolari le modalità di vendita già attuate negli ultimi anni (legge 560 del 1993) sperando – probabilmente – che una volta agitato lo spauracchio della vendita all’asta, gli inquilini si attivino (più che in passato) per garantirsi l’acquisto delle case a prezzi appetibili. E prevede, per quelli che non possono proprio comprare, una semplice soluzione: se sono ultrasettantenni, hanno un handicap grave o sono malati terminali possono rimanere nell’immobile; altrimenti saranno spostati in altro “idoneo” alloggio del Comune, con le spese di trasloco a carico dell’ente! Gli alloggi così liberati e quelli occupati da inquilini non regolari saranno venduti all’asta, con pubblicazione sul sito dell’ente e della regione di competenza. 

Il nuovo testo separa le sorti dell’edilizia pubblica extra-residenziale, prevedendone la vendita impostata sul listino dell’Agenzia delle Entrate-Osservatorio del mercato immobiliare; l’offerta dovrà essere fatta prioritariamente ai locatari, che non hanno alcun meccanismo di tutela. La gestione dei locali commerciali e di deposito ha avuto una storia diversa dall’edilizia abitativa: abbandonata a sé stessa per un lungo periodo, è stata poi immessa nel mercato con prezzi e modalità tali che portano (per lo meno a Roma) al risultato deprimente che è sotto gli occhi di tutti. Le piccole attività hanno chiuso, i quartieri si stanno desertificando e spesso le nuove attività consistono in sale giochi/scommesse o “Compro oro”. Ma non fanno parte anche questi locali dell’Edilizia pubblica? Non andrebbero utilizzati con finalità sociali (in senso lato, ovviamente) facendo - per esempio - progetti per l'artigianato, per spazi culturali e di aggregazione e per mantenere in vita le piccole attività commerciali?

Appare a questo punto evidente perché, dopo aver letto e analizzato il “nuovo” Decreto Lupi, non potevamo davvero festeggiare. Aver bloccato il primo è stato sicuramente un elemento importante, da rivendicare, soprattutto perché dimostra che la mobilitazione paga, e dà dei frutti. Ma il cambiamento non modifica la sostanza, e quindi diventa fondamentale rilanciare la lotta, spiegare il nuovo testo che è in attesa di firma e portare avanti una ferma opposizione alla dismissione del patrimonio pubblico e alle politiche abitative promosse dal governo Renzi. Farlo ora è di fondamentale importanza: se lasciamo perdere, quando - tra non molto tempo - i provvedimenti diventeranno attuativi e inizieranno le vendite, gli sfratti massivi e le "deportazioni" sarà troppo tardi e ci ritroveremo, per l'ennesima volta, a inseguire iniziative e istanze fatte da altri e sarà più complesso far valere il nostro punto di vista.

La ciliegina sulla torta non può mancare: mentre noi, i movimenti di lotta per la casa, Action e i sindacati degli inquilini sottolineano l’esiguità del Patrimonio residenziale pubblico, DeLiberiamo Roma ha presentato una delibera popolare sul recupero e utilizzo del patrimonio pubblico in disuso, Roma Capitale vuole fare cassa mettendo all’asta circa seicento immobili tra abitazioni, negozi e magazzini, dislocati in tutta Roma. Immobili con contratti di affitto che sono, nella maggior parte dei casi, assolutamente fuori mercato. Un patrimonio che è stato storicamente mal gestito e che ora vuole essere trasformato in un utile tesoretto - dicono - finalizzato anche al recupero delle case popolari. Da una prima stima, ogni immobile dovrebbe valere mediamente 400 mila euro circa. Ma ovviamente è stato già stabilito il criterio che porterà all’abbattimento del prezzo di asta.

 


* responsabile Sportello casa Monteverde - Circolo PRC Camilla Ravera

07/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Giulia Pezzella
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