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Chi sono i lavoratori AEC e per cosa lottano?

Cinque domande per conoscere più da vicino la lotta degli assistenti educativi culturali.  Ne parliamo con alcuni lavoratori del comitato autorganizzato e in particolare con una lavoratrice, A.C.


Chi sono i lavoratori AEC e per cosa lottano?

Domanda Da qualche mese, grazie alla vostra lotta, anche chi non è del mestiere o non frequenta le scuole da un pò di tempo, ha avuto modo di conoscere questa nuova figura sociale: gli Assistenti Educativi Culturali (AEC). Ci potreste chiarire esattamente cosa fanno gli AEC?

Risposta In realtà la nostra figura professionale è presente nei plessi scolastici da svariati anni. Dal momento in cui venne riconosciuto agli alunni disabili il diritto di essere formati didatticamente alla pari di tutti gli alunni, si è reso necessario affiancare una persona che potesse sostenere e favorire il suo processo di integrazione e aiutare a sviluppare capacità e competenze sia pratiche che relazionali, superare barriere fisiche, psichiche e culturali.

Questo si traduce, in pratica, nell’affiancare l’alunno in numerose attività scolastiche, a seconda del tipo e del grado di disabilità, nonché nelle uscite didattiche e culturali proposte dalla scuola, non dimenticando il lavoro svolto nell’accompagnarlo gradualmente nella crescita personale e nel raggiungimento della massima autonomia personale e nel creare una relazione serena con il gruppo classe: realizzare, cioè, il progetto educativo personalizzato relativo ad ogni alunno.

Domanda Quali sono le condizioni stipendiali e quelle lavorative con particolare riguardo ai diritti come i permessi, i buoni pasto e le malattie? Nelle scuole pubbliche siete gli unici lavoratori a contatto con i discenti a non essere stati selezionati e assunti dal ministero della pubblica Istruzione. Cosa comporta tutto ciò nei rapporti con l'istituzione scolastica (dirigenti-bidelli-insegnanti) e con gli alunni?

Risposta La nostra presenza nelle scuole prevede che il personale venga fornito tra i dipendenti delle cooperative che partecipano e vincono un bando predisposto dal Comune a livello circoscrizionale. La nostra retribuzione varia a seconda delle ore svolte e di quanti alunni ci vengono affidati. In media vengono assegnate 12 ore settimanali di assistenza scolastica ad alunno (a volte meno) e immaginerete che lo stipendio cambia molto se si lavora 12, 24 o 36 ore la settimana. Il compenso orario è stabilito dal CCNL cooperative e si aggira, a conti fatti, sui 6,50/7 Euro l’ora, ma si abbassa drasticamente in caso di chiusura estiva o festiva delle scuole, scioperi del personale scolastico, terremoti, maltempo, ecc, ecc. Tutti casi in cui l’assistente educativo non percepisce nulla, nemmeno un minimo indennizzo.

Anche i contratti possono essere di varie tipologie: tempo determinato, indeterminato, co.pro, partita iva. Le ferie e i permessi possiamo usufruirne soltanto nei periodi di chiusura scolastica (vacanze natalizie, pasquali), se il contratto li contempla, altrimenti non sono retribuiti. Buoni pasto del tutto assenti, come le pause. Pur se il pasto è un momento educativo e conviviale, a noi non spetta, come non è prevista una pausa per poterlo consumare in tranquillità. I rapporti con le istituzioni scolastiche sono diversi da istituto a istituto, a volte anche tra un plesso e un altro: ci sono situazioni in cui la nostra figura è vista e considerata come una risorsa importantissima per lo svolgimento sereno delle attività scolastiche e considerati a tutti gli effetti parte integrante nell’educazione degli alunni, altre in cui veniamo considerati figure marginali, che devono occuparsi esclusivamente delle esigenze dei bambini disabili, cosa impossibile in quanto tra i nostri compiti c’è anche quello basilare della loro completa inclusione nel gruppo classe. Fortunatamente queste ultime sono sempre più rare. Una figura simile alla nostra per mansioni e trattamento contrattuale è quella dell’assistente specialistico, che svolge il proprio lavoro negli istituti di istruzione superiori.

Domanda Dai vostri comunicati emerge che le condizioni di lavoro sono nettamente peggiorate da quando il comune di Roma ha deciso di esternalizzare questo servizio alle cooperative. Ci potreste ricapitolare le tappe dell’esternalizzazione e come mai il passaggio alle cooperative è divenuto una trappola per i lavoratori?

Risposta Inizialmente il Comune di Roma ha istituito la figura dell’AEC (assistente educativo comunale) formando dipendenti già assunti per altre mansioni. Questi dipendenti, ovviamente, avevano mansioni, stipendio, contratti e diritti uguali e l’assistenza si svolgeva prevalentemente a livello basilare, di cura dell’igiene e dell’alimentazione. Nel corso del tempo i dipendenti comunali per questo servizio iniziarono a scarseggiare, per svariati motivi, quindi l’amministrazione dell’epoca (fine anni novanta) decise di esternalizzare il servizio alle cooperative sociali presenti sul territorio. Gli operatori forniti dalle cooperative mantennero l’acronimo AEC diventando assistenti educativi culturali, con ben altro trattamento, sia salariale che contrattuale. A breve, in seguito a varie delibere e a un regolamento della categoria, varierà in OEPA (operatore educativo per l’autonomia e l’integrazione scolastica) mantenendo però sostanzialmente le condizioni precedenti. Nel corso del tempo (oramai sono 18 anni) il nostro intervento si è diversificato e specializzato, abbracciando oltre alle disabilità fisiche e psichiche anche i vari disturbi di attenzione, di comunicazione e di relazione. Ci siamo formati, informati, preparati. Il più delle volte di nostra iniziativa e a nostre spese, ma a una maggiore preparazione ed esperienza non ha seguito un miglioramento decisivo delle condizioni.

Domanda Oltre a quello economico c’è ovviamente anche un lato umano. Come spesso accade, ad esempio con i lavoratori immigrati, per giustificare tassi di sfruttamento elevati diviene necessario, per i padroni, agire anche al livello delle coscienze instillando nei propri sottoposti l’idea della subalternità anche morale mediante una serie di pratiche svilenti della personalità umana a partire dal modo con cui si sviluppano le relazioni personali. Dai racconti di alcune operatrici abbiamo colto la tendenza e l’interesse da parte della cooperativa a far apparire di scarso valore il lavoro compiuto dai propri dipendenti in modo da giustificarne la sostituibilità e dunque la scarsa remunerazione. Proviamo ad affrontare insieme anche questo aspetto…

Risposta Purtroppo anche questo aspetto è spesso presente. Il fatto di non appartenere a una categoria lavorativa tutelata porta chi lavora nel nostro contesto a considerarci automaticamente meno importanti, per così dire; l’esperienza accumulata con gli anni di servizio anziché essere valorizzata, mette l’accento sull’età che avanza; ci viene richiesto di fare corsi di specializzazione costosissimi per le nostre entrate, anziché riqualificarci automaticamente, con lo spettro di essere sostituiti a breve da personale maggiormente qualificato; se ci ammaliamo stentiamo a far valere i nostri diritti alla cura, a causa di velate accuse di assenteismo (sempre che i giorni di malattia ci vengano pagati, il che non avviene sempre); il nostro lavoro ha un risvolto psicologico sulla nostra salute emotiva che non viene assolutamente considerato, anzi si colpevolizza il lavoratore che non riesce a sostenere il peso, magari tacciandolo come debole caratterialmente, e così via, innumerevoli altre situazioni di disagio spesso non espresse che contribuiscono a farci sentire poco importanti anche ai nostri stessi occhi e ci inducono a non farci valere.

Domanda Vi siete auto-organizzati per lottare contro queste condizioni di vita e di lavoro avvilenti e questo ha avuto già come primo risultato positivo quello di far conoscere la vostra situazione lavorativa. Che soluzioni proponete per risolvere il problema, quali saranno le prossime tappe della vostra lotta e quali i vostri alleati?

Risposta Al momento ci stiamo concentrando su una proposta di delibera che consenta nuovamente l’internalizzazione del servizio da parte del Comune di Roma. Questo è uno dei servizi considerati essenziali che sono gestiti a livello locale e non ci sarebbe motivo di affidare la gestione ad aziende private (coop sociali in questo caso) con un costo maggiore per l’amministrazione comunale, quindi per i cittadini di Roma. L’internalizzazione permetterà: risparmio, miglioramento delle condizioni lavorative e soprattutto un miglioramento organizzativo e qualitativo del servizio, rivolto, ricordiamolo sempre, a minori in difficoltà e alle loro famiglie che devono essere sostenute nell’assistenza ai loro cari.

Tutti noi siamo d’accordo a mantenere la neutralità politica, in quanto ci muoviamo per una giusta causa che non ha colore. Per la nostra causa, però accettiamo il sostegno e l’appoggio di tutti coloro che vorranno farlo. Per questo abbiamo scelto la via della Delibera di iniziativa popolare, che sarà presentata in Consiglio comunale. Per arrivare sui tavoli dei consiglieri ed essere successivamente votata, avremo bisogno di 5.000 firme di cittadini romani. A breve, probabilmente i primi giorni di marzo, presenteremo la delibera in Comune con una conferenza a cui parteciperanno tutti i nostri sostenitori. Da quel momento partiremo con la raccolta delle firme per la quale avremo solo tre mesi di tempo, per questo cerchiamo di coinvolgere più colleghi, gruppi, associazioni, sigle politiche possibile ai nostri eventi e assemblee. Per la prossima, che sarà il 15 febbraio in via B. Orero 61 ovviamente a Roma, prevediamo una partecipazione nutrita di colleghi, assessori e consiglieri ma soprattutto (e questo ci fa enormemente piacere) genitori di alunni che usufruiscono del servizio. Partiremo poi con volantini, cene sociali e aperitivi per far conoscere le nostre intenzioni e le nostre ragioni.

Si ringrazia tutto il comitato dei lavoratori AEC e in particolare la lavoratrice A.C.  per questo prezioso contributo. 

09/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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