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Contro l’emergenza

Crisi sanitaria, crisi economica e crisi istituzionale?


Contro l’emergenza

Tenendo conto degli ultimi dati (27 aprile) l’epidemia da Coronavirus, che un miracolo invocato dal Papa avrebbe dovuto bloccare, ha provocato finora circa 27.000 morti in Italia, oltre un terzo dei quali in Lombardia e circa 200.000 contagiati. Com’è noto, in conseguenza di questa situazione il governo ha dichiarato il 31 gennaio lo stato di emergenza fino al 31 luglio, passato quasi inosservato, ed ha assunto severe misure di restrizione che hanno riguardato una parte del sistema produttivo e di distribuzione del paese e, in grado molto maggiore, la stessa libertà di movimento dei singoli cittadini.

Sul piano formale, tali provvedimenti sono stati emanati, e trovano la loro legittimazione giuridica, sulla base di due successivi decreti-legge (n° 6/2020 e n°19/2020) che hanno assegnato al Presidente del Consiglio ampi poteri in ordine alle misure da adottare a fronte dell’andamento del fenomeno epidemico [1]. Lo strumento tecnico cui il Presidente del Consiglio ha fatto ricorso per la formulazione e l’attuazione di tali provvedimenti è stato il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in un contesto di significativa latitanza del Parlamento, forse spaventato dal virus. Al momento attuale, in virtù di una valutazione tecnica sul piano epidemiologico, che legge nei dati relativi ai contagi e ai ricoveri una tendenza alla riduzione dell’espandersi dell’epidemia, il governo ha deciso una parziale e graduale mitigazione delle misure fin qui adottate: si tratta di quella che viene ordinariamente indicata come “Fase 2”, in particolare il Dpcm (l’ennesimo) varato il passato 26 aprile.

Su questi aspetti vogliamo intervenire sia mettendo in luce i limiti che a nostro avviso l’azione del governo ha presentato in ordine alle diverse questioni trattate di seguito, sia ribadendo la nostra seria perplessità sull’effettiva utilità di alcune di esse, in particolar modo quelle che hanno violentemente ridotto, e severamente sanzionato, gli ordinari spazi di libertà personale dei cittadini tutti (il cosiddetto “distanziamento sociale”).

Il presupposto di questo intervento è che non siamo disponibili ad accettare supinamente misure, del resto criticate da eminenti costituzionalisti, prese da uno Stato che non persegue certo il benessere collettivo in quanto rappresentante di ben precisi interessi di classe. Inoltre, sottolineiamo che la gravità della situazione è stata determinata dal precedente smantellamento del sistema sanitario, universitario e della ricerca portato avanti da quelle stesse forze politiche che ora, in nome della coesione sociale e della salvezza della patria, vogliono convincerci che ci porteranno fuori dalla crisi. Allo stesso tempo, questo stesso Stato non si è preoccupato delle avvisaglie del fenomeno, dimostrandosi tutt’ora impreparato ad affrontarlo con i tamponi e i test di massa (come in Cina), la distribuzione gratuita dei dispositivi di protezione, l’isolamento dei contagiati, la capacità di curare a domicilio i casi non gravi etc.

Non interveniamo nello specifico della complessa e grave questione della ripresa del lavoro delle imprese grandi e piccole (in realtà come è noto mai interrotta anche nei settori non essenziali, compreso quello degli armamenti), perché riteniamo che in questo caso, in un quadro generale, quanto mai necessario per evitare improvvisazioni ed errori grossolani, si debbano esprimere i lavoratori e i loro diretti rappresentanti su loro delega diretta, tenendo conto delle diverse specificità lavorative e delle diverse esigenze dei lavoratori.

Nel contempo avanziamo anche alcune proposte a nostro avviso indispensabili perché le prossime fasi emergenziali non si traducano in un prolungamento ad libitum del disagio sociale e psicologico provocato non solo dall’epidemia in quanto tale, la cui gravità e i cui drammatici effetti nessuno nega ma, in modo determinato, dalla sostanza e dalla forma di quanto è stato deciso e messo in opera per contrastarla.
Ci pronunciamo dunque in modo critico su tre questioni fondamentali consistenti in:
1. le misure di emergenza relative al distanziamento sociale;
2. l’uso distorto dell’informazione;
3. lo Stato d’eccezione che si è di fatto stabilito in Italia.

Il distanziamento sociale

Si tenga preliminarmente conto che esiste una differenza sostanziale fra “isolamento “ o “quarantena” e il cosiddetto distanziamento sociale.  Rispetto a ciò l’azione del governo si è dimostrata quanto mai  contraddittoria: infatti le prime “zone rosse” in Lombardia, che erano effettivamente sottoposte a un regime paragonabile a una vera quarantena, furono inspiegabilmente  abolite dallo stesso DCPM che impose all’intero paese le misure di distanziamento.

Ora, tali misure possono avere una certa efficacia solo se contestuali e parallele, a partire dai primi casi di infezione,  a rigorose  procedure di isolamento dei contagiati in strutture ad essi dedicate tramite l’istituzione di corridoi sanitari. La precocità dell’intervento è determinante in ordine al propagarsi dell’infezione. Poiché nulla del genere è stato posto in opera, il risultato che quanto si è ottenuto è consistito in un’estrema complicazione della vita pratica di milioni di cittadini che, pur dovendo rimanere per la maggior parte del tempo confinati nelle proprie abitazioni, potevano però uscirne per fare la spesa, andare al lavoro (in quanto una parte delle attività produttive, in primis le fabbriche di armi, sono rimasta in funzione), andare dal medico di famiglia, in farmacia, in tabaccheria ecc.  Dunque, un “distanziamento” con molti buchi sulla cui efficacia è perfettamente lecito avere dei dubbi. L’epidemia, di fatto, non si è per nulla arrestata. Buchi che diventeranno voragini quando lunedì 4 milioni di persone riprenderanno a lavorare, lasciando così in vigore solo la limitazione della libertà degli individui, i cui spostamenti dovranno essere sempre certificati e sottoposti alla valutazione arbitraria delle forze dell’ordine.

A fronte di queste considerazioni riteniamo che nella  “fase due”  sia  necessario e opportuno:

- consentire alle persone di stare in luoghi aperti e ventilati, in sicurezza e osservando le dovute precauzioni (dunque, riaprire subito i parchi pubblici, come previsto dall’ultimo decreto, le spiagge, le piste ciclabili e consentire l’attività fisica):  ciò riduce, e in ogni caso non aumenta, la trasmissione del virus come è invece accaduto con il confinamento in determinati tipi di spazi chiusi e con determinate modalità; si tenga conto che, in base ai dati diffusi il 24/04/2020 dall’Istituto superiore della sanità il 44.1% dei contagi è avvenuto nelle RSA, il 24.7% nelle case di abitazione, il 10.8 % nelle strutture sanitarie in genere e anche nei luoghi di lavoro, anche se non è ancora disponibile un’epidemiologia sociale (V. M. A. Pirrone.).
- ripensare il contingentamento degli ingressi nei supermercati, evitando la formazione di code assurde e afflittive, gravose per i più deboli e umilianti per tutti, e per di più contrastanti con l’obiettivo di evitare gli “assembramenti”.  Tanto più che questi ultimi  si verificheranno inevitabilmente sui mezzi pubblici dove si potrà viaggiare, come a Roma, anche in quaranta persone. Non si comprende, quindi, perché vi sia una disparità di trattamento tra un supermercato e un mezzo pubblico. Se assembrarsi è considerato in sé pericoloso, si chieda allora  un contingentamento ancora maggiore nell’uso dei mezzi pubblici.
- rendere il tempo di attesa dei mezzi pubblici stessi, che inevitabilmente si prolungherà, parte integrante dell'orario di lavoro, lasciando quest'ultimo invariato (vale a dire, senza flessibilità). A ciò si dovrà associare la gratuità del trasporto pubblico e il prolungamento della durata degli abbonamenti, senza rinnovo, fino a emergenza superata.
-  fornire a tutti e gratuitamente (lavoratori e cittadini) guanti, mascherine e disinfettanti per le mani da utilizzarsi durante la permanenza nei luoghi di vendita.
- consentire (ma non imporre) ai cittadini più anziani membri di famiglie di più di tre persone di soggiornare, per tutto il tempo necessario, in camere singole di alberghi di buon livello a essi esclusivamente dedicati e dove esistano spazi all'aperto.
- a tale scopo, requisire a carico dello Stato, con relativo indennizzo, le numerose strutture alberghiere attualmente sottoutilizzate o addirittura vuote.

L'uso autoritario dell'informazione

Consideriamo prioritarie le seguenti questioni:
-smetterla di parlare di “ripartenza”, dato che l’epidemia ha investito un paese già stremato (perdita di una parte significativa dell’infrastruttura industriale, strutture fatiscenti, disoccupazione soprattutto giovanile, crisi demografica etc.)
- contrastare l'uso tendenzioso e terroristico dei dati sulla letalità: a questo scopo sarebbe utile anche rendere maggiormente chiara la differenza fra la categoria di coloro che sono morti per coronavirus, coloro che sono morti per i c.d. effetti collaterali del covid (diverse persone sono morte semplicemente a causa dell’impossibilità del sistema sanitario, eccessivamente ingolfato, di prendere adeguatamente in carico i malati) e coloro che semplicemente risultano positivi al tampone ma che sono morti per altre cause.
- nel caso in cui non si sia in grado di fare quanto indicato sopra, corredare sempre, ogni volta, la diffusione dei dati con la precisazione che si tratta di una stima grossolana e inesatta, dalla quale restano sicuramente esclusi molti casi di morte per il virus mentre vengono a esservi ricompresi, impropriamente, tutti coloro che sono morti con il virus (i "contagiati") ma senza sviluppo clinico della malattia.
- esprimere maggiore consapevolezza in merito al fatto che, essendo incerta la dinamica dell’infezione, le misure preventive che se ne fanno derivare (e che possono risultare a loro volta incerte e aleatorie, v. il caso della Germania [2]) devono essere applicate cum grano salis;
- infatti, far derivare la riduzione dei decessi dalle misure distruttive della libertà personale da ipotesi la cui efficacia potrebbe non essere verificabile, appare essere lo schermo alle pratiche di irreggimentazione punitiva della vita sociale, o di quello che ne rimane, per lasciare mano libera al governo e ai vari comitati di "esperti" (si parla di 400 individui) di sperimentare in corpore vili (cioè sui cittadini stessi) qualunque tecnica, dalle mascherine al tracciamento per via informatica, imponendola non per via di legge, il che è impossibile, ma attraverso una propaganda fondata sulla paura e l'intimidazione. Forse questa scelta è dettata dalla preoccupazione di possibili “rivolte”, di cui si è vociferato nei giorni passati, innescate da una crisi prolungata, di cui il coronavirus è stato solo il detonatore.
Lo Stato d'eccezione
Come scrive il costituzionalista Gaetano Silvestri, la nostra Costituzione non prevede lo Stato di eccezione, nel quale è necessario sospendere le garanzie personali ed istituzionali, che la stessa Costituzione stabilisce. “Persino in vista della situazione eccezionale per antonomasia, la guerra, l’art 78 Cost., continua Silvestri, non mette da parte la democrazia parlamentare, giacché lo stato di guerra può essere dichiarato solo dal Parlamento e prevede che quest’ultimo possa delegare al governo i ‘poteri necessari’, non i pieni poteri, richiamando così il principio di proporzionalità, che vale non soltanto per la restrizione dei diritti fondamentali, ma anche per le alterazioni del normale equilibrio costituzionale”.
Pertanto, secondo Silvestri, il criterio da adottare per valutare le misure prese nelle situazioni di emergenza è quello della loro appropriatezza rispetto ai diversi contesti, ai diversi rapporti giuridici esistenti, alle norme generali vigenti.
Se ciò prevede la nostra Costituzione, non sembra che il governo si sia mosso secondo questa linea, ha invece elaborato “una serie impressionante di atti normativi, primari e secondari, che si sono accavallati, sovrapposti e contraddetti, con scarso e nessun rispetto per quella noiosa ed ingombrante costruzione che i giuristi chiamano ‘sistema delle fonti’” [4].
Sulla base di queste considerazioni riteniamo che:
- per ogni ulteriore misura, presa non a distanza di pochi giorni come se la situazione fosse nella sostanza mutata, si debba ricorrere esclusivamente a proposte di legge o a decreti convertibili in legge dal Parlamento secondo le norme costituzionali.
- si debba abolire qualsiasi sanzione, pecuniaria o penale, che abbia lo scopo di punire la violazione di norme stabilite da misure di carattere esclusivamente amministrativo (come i DPCM) e non per legge votata e approvata dal Parlamento.
- si debbano risarcire coloro che ne sono stati colpiti.
- si debba impedire ai presidenti delle Regioni di imporre arbitrariamente norme restrittive di grado diverso nell'ambito dei territori di loro competenza.
- si debba contrastare con decisione il malvezzo di indicare ”all’americana” i presidenti delle Regioni col termine "governatori". Tale modo di esprimersi, oltre ad essere improprio sul piano istituzionale, tende a caricare tali figure di un potere esecutivo assoluto e incontrastabile, e per di più fortemente personalizzato, che non può essere in alcun modo e a nessun titolo legittimato soprattutto nell'attuale contingenza.
- si debba sottoporre urgentemente alla Corte Costituzionale la questione della legittimità delle misure restrittive fin qui assunte dal governo e dalle Regioni e di quelle che saranno prese successivamente.
Riteniamo infine indispensabile calmierare per legge, e a tempo indeterminato, i prezzi dei beni di prima necessità prendendo come punto di riferimento il salario più basso, senza enfatizzare le recenti elargizioni di sussidi, di aiuti, di prestiti che rispetto all’evasione fiscale e ai guadagni degli speculatori e delle banche di questi ultimi decenni sono soltanto spiccioli [5]. Prestiti che, se concessi dall’Unione Europea, ci strangoleranno come la Grecia; esempio che gli stessi autori di questo crimine ora con orrore respingono.

Infine, ci sembra che il nuovo DPCM emanato il 26/04/2020, serva soltanto a prendere tempo lasciando sostanzialmente invariate le restrizioni già in atto e aggiungendo, per di più, norme contraddittorie. Sarà infatti lecito:
- praticare attività fisica o sportiva nei parchi pubblici senza che sia specificata la distanza di questi ultimi dalle abitazioni, il che rende implicito che ci si possa muovere senza limiti nella città.
- nello stesso tempo, si ribadisce l’obbligo dell’autocertificazione e si precisa che gli spostamenti dovranno ancora avere “carattere di necessità e urgenza”.
- sarà consentita la visita a “congiunti” (parenti fino all’ottavo grado e fidanzati) ma solo uno alla volta e senza “assembramenti”: il decreto infatti precisa che non sono consentite riunioni familiari (assimilate, di fatto e nella sostanza agli “assembramenti”) peraltro controllabili solo con ispezioni della polizia nelle abitazioni private che però, a norma  di legge, non sono possibili.
- nello stesso tempo, si consente la ripresa dell’attività commerciale all’ingrosso, il che significa che un qualsiasi commerciante potrà avere accesso ai Mercati Generali, incontrando non si sa quante persone, mentre i cittadini comuni non potranno pranzare insieme in famiglia.
- sono delegate alle Regioni e ai Comuni le norme secondo le quali assicurare il “distanziamento sociale “sui mezzi pubblici. Vale a dire che il governo se ne lava le mani, scaricando sugli enti locali le eventuali conseguenze ed ignorando del tutto lo stato disastrato degli stessi già malfunzionanti nella normalità.
E così via. Ma de minimis non curat praetor.

Appare dunque evidente che coloro i quali, al di fuori di qualsiasi prassi democratica, sono stati chiamati a fornire una base tecnico-scientifica a tali misure, si siano mossi ancora una volta sotto il segno dell’improvvisazione e della paura senza sapere che pesci prendere.
Lo Stato italiano sta stipendiando (quanto?) circa 400 persone (la cosiddetta “task force”) per elaborare un programma per l’uscita dall’emergenza: ci sentiamo in grado di affermare che, se l’epidemia è stata ed è una montagna, gli ultimi rimedi tesi a fronteggiarla, e ci riferiamo al decreto del 26 aprile, somigliano al famoso topolino.
E tutto questo solo per quattordici giorni. Poi dovrebbe riaprire tutto. Allora, oltre che a scaricare sulle spalle dei cittadini comuni tutto il peso di misure ancora una volta ispirate alla logica del controllo poliziesco e all’ideologia della reclusione, ci domandiamo e domandiamo al governo: cosa farete fra due settimane? A quale scopo un ulteriore periodo di reclusione cialtrona e contraddittoria? Ma soprattutto chi, e in base a cosa, ha conferito a un ex amministratore di un’azienda telefonica, come Vittorio Colao, la direzione di un organo le cui decisioni o pareri interferiscono con inaudita violenza con le basilari libertà che la Costituzione riconosce ai cittadini? Infine, ci piacerebbe conoscere le ragioni in base alle quali è stato affidato a un ente privato come la Fondazione Kessler, presieduta da un consigliere regionale altoatesino aderente alla Lega, il compito di suggerire al governo le misure della fase due.

Note
[1] Si veda il testo dell’ultimo decreto con le numerosissime misure che possono essere adottate su tutto il territorio nazionale.
[2] Dove è aumentato l’indice di contagio.
[3] Che le decine di migliaia di senzatetto sparsi in tutta Italia ovviamente non possono rispettare e che altri in disagiate condizioni abitative stanno sopportando con enorme fatica.
[4] Per fonti del diritto si intendono gli atti e i fatti da cui traggono origine le norme giuridiche, ossia in primis la Costituzione.
[5] Banche cui Giuseppe Conte chiede paradossalmente un “atto d’amore”. Si tenga presente anche che c’è chi fa guadagni miliardari proprio per la crisi come la corporazione Bayer (https://videos.telesurtv.net/video/820773/impacto-economico-820773/).

03/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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