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Fuori dal pantano delle terre di mezzo

Fuori e contro l’orizzonte del centrosinistra c’è lo spazio politico per rilanciare il ruolo dei comunisti.


Fuori dal pantano delle terre di mezzo

Anche il nostro paese ha un “memorandum” contro cui organizzare la lotta. E i suoi punti costituenti sono sostenuti dal PD, renziano e non. Fuori e contro l’orizzonte del centrosinistra e i vincoli euromonetaristi c’è lo spazio politico per rilanciare un ruolo autonomo dei comunisti e una unità utile della sinistra alternativa. Lottando per un programma minimo di classe e riaprendo la prospettiva del socialismo nel XXI° secolo anche qui.

di Andrea Fioretti

Come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte sul nostro giornale, il governo delle larghe intese di Renzi, così come prima quello di Monti e quello Letta-Alfano, non sono né tecnici né provvisori ma sono esecutivi apertamente politici a favore degli interessi del capitalismo monopolistico e finanziario nostrano ed internazionale. E’ bene comprendere questa cosa come premessa di ogni ragionamento politico poichè, mentre si disquisisce di Grecia e dell’accettazione da parte di Tsipras dei diktat della Troika, noi anche abbiamo qui ed ora il nostro “memorandum” imposto dalla BCE che, usando anche con noi il ricatto del debito, ci chiede le “controriforme” se vogliamo continuare a ricevere liquidità e “fiducia” dagli strozzini del capitalismo internazionale.

Il “memorandum” contro cui organizzare la lotta nel nostro paese è rappresentato, infatti, dalla lettera di Draghi e Trichet indirizzata nell’agosto 2011 all’allora governo Berlusconi e rivolta anche ai futuri governi sottolineando che “il Consiglio direttivo (della BCE, ndr) ritiene che l'Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali”. Le misure ritenute “essenziali” nella lettera sono molte e hanno dettato una linea precisa alle misure dei governi da allora a oggi. Riguardano il sostegno alla competitività delle imprese, la piena liberalizzazione dei servizi pubblici con “privatizzazioni su larga scala”, la cancellazione del “sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa” per legare i salari alla produttività, il sostegno all’accordo del 28 giugno tra Confindustria e sindacati contro la democrazia sindacale, la cancellazione dell’art.18 e delle tutele contrattuali, la privatizzazione degli ammortizzatori sociali, la spending review, l’innalzamento dell’età pensionabile, la mobilità e la riduzione degli stipendi nel pubblico impiego, la cancellazione delle Province, il pareggio di bilancio in Costituzione (il Fiscal Compact), l’aziendalizzazione e l’introduzione dei criteri di produttività privati nei “sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione”...tutto con la richiesta esplicita che tali misure antipopolari e filopadronali “siano prese il prima possibile per decreto legge”! 

Si capisce bene da qui da quale filosofia economica sono ispirate tutte le misure di questi anni dalla Legge Fornero fino al Jobs Act e al DDL Scuola di Renzi. Gli esecutivi, dal 2011 a oggi stanno ponendo, di fatto, le basi costituenti di una nuova fase, da molti chiamata ormai della “terza repubblica”, in cui molti dei punti eversivi della P2 dettano la linea programmatica per i governi futuri e di cui il PD è uno dei puntelli strutturali e non accidentali. Non è un caso che i più entusiasti sostenitori delle manovre di Renzi sono oggi i rappresentanti di Confindustria, Marchionne e Farinetti. Così come non è un caso che la minoranza attuale del PD non rappresenti che una variante social-liberista con un po’ di flexsecurity, ma non certo un’alternativa, a questo modello di gestione dell’austerity. Basti vedere in queste ore il teatrino del dibattito sulla soppressione del Senato come Camera eletta dal popolo, conclusosi con l’epilogo del via libera della minoranza DEM a Renzi alla cancellazione della eleggibilità e persino del ritiro da parte di SEL di quasi tutti gli emendamenti. Criticare ma non rompere le compatibilità sembra il leit motiv della sinistra realista e responsabile.

D’altra parte, per i più scettici, la subalternità a questo disegno di sovversivismo dall’alto delle classi dirigenti da parte del PD e del centrosinistra era stato messo nero su bianco nelle ultime elezioni politiche nella Carta di intenti di Bersani, sottoscritta da Vendola per SEL insieme a Nencini per il PSI (sic!), in cui in mezzo a molte dichiarazioni fumose c’erano alcuni punti chiarissimi: l’obbligo di “appoggiare l'esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell'Eurozona”; l’obbligo a “vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta"; l’obbligo di "assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese"; l’impegno “a promuovere un “patto di legislatura” con forze liberali, moderate e di Centro, d’ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni”. 

Quindi sostegno ai diktat della Troika, fedeltà ai Trattati europei (Maastricht, Lisbona) e atlantici (Nato, TTIP), obbligo di fedeltà dei parlamentari degli alleati alle decisioni del PD e ricerca di larghe intese con le forze moderate del centrodestra nel caso mancassero i numeri per imporre i sacrifici alle classi lavoratrici in nome del salvataggio dell’euro e della UE. Siamo proprio sicuri quindi che Renzi esca da questo solco? Siamo sicuri che quel nuovo centrosinistra “neo-ulivista” auspicato da Vendola e Civati possa essere alternativo alle politiche di austerity? Il renzismo è sicuramente una pericolosa variante neo-autoritaria e bonapartista di questo canovaccio e va bloccato, ma è espressione piena della linea “modernizzatrice” del PD tutto. 

Costruire subito un vasto fronte di opposizione per la caduta del governo Renzi è un passaggio indispensabile e ineludibile in questa fase. Ma proprio per il carattere “costituente” dei governi che sostengono la BCE, l’opposizione a questo tipo di esecutivi è condizione necessaria ma non sufficiente se non si prova a spezzare il quadro politico bipolare e ad affrontare la questione dei rapporti di forza nei confronti del padronato. L’opposizione a questi governi va legata, quindi, in maniera altrettanto “costituente” a una battaglia serrata contro tutte le forze politiche e le ideologie liberiste che li sostengono (PD-FI-neocentristi), per costruire un polo della sinistra antiliberista e anticapitalista alternativo ad essi e per sostenere la ricomposizione un blocco sociale antagonista agli interessi del capitalismo come obiettivo fondamentale. Per raggiungere questo obiettivo bisogna fare chiarezza e spazzare via ogni illusione di poter galleggiare nelle “terre di mezzo” in attesa di spostamenti a sinistra del PD. Questo significa che tale polo, per reggere nel tempo, non può essere un soggetto politico centralizzato (come delinea la “costituente della sinistra”) a cui cedere la sovranità politica, svuotando il PRC e le formazioni comuniste del senso stesso della loro esistenza. La complessità di un variegato fronte di resistenza alle politiche del capitalismo oggi non può che essere incarnato da una coalizione con differenti anime della sinistra alternativa (comuniste, anticapitaliste, antiliberiste, femministe, ecologiste ecc…) unite da una piattaforma di fase anticapitalista e antiliberista da costruire in connessione coi movimenti e i conflitti reali nel paese e non partorita da ceti politici, seppure di varia provenienza del vasto mondo della sinistra radicale ex-parlamentare. E d’altra parte la scissione recente di Syriza di questi mesi ha dimostrato come sia falsa l’idea che la forzatura in un soggetto unico “una testa, un voto” di differenti anime della sinistra, sia un vaccino contro le divisioni. E’ il programma l’unico vero collante. Quando non si condivide quello, la divisione è inevitabile perchè la prospettiva diventa divergente.

Bisogna allora avere il coraggio di sfilarsi finalmente dalla coda del dibattito in questo campo. Per essere all’altezza dello scontro di classe dentro questo quadro politico, e per sperare di rilanciare un’unità della sinistra utile alla classe, bisogna che i comunisti e le comuniste definiscano uno spazio politico e sociale in rottura non solo con le larghe intese, ma anche con l’opzione di centrodestra e con quella di centrosinistra del PD (con o senza Renzi). Due facce del sistema del monopartitismo competitivo a sostegno dei diktat del capitale finanziario euro-atlantico. E perchè questa linea di rottura sia visibile nella classe e riconoscibile nelle alleanze politiche deve essere incarnata in un qualche programma minimo di fase riconoscibile, sulla base del quale autonomamente i comunisti si pongano di fronte alla resistenza contro la crisi e alle forze politiche con cui convergere per la sua realizzazione. Ovviamente, come già ai tempi di Marx, non si tratta di un semplice programma elettorale o di obiettivi “minimali”. Si tratta di un programma di lotta contro il capitalismo qui ed ora che sappia individuare dei punti di rottura e di incompatibilità con l’attuale dominio capitalistico sebbene non immediatamente “rivoluzionari”. 

Il nodo politico della fase attuale lo si può sintetizzare nella necessità di modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi (sfavorevoli a quelle subalterne) e di rilanciare l’accumulazione delle forze in settori consistenti della classe legandoli a un progetto di trasformazione sociale verso il socialismo nel XXI° secolo. Con la precarietà permanente, il lavoro sottopagato e la disoccupazione di massa che caratterizzano l’attacco padronale alle classi subalterne, è la difesa e il rilancio del salario sociale e della riduzione dell’orario di lavoro, oggi più che mai, a poter essere un perno di un programma di difesa degli interessi di lavoratori dipendenti, precari e disoccupati, autoctoni o immigrati che siano. Ed è da questi punti che dipende la collocazione di classe degli altri punti possibili, non da una mera redistribuzione o dal semplice intervento statale in economia, auspicabile magari rivendicando un controllo pubblico popolare e la nazionalizzazione di banche e settori strategici o l’affidamento a “comunità di lavoratori” delle imprese che chiudono o delocalizzano così come permetterebbe persino il dettato costituzionale. Così come bisogna dire apertamente che rispettando i parametri dell’euro e dei vincoli di bilancio dei Trattati di Maastricht queste politiche sono impossibili.

Solo in questa prospettiva è possibile pensare di rilanciare un ruolo della Rifondazione comunista, oggi marginale, dentro la crisi globale del capitalismo e farlo riaprendo una prospettiva di trasformazione sociale rivolgendosi al nostro referente di classe naturale che troviamo, per lo più, tra l’elettorato del M5S o nell’astensionismo e non certo in quello del PD. E invece senza questi punti di lotta chiari rivolti ai settori sociali in crisi e ai conflitti, per i comunisti e per le comuniste finisce che il “programma di fatto” coincide con quello dei gruppi dirigenti della ex-sinistra Arcobaleno o della sinistra PD a cui ci si accoda di volta in volta nella speranza unica di ricavare una nuova prospettiva elettorale. Un pantano di questo tipo sarebbe utile solo a mantenere in vita le politiche antipopolari che i vincoli dei Trattati euromonetaristi di Maastricht e Lisbona impongono, insomma saremmo ancora prigionieri dello slogan elettorale del PD: “...è l’Europa che ce lo chiede”.

26/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Andrea Fioretti
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