Stampa questa pagina

I motivi reali della crisi innescata da Renzi

L’avventurismo politico del leader di Italia Viva non si spiega solamente con motivi psicologici, ma con l’interesse a gestire le risorse proveniente dall’Unione Europea e toglierle dalle mani di Conte e del Movimento Cinque Stelle.


I motivi reali della crisi innescata da Renzi

La ricerca di motivi psicologici o psicoanalitici in grado di spiegare il comportamento di Renzi è stato il leitmotiv delle cronache politiche. Sicuramente il narcisismo, i personalismi, la voglia di riscatto, hanno un peso. Come pure deve averlo l’ambizione, tutt’altro che infondata, di diventare il prossimo segretario generale della Nato.

Ma se queste ragioni possono spiegare il comportamento del singolo individuo, non spiegano il comportamento del suo gruppo parlamentare, a meno che non si voglia supporre che deputati e senatori di Italia Viva si facciano affabulare dalla retorica sugli errori del governo sciorinata dall’ex rottamatore. Ci deve essere, dunque, un motivo politico e un relativo tornaconto, per spingere politici senza ideali a preferire la rinuncia a incarichi di governo e l’avventura della crisi al vivacchiare fino alla fine della legislatura (nel partito di Renzi o altrove è indifferente).

Posto che nessun parlamentare vuole le elezioni anticipate che taglieranno 345 scranni dopo l’ultima riforma costituzionale, a un anno e cinque mesi dalla nascita del governo giallorosso e a due anni dalla fine legale della legislatura, Italia Viva si ritrova inchiodata nei sondaggi e incapace di assorbire i forzaitalioti, complice l’incarcerazione di Denis Verdini (3 novembre) e lo sdoganamento dell’ex cavaliere da parte dei pentastellati col voto sul salva-mediaset (11 novembre). 

I prossimi mesi, inoltre, potrebbero essere lacrime e sangue per la maggioranza degli italiani, e con la destra fascioleghista pronta a soffiare sul fuoco del malessere sociale, le forze di governo rischiano di bruciare il consenso elettorale costruito malgrado (o forse grazie a) la catastrofica gestione della pandemia. Mesi che, al contrario, per la classe dominante si preannunciano di grande opportunità, dal Recovery Fund al Mes.

Soldi che, in un caso, dovranno essere gestiti e, nell’altro, richiesti. In entrambi i casi con una portata economica e politica enorme. Da un punto di vista macroeconomico si tratta, a voler essere buoni, della classica aspirina contro il tumore, ma da quello microeconomico di una grandissima opportunità di crescita per singole cordate e relative “grandi opere”. E, soprattutto, questi soldi rappresentano l’ennesima, ulteriore, ultima, solo in ordine di tempo, occasione per legare ancora più strettamente le sorti del paese a quelle del grande capitale transnazionale, facendo pagare la crisi ai soliti noti tramite le ben note condizionalità (riforme peggiorative del lavoro, tagli al welfare ecc). 

Ma per riuscire nell’impresa c’era bisogno di fermare l’imboscata di Conte sul Recovery, celando il merito della distribuzione dei miliardi tra i vari ministeri dietro un problema di metodo assolutamente pretenzioso, venendo dal re degli accentratori. E, soprattutto, c’è bisogno di sostituire il presidente del consiglio con qualcuno che apra al MES, cui soltanto i 5S e il loro premier sono rimasti contrari. 

L’attivazione del meccanismo europeo di stabilità riformato (sanitario o meno poco importa) costituirebbe un precedente importantissimo sul piano continentale, incaprettandoci per i prossimi decenni. Ancora più del Recovery dove, se non altro, a decidere sono direttamente i capi di stato e di governo e non i tanto osannati tecnici di una organizzazione internazionale indipendente dalle altre istituzioni continentali. 

E per realizzare questo disegno mi pare ci siano solo due possibilità. Escluderei le elezioni anticipate: troppo incerto l’esito, data la popolarità di un outsider iperopportunista come Conte, capace di passare dalla Lega al PD senza batter ciglio. Senza contare il tempo che si dovrebbe perdere per fare una nuova legge elettorale – necessaria data la frammentazione del quadro politico – nonché l’istinto di conservazione di tutti quei parlamentari, e sono tanti, che rischierebbero di non venire rieletti (e questa consapevolezza è l’unica vera forza sulla quale si poggia l’azione di Renzi). L’alternativa, dunque, è tra un governo di unità nazionale e un nuovo governo M5S-PD allargato a transfughi del centro-destra. 

La prima opzione, però, ha senso quando la classe dominante ha bisogno di unirsi per fronteggiare un pericolo grave e imminente, come all’epoca di Monti, Dini o Amato (o nel caso di sommosse di massa che al momento però non si manifestano). Se si realizzasse tale operazione, dunque, significherebbe che lorsignori stimano che la situazione si farà presto drammatica. O perché la crisi economica precipiterà, o perché le riforme lacrime e sangue dovranno essere implementate rapidamente, ma nessuno è disposto a metterci la faccia lasciando all’opposizione il monopolio di una facile critica nazional-populista. Al contrario, se all’interno della classe dominante prevarrà chi ipotizza che l’indebitamento tradizionale e i fondi europei possano essere sufficienti per arginare la situazione senza rischiare di rimetterci l’osso del collo, se non altro da un punto di vista elettorale, allora la cosa più probabile è la messa in scena di una nuova maggioranza, pronta a rifilarci il Mes. Con Renzi e i suoi parlamentari che a quel punto si accrediterebbero come i più affidabili esecutori degli interessi del grande capitale transnazionale.

29/01/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

<< Articolo precedente
Articolo successivo >>