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Il Piano Letta: centrosinistra, euroatlantismo, sionismo nel segno dell’imperialismo statunitense

La proposta di Letta: riformare la sovranità costituzionale per adeguarla al polo subimperialistico europeo; la dichiarazione di obbedienza euroatlantica e l’allineamento al sionismo; l’egemonia confindustriale: da settembre la fine del blocco dei licenziamenti e l’accelerazione di riforme antipopolari; una alternativa è possibile? Va costruita sul piano sociale sul piano politico.


Il Piano Letta: centrosinistra, euroatlantismo, sionismo nel segno dell’imperialismo statunitense

La proposta di Letta: riformare la sovranità costituzionale per adeguarla al polo subimperialistico europeo

L’arrivo di Letta è stato per il Pd un momento di tenue speranza di poter riprendere quantomeno la capacità di interloquire con alcuni ceti del Paese (non riuscendo o non volendo intercettare i bisogni dei settori popolari) da parte di coloro che vivono nell’incantamento che il Partito Democratico sia un partito di sinistra. Per chiunque non abbia abdicato al’utilizzo delle categorie del materialismo storico nella lettura della realtà e della politica, l’arrivo dell’ex presidente del Consiglio, organico al Club Bilderberg e alla Commissione Trilaterale, non può indicare una svolta a sinistra; si tratta invece di una perfetta coincidenza con l’ascesa al governo del “provvidenziale” Mario Draghi, il quale ha delineato in maniera ineccepibile un “manifesto programmatico” strategico, imperniato su europeismo, atlantismo, riforme di sistema (in chiave europeista) e semplificazione burocratica (ulteriore smantellamento dei controlli). Il governo Draghi è l’esecutivo tecnico necessario a costituire l’alleanza economico-finanziaria tra grande capitale europeista multinazionale e capitale nazionale (espressi nelle componenti politiche di Pd, Iv, Fi): non si tratta della costruzione di un blocco sociale, ma della transizione a una democrazia ridotta e a sovranità limitata, funzionale al tentativo (ancora molto complicato e attraversato da contrasti di interessi nazionali e interimperialistici) di costruzione degli Stati Uniti d’Europa come pilastro del polo imperialistico euroatlantico. 

La variabile non prevista in questo processo è la decisione di Salvini (indotta da Giorgetti in primis) di schierare la Lega nella maggioranza e di entrare nell’esecutivo per gestire il Pnrr e il Recovery Plan (altro che coprifuoco e aperture di ristoranti): una situazione imprevista, che ha provocato la necessità di rafforzare la componente europeista e demo-liberale (nota bene: non ha caratteristica nemmeno pallidamente di una sinistra riconducibile al riformismo socialista o socialdemocratico) per evitare che l’uomo più organico al capitale transnazionale che l’Italia abbia mai prodotto potesse fallire. Letta è arrivato per cementare un Pd “balcanizzato”, rafforzare la componente organicamente europeista del governo e creare le condizioni di una espulsione della Lega dalla maggioranza. Tutto ciò finora non è riuscito: Letta si è dimostrato più goffo e maldestro nel proporre temi “di sinistra”, o presunti tali, da provocare molti imbarazzi anche tra chi ne aveva acclamato il ritorno e lo stesso Draghi non gradisce le uscite di Letta, frenandone i tentativi di avances per spostare l’asse dell’esecutivo verso il campo dem). In prospettiva c’è l’elezione del presidente della Repubblica su cui si gioca una partita strategica in vista delle prossime elezioni politiche del 2023 (o anticipate), in cui si tenterà di costituire un’alleanza economico-finanziaria di unità nazionale per frenare l’avanzata delle destre sovraniste, xenofobe, reazionarie, rappresentanti della piccolo-media borghesia e del sottoproletariato popolano. Se non riuscisse questa operazione e si affermassero le destre anche in Italia, con un asse tra Polonia, Ungheria e magari Spagna, si verificherebbe una svolta fascistoide che acuirebbe le contraddizioni in Europa e in Eurasia.

La dichiarazione di obbedienza euroatlantica e l’allineamento al sionismo

Alle vicende interne, in cui Letta ha lanciato alcuni spunti di depistaggio (la questione femminile nel partito, lo ius soli, temi fondamentali che ben sa di non poter attuare con l’attuale maggioranza), negli scorsi giorni Letta ha aggiunto un chiaro segnale sulla collocazione internazionale dei democratici con la sua leadership: la partecipazione alla manifestazione nel ghetto di Roma, esplicitamente filosionista, insieme a tutta la destra è un messaggio ben preciso sull’orientamento che il Pd dovrà assumere nei prossimi anni. La collocazione euroatlantica e il totale assoggettamento all’avamposto imperialista in Medio Oriente sono le linee portanti di una forza demo-liberale del blocco borghese occidentale, che sono state in maniera inequivocabile ribadite dal nuovo segretario Pd senza alcuna distinzione. Alle manifestazioni per la Palestina organizzata da Arci Anpi Cgil molti iscritti e anche quadri democratici hanno partecipato nello sconcerto, ma senza proferire una parola sulla posizione assunta da Letta, come se fosse chiaro a tutti che rappresenta la linea netta e chiara che ufficialmente il Pd deve interpretare sul contesto nazionale ed europeo: la faccia della “sinistra democratica” che rappresenta la modernizzazione e la definitiva transizione al neocapitalismo turbofinanziario e ecodigitale che si va strutturando pezzo a pezzo come organizzazione delle relazioni socio-produttive del XXI secolo. 

Il Pd di Letta si prefigura sempre di più come un polo progressista neoborghese, con l’obiettivo delle riforme burocratico istituzionali e dell’organizzazione del lavoro in chiave liberaldemocratica, che non preserverà il quadro di difesa dei lavoratori e il principio di eguaglianza ed equità garantiti dalla Costituzione, ma insinuerà una forma di meritocrazia fondata sulle competenze flessibili di ogni individuo in un quadro sempre più specifico (di comparto, di settore, di azienda, di regione) di relazioni tra soggetti formalmente autonomi (cliente-fornitore di prestazione), ma sostanzialmente subalterni sulla base della riduzione delle relazioni a intermediazioni mercantili. La forma del partito leggero è funzionale a questo progetto neoborghese del blocco europeista, e si incardina nella collocazione occidentale, euroatlantica e filosionista da cui non può prescindere. L’uscita di Letta pro-Israele non è solo un improvvido scivolone, ma l’espressione della organicità di Israele all’imperialismo euroatlantico: la partita geopolitica determinante nell’area vede in Israele, con tutto il suo portato razziale e segregazionista, il rappresentante liberaldemocratico, avamposto dell’espansione strutturale del neocolonialismo euroatlantico. 

Il messaggio di Letta è chiaro e diretto: l’unità nazionale si fa sull’assetto degli affari esteri, oltre che sulle questioni economico-sociali e istituzionali interne.

L’egemonia confindustriale: da luglio fine del blocco dei licenziamenti e accelerazione di riforme antipopolari

Ci si appresta al passaggio delle aperture, che si vogliono graduali, ma si vanno delineando in maniera accelerata. In gioco non ci sono questioni di minuti rispetto alle limitazioni della circolazione serale (il cosiddetto coprifuoco, ora spostato alle undici di sera), quanto una partita ben più sostanziosa e drammatica: tra poche settimane (fine giugno) sarà rimosso il blocco dei licenziamenti che Confindustria da mesi vuole eliminare (facendo saltare la timida proroga proposta da Orlando), con il conseguente massacro sociale in termini di lavoratori e soprattutto lavoratrici che perderanno la propria occupazione, e di miriadi di piccole e medie aziende che non riusciranno più a reggere la concorrenza (in questi anni peraltro lo hanno fatto restringendo salari, applicando contratti inadeguati, con l’estensione del “nero”, aumentando la produttività con orari di lavoro sempre più lunghi o ritmi sempre più intensi, rimuovendo i presidi per la sicurezza). 

Su questi temi fondamentali, Letta non ha speso una parola in queste settimane, le uniche polemiche sollevate nel contenzioso con Salvini sono relative alle riaperture e alla gestione della pandemia: segno anche questo inequivocabile di come il Pd non abbia nessuna intenzione di rappresentare – o anche solo interpretare – le istanze sociali proletarie, del lavoro dipendente, di quello precario e ipersfruttato, se non con dichiarazioni generiche sulla necessità di investire qualche miliardo del Pnrr per le donne e i giovani. La qualità del lavoro e le garanzie costituzionali che nutrono i diritti sociali non paiono nell’orizzonte di ricostruzione del campo del centrosinistra che il Pd di Letta si appresta a varare: il nuovo orizzonte riformista dello schieramento cosiddetto progressista in formazione assumerà la prospettiva della ristrutturazione del capitale nella transizione al capitalismo ecodigitale del XXI secolo, rinforzando la struttura classista della società italiana nel contesto europeo e internazionale. D’altronde, anche la timidissima proposta di aumentare la tassa di successione, con una progressione dal 4% al 20% sui patrimoni tra uno e 5 milioni di euro (!), allo scopo di lasciare una “dote” (sic!) tra 3 e 4 miliardi di euro ai “giovani” (categoria cara a Letta quanto le “donne”) non è altro che un maquillage fiscale che non metterebbe in discussione i meccanismi di distribuzione diseguale della ricchezza, non determinerebbe una modifica strutturale né tantomeno introdurrebbe meccanismi di equità nel sistema fiscale. 

Il programma progressista di Letta è nel segno della ristrutturazione capitalistica per il XXI secolo: le categorie “donne” “giovani” sostituiscono la classe di lavoratori e lavoratrici, la tassa sulla successione (che è una sorta di patrimoniale, ma una tantum) rimuove il problema della progressività fiscale e la lotta all’evasione fiscale (tema a cui Draghi ha solo alluso parlando di riforma della fiscalità), la prospettiva di investimenti e sgravi fiscali per le imprese (soprattutto nuove) distolgono dal problema dell’occupazione e dello sfruttamento sempre più intensivo e incontrollato – anche sul piano della sicurezza, tema drammatico se contiamo l’aumento di incidenti e morti sul lavoro – da parte di aziende nazionali e multinazionali, ma anche della piccola imprenditoria i cui padroni giustificano l’irresponsabilità nella gestione con la necessità di essere competitivi in un mercato sempre più globalizzato e destrutturato. Il progetto di centrosinistra ulivista lettiano riproporrà politiche liberiste con alcune correzioni keynesiane (welfare) e servizi sempre più gestiti con convenzioni da privati. 

Non è secondario che il governo Draghi si appresti a smantellare il già incerto sistema di controllo sull’assegnazione e esecuzione delle grandi opere (il codice appalti), che eliminerà gli ultimi vincoli per le imprese sia sul salari e orari, sia su sicurezza, sia rispetto al rispetto delle norme e delle leggi. Il rischio a cui andremo incontro è esemplificato perfettamente dal sistema di potere tra politica, interessi forti, massoneria, criminalità emerso in Toscana e fondato sulle privatizzazioni e sugli appalti, risulta meno controllabile, più esposto alle collusioni criminali e permeabile alle infiltrazioni mafiose, vicende ben raccontate e spiegate da Ascanio Bernardeschi nell’articolo Mafia, capitale e politica a braccetto anche in Toscana, sul numero 336 di questo giornale.

Una alternativa è possibile? Va costruita sul piano sociale sul piano politico

Qualsiasi alternativa politica (compreso il livello amministrativo) non può che passare con una rottura strategica e definitiva con il campo demo-liberale borghese incarnato dal Pd. A scanso di equivoci, chiarisco – anche se dovrebbe essere scontato, ma non sempre lo è tra gli anticapitalisti – che qualsiasi avvicinamento alle destre xenofobe razziste fascistoidi e neofasciste non deve essere ipotizzato: ciò che è sempre più necessario e improcrastinabile è la costruzione di un partito che ricostruisca i legami sociali e politici di soggetti proletari frammentati attorno a una ideologia organica e ricompositiva, uno sforzo immane e di lunga durata, ma imprescindibile. Un soggetto comunista coeso e articolato deve essere il perno da baricentro ideologico e politico dei movimenti anticapitalisti e antiliberisti, alternativi al blocco di potere del centro sinistra e delle destre, e a qualsiasi progetto neocentrista, per avviare una transizione al socialismo. La prima battaglia è quella sui brevetti liberi per i vaccini e i farmaci salvavita e sulla ricostruzione di una sanità integralmente pubblica e centralizzata (no alla regionalizzazione): per questo occorre rafforzare il fronte di mobilitazione e la coordinazione tra le organizzazioni anticapitaliste di sinistra. Per fare questo, occorre avviare un vero e proprio processo costituente, per costruire un percorso che abbia inizio con il federare le forze comuniste (partiti, collettivi, associazioni) con l’obiettivo della costruzione di una soggettività comunista unitaria (in forma federativa), condizione per la ricostruzione di un partito comunista per il XXI secolo.

28/05/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giovanni Bruno
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