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Il rigassificatore offshore di Livorno-Pisa, un'inchiesta de La Città Futura

La storia del rigassificatore offshore di Livorno-Pisa è una tipica storia italiana. Dove gli interessi di un privato sembrano essere stati agevolati con norme e leggi ad hoc, a scapito della sicurezza e della salute dei cittadini, della tutela dei loro interessi economici ed a scapito della difesa dell’ambiente. E dove la parola “politica” mostra il suo volto peggiore.  


Il rigassificatore offshore di Livorno-Pisa, un'inchiesta de La Città Futura

La storia del rigassificatore offshore di Livorno-Pisa è una tipica storia italiana. Dove gli interessi di un privato sembrano essere stati agevolati con norme e leggi ad hoc, a scapito della sicurezza e della salute dei cittadini, della tutela dei loro interessi economici ed a scapito della difesa dell’ambiente. E dove la parola “politica” mostra il suo volto peggiore.  

di Beatrice Bardelli

L’idea di costruire il primo rigassificatore al mondo, installato su una nave galleggiante ancorata al fondale marino e posizionata in mezzo al Santuario dei Cetacei, a 12 miglia dalla costa pisano-livornese ed a 14 miglia dal trafficatissimo porto di Livorno, era stata presentata, nella primavera del 2002, all’allora sindaco di Livorno, Gianfranco Lamberti, dall’imprenditore Aldo Belleli di Mantova. Un uomo già allora alla ribalta delle cronache giudiziarie per essere stato condannato per finanziamento illecito ai partiti nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite e in odore di condanna per bancarotta fraudolenta che sarà confermata nel 2003. Scavalcando a piè pari il Consiglio comunale (tanto che il consigliere dei Verdi uscì dalla maggioranza), il sindaco di Livorno, il 16 ottobre 2002, firmò un protocollo di intesa con la neonata società Olt in cui si affermava: “Il Comune promuoverà il progetto presso gli altri enti e Istituzioni”. Non solo. Il progetto fu presentato alla stampa come decisivo per dare ossigeno all’economia livornese: avrebbe dato lavoro al Cantiere navale Fratelli Orlando ed alla piccola e media impresa locale, avrebbe rivitalizzato l’ex azienda municipale Asa che poteva diventare azienda leader in Toscana per la distribuzione del metano, avrebbe avvantaggiato tutti i livornesi con sconti consistenti in bolletta sul prezzo del gas e, soprattutto, avrebbe favorito la metanizzazione della centrale Enel.  

Niente di tutto questo sarà mai realizzato.
Il progetto, abbracciato con entusiasmo dal sindaco di Livorno (DS) ma osteggiato, inizialmente, da tutti gli altri Enti territoriali a guida DS (Provincia di Pisa, di Livorno e Comune di Pisa che farà ricorso al Tar Lazio contro il progetto nel giugno 2005) verrà imposto poi, il 5 settembre 2005, dalla Regione Toscana che convinse tutti, per, così dire, “obbedienza di partito”, a firmare la storica intesa con la OLT. La Regione “rossa” (ma di vergogna! cominciarono a gridare nei cortei i cittadini pisano-livornesi) si illudeva di far rientrare il progetto del rigassificatore (per la sua, dichiarata, capacità di rigassificazione di 3,75 miliardi di metri cubi l’anno di gas naturale liquefatto/Gnl, pari al 4% circa del fabbisogno nazionale) nel Piano energetico regionale con conseguente riduzione delle tariffe del gas in bolletta per i toscani.
Il Comune di Pisa, che era stato l’Ente più agguerrito contro il progetto “offshore” perché avrebbe messo a rischio la sicurezza della popolazione ed avrebbe arrecato danni all’ambiente ed all’economia del turismo e della nautica da diporto, giustificò pubblicamente la firma dell’accordo con la Regione perché, sostenne, aveva ottenuto lo spostamento a sud dell’impianto (per minimizzare i suddetti danni) ed alcune “compensazioni ambientali”. Ovvero, il finanziamento dei lavori per la riapertura dell’Incile di Porta a Mare per collegare il fiume Arno con il Canale dei Navicelli, all’interno, che avrebbe dato impulso allo sviluppo della nautica e della cantieristica.  

Per questi motivi, il Comune rinunciò, il 22 settembre 2005, al suo ricorso al Tar Lazio chiedendone la cancellazione dal ruolo anche se pubblicamente continuò a ripetere che il ricorso era stato “congelato”. Ma fu beffato: le coordinate per la localizzazione in mare del rigassificatore non furono cambiate di un solo grado nel documento autorizzatorio finale e l’impianto non fu spostato. Oggi, il rigassificatore offshore non ha più nessuna relazione con la Toscana. Negli anni è diventato una joint venture delle multinazionali.
Prima spagnole, con Endesa, poi tedesche, con E.On. Attualmente, le sue quote azionarie sono in mano di E.On (48,24%) e Iren (49,07%) per un totale del 97,31% del capitale mentre la OLT Offshore Lng Toscana, che ha originariamente presentato il progetto, si è trattenuta una piccolissima quota azionaria. Ormai il suo destino è legato a doppio cappio al rigassificatore perché, se vendesse quel pur minimo pacchetto di azioni, ne perderebbe in un sol colpo la titolarità e, con questa, tutti i vantaggi accumulati negli anni per un progetto, il rigassificatore, che stenta a decollare. Ovvero, si ricomincerebbe tutto da capo.
Autorizzato nel febbraio 2006, costato circa 900 milioni di euro, tre volte tanto il costo iniziale previsto, l’impianto avrebbe dovuto “entrare in produzione entro il 30 giugno 2011” invece, secondo i dati ufficiali, ha iniziato il suo corso commerciale solo il 20 dicembre 2013. Colpa di una serie di ritardi accumulati a causa, soprattutto, di errori progettuali e di realizzazione che sono stati corretti in corso d’opera.  

Il rigassificatore offshore di Livorno-Pisa, ovvero il “bombolone”, come fu subito ribattezzato con tragica ironia dai livornesi, è il terzo rigassificatore esistente in Italia dopo quello di Panigaglia (La Spezia) costruito su terraferma negli anni Settanta e quello di Porto Viro (Rovigo) costruito su una piattaforma galleggiante al largo della costa ed operativo dal 2009.
Il suo percorso autorizzatorio è stato contestato, fin da subito, dal comitato No offshore di Livorno-Pisa che ha trovato nel corso degli anni preziose alleanze in Greenpeace, Medicina Democratica e Forum Ambientalista. Ma non certo nelle istituzioni che hanno continuamente ostacolato l’informazione ai cittadini e negato una loro partecipazione diretta alle decisioni nonostante fosse (e sia ancora oggi) prevista dalla Convenzione internazionale di Aarhus, recepita dall’Italia con la legge 108 del 2001. Basti ricordare che:

  1. il referendum popolare consultivo, richiesto dai cittadini di Livorno nel 2003, fu negato due anni dopo dal Comune, che nel frattempo aveva modificato le norme dello Statuto comunale, in quanto inammissibile;
  2. le delibere di Giunta della Regione Toscana, preparatorie all’autorizzazione ministeriale finale, riportavano la dicitura “Atto non soggetto a pubblicità”;
  3. l’Autorizzazione ministeriale del 23 febbraio 2006 non fu mai pubblicata in Gazzetta ufficiale. Il comitato ha dovuto sudare sette camicie per avere i documenti relativi ad un progetto che li riguardava da vicino e, nel tempo, ha saputo tessere una serie di relazioni, anche a livello parlamentare (prima Verdi e Rifondazione Comunista, oggi il Movimento 5 Stelle), che gli hanno permesso di presentare numerosissime interrogazioni sia alla Camera che al Senato, ma anche in Commissione Europea, che, purtroppo, non hanno mai smosso di un millimetro la posizione dei governi che si sono succeduti, da Berlusconi a Renzi, tutti a sostegno dei rigassificatori.  

Grazie ai propri contatti, comunque, il comitato ha potuto avere tutta la documentazione necessaria per seguire il tortuoso iter della società OLT Offshore Lng Toscana che, recentemente, grazie ad un decreto ministeriale scritto ad hoc il 3 settembre 2014, è riuscita a farsi riconoscere la qualifica di infrastruttura strategica per la sua capacità di stoccaggio e per un servizio (quello di peak shaving, ovvero pronti a rigassificare per forniture spot in caso di forti richieste di gas) che non gli era stato attribuito originariamente nell’autorizzazione del 2006. Nonostante che la Commissione Europea nel 2009 avesse criticato proprio la “limitata capacità di stoccaggio” del rigassificatore, quella qualifica di infrastruttura strategica è stata retrodatata al 20 dicembre 2013, data ufficiale di inizio dell’operatività commerciale del terminale, ed ha dato alla OLT il diritto al riconoscimento del cosiddetto “fattore di garanzia” fissato dall’Autorità del gas, ovvero di una sovvenzione statale sicura anche in caso di mancato riempimento dei serbatoi.
Guarda caso, proprio da quella data ufficiale di inizio, il 20 dicembre 2013, fino al 3 settembre 2014, data di firma del suddetto decreto ministeriale, il rigassificatore della OLT è rimasto a secco perché “a causa della situazione di bassa domanda del mercato italiano, nessuna nave metaniera ha effettuato discariche presso il terminale”, come scrive in un documento del gennaio di quest’anno la Commissione Europea.  

Così alla OLT, proprio per l’inattività del suo rigassificatore, è stato riconosciuto per l’intero periodo – circa 8 mesi e mezzo - un fattore di garanzia pari al 64% (il massimo consentito) di copertura dei ricavi di riferimento relativi alla sua capacità nominale di rigassificazione. In pratica, un bel gruzzolo di milioni di euro che tocca agli italiani pagare in bolletta. Il fattore di garanzia non è fisso ma può variare di anno in anno perché dipende direttamente dal livello di riempimento di Gnl nei serbatoi. Ad esempio, come scrive la Reuters il 15 settembre 2014: “In caso di riempimento al 50% la società si vedrebbe riconosciuti ricavi sicuri per il 14%, pari alla differenza tra il livello di riempimento (50%) e il tetto del 64% fissato dall’Autorità”.
E questa spada di Damocle resterà sulla testa degli italiani per 20 anni! Il fatto è che la pessima scelta di posizionare in mare aperto il rigassificatore lo espone, d’inverno, a numerosi giorni di inattività forzata quando soffia il vento di libeccio ad oltre 100 km orari e con onde alte decine di metri che impediscono qualsiasi operazione di allibo. Lasciando i serbatoi vuoti. Sarà, quindi, inevitabile far scattare il fattore di garanzia che dovrà essere pagato in bolletta dagli italiani.  

Eppure, quel tratto di mare era stato giudicato improponibile già nel 2001 da una Commissione tecnico-scientifica del Ministero dell’Ambiente incaricata di valutare il rischio ambientale derivante dalla presenza di un deposito offshore di GPL e dalla movimentazione di gas di petrolio liquefatto. Dopo avere osservato il tipo di condizioni meteoclimatiche (“i venti ed il moto ondoso sono tali da non poter garantire un sufficiente numero di giorni/anno con condizioni di operabilità in sicurezza”), il tipo di traffico marittimo della zona, l’impatto ambientale e la presenza del Santuario dei cetacei, la Commissione concludeva scrivendo che, in quell’area, gli impianti offshore non sono “in grado di garantire un adeguato livello di sicurezza sia dal punto di vista impiantistico che gestionale ed ambientale”.  

Purtroppo, la sola presenza del rigassificatore in mezzo al mare fa già molti danni all’economia locale e ne farebbe di gravissimi per l’ambiente marino se fosse in attività. Il progetto del rigassificatore offshore era stato autorizzato dal Ministro delle Attività produttive che aveva voluto far considerare il mare un “sito industriale” per poter applicare all’impianto le semplificazioni autorizzatorie previste dalla legge 340 del 2000. Questo primo progetto al mondo di rigassificatore offshore che avrebbe dovuto ricevere da una nave gasiera che gli si affianca il gas naturale liquefatto non solo fu autorizzato, abusando di un articolo di legge, ma ricevette, a tempo di record, il permesso di trasferire Gnl da una nave gasiera al rigassificatore (allibo) senza il quale il progetto sarebbe saltato.
Guarda caso, lo stesso giorno in cui fu rilasciata l’Autorizzazione ministeriale, il 23 febbraio 2006, fu pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti che cancellava il divieto alle operazioni di allibo che erano state proibite fin dal 1984 da un decreto della Marina Mercantile perché considerate estremamente pericolose.  

Si sa, infatti, che i rigassificatori sono considerati “impianti a rischio di incidente rilevante” e sottoposti alle Direttive Seveso ma quello dello sversamento in mare di gas naturale liquefatto, causato da incidenti di vario tipo (dalla collisione all’attacco terroristico) viene considerato l'incidente più catastrofico immaginabile fra tutte le fonti energetiche. Perché, come spiegano bene due divulgatori scientifici come Piero Angela e Lorenzo Pinna (La sfida del secolo: Energia, Mondadori 2007, pag. 99), il gas freddissimo (- 161° C), a contatto con l'acqua di mare, molto più calda, inizierebbe a ribollire per tornare allo stato gassoso (rapporto di 1 a 600). La nube di metano evaporato, rimanendo più fredda e più densa dell'aria, potrebbe essere spinta dal vento, sfiorando la superficie marina, verso la terraferma.
Inoltre, scaldandosi lentamente, la nube comincerebbe a mescolarsi con l'aria. Una miscela fra il 5 e il 15 per cento di metano con l’aria è esplosiva e una qualsiasi scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube. “La potenza liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate di tritolo, questa volta nell'ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche”, scrivono Angela e Pinna.
L’energia sprigionata da una nave gasiera con un serbatoio di 125.000 m3 sarebbe equivalente a 55 bombe di Hiroshima prive di radiazioni” avevano già scritto nel 1982 Amory B. Lovins e L. Hunter Lovins in “Brittle Power”, lo studio preparato per il Pentagono e commissionato dalla Federal Energy Management Agency. Da notare che il rigassificatore offshore è dotato di 4 serbatoi sferici per Gnl per una capacità complessiva di 137.500 m3. Anche se nessuna istituzione, in Italia, ha mai voluto riconoscere apertamente l’estrema pericolosità del rigassificatore offshore, tuttavia non si è potuto evitare di creare intorno all’impianto galleggiante tre zone circolari di interdizione dove sono vietate la navigazione, la sosta, l’ancoraggio, la pesca e tutte le varie attività di superficie o subacquee.
Un enorme specchio di mare, pari a 689,6 chilometri quadrati, sottratto alla libera fruizione dei cittadini, dei pescatori e di chiunque ami praticare attività subacquee o di superficie, nautica da diporto e turismo nautico per dare il via, per la prima volta in Italia, ad una vera e propria “privatizzazione del mare” a favore di una società privata, la OLT.  

Attualmente, il rigassificatore sembra essere in stand-by ma se, invece, fosse in attività produrrebbe un enorme inquinamento dell’aria e danni gravissimi all’ecosistema marino danneggiando il Santuario dei Cetacei come ha sempre denunciato Greenpeace. 

Se è vero che il gas metano, in fase di combustione, produce minor quantità di anidride carbonica (CO2), è altresì vero che, allo stato naturale (non bruciato), causa un effetto serra 21 (ventuno) volte maggiore dell’anidride carbonica (cfr. Armaroli N., Balzani V., “Energia oggi e domani”, Bonomia University Press, Bologna 2004).
L'impianto, quindi, per la sua stessa natura, libererebbe ogni anno molti milioni di metri cubi di gas metano (non bruciato) contribuendo in maniera significativa sia all'inquinamento di tutta la zona già particolarmente degradata, sia all'effetto serra.  

Gnl Italia, che gestisce l’impianto di Panigaglia di proprietà Snam, ha dichiarato che nel 2001 "l'attività ha comportato l'emissione in atmosfera di circa 77 tonnellate di ossidi di azoto, 48 tonnellate di monossido di carbonio e 93.000 tonnellate di anidride carbonica". I danni all’ecosistema marino sono, invece, ancora “ipotesi di danni futuri” in quanto il rigassificatore offshore è praticamente inattivo dal 20 dicembre 2013. Infatti, a fronte della possibilità di ricevere 59 metaniere all’anno, il terminale, ad oggi, ha scaricato Gnl soltanto tre volte dalla LNG Leo (di proprietà della E.On comproprietaria della OLT), nell'autunno 2013 nel corso delle operazioni di collaudo, e solo due volte nel dicembre 2014 nell’ambito del servizio di peak shaving. Colpa del fortissimo calo della domanda e del conseguente consumo di gas, in Italia, non solo nel settore termoelettrico dove il gas risulta sempre più spiazzato dalle fonti rinnovabili.
Nella Relazione annuale sullo stato dei servizi dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico del 31 marzo 2015, si legge che, mentre nel 2007 l’Italia consumava circa 80/82 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno e si prevedeva che nel 2010 sarebbe arrivata a consumarne tra gli 89 ed i 99 mld, nel 2013 il consumo era già sceso a 70,1 mld e nel 2014 è precipitato a 61,9 mld. In pratica, dal 2005 al 2014, la domanda finale complessiva in Italia si è ridotta del 28% ed i livelli di consumo sono tornati ai valori attestati tra il 1997 ed il 1998.  

Si sa anche che gli impianti di rigassificazione utilizzano, per trasformare il Gnl dallo stato liquido allo stato gassoso, enormi quantità di acqua arricchita di cloro. Nel caso del rigassificatore offshore di Livorno-Pisa viene utilizzata acqua di mare che viene poi scaricata in mare più fredda e con aggiunta di ipoclorito di sodio in funzione antifouling (per impedire la formazione di incrostazioni sotto lo scafo e lungo le tubazioni dentro le quali scorre l’acqua che serve a scaldare il Gnl).
Non ci risulta che, ad oggi, sia mai stata fatta, da parte ministeriale, alcuna valutazione degli effetti nel mare degli sversamenti di questo impianto.
Eppure, il rigassificatore si trova in mezzo al Santuario dei Cetacei, un’area marina specialmente protetta di interesse internazionale, istituita da un accordo internazionale sottoscritto da Italia, Francia e Principato di Monaco. ai sensi del Protocollo sulle Aree specialmente protette annesso alla Convenzione di Barcellona. E che lo stesso Protocollo prevede all’art.6 “la proibizione del dumping e dello scarico di rifiuti o di altre sostanze che verosimilmente possono direttamente o indirettamente danneggiare l’integrità dell’area specialmente protetta”.  

I danni, anche se ancora da quantificare, sono stati, comunque, considerati certi se anche l'ICRAM - Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al mare – aveva deciso, prima della realizzazione dell'impianto, di mettere a bando n. 10 borse di studio per valutare e monitorare gli effetti degli sversamenti dovuti a impianti offshore. Il rigassificatore di Livorno, che adotta il sistema di rigassificazione “a ciclo aperto”, preleva acqua di mare per riscaldare il gas liquido (a - 161°C circa) e riportarlo allo stato gassoso restituendo quindi al mare l’acqua più fredda (circa 300.000 metri cubi al giorno). Nel sistema “a ciclo aperto”, all’interno dell’impianto viene utilizzato il cloro attivo che reagisce con la sostanza organica presente nell’acqua di mare prelevata e forma composti organoclorurati che sono da tempo riconosciuti tossici e mutageni per i viventi. Con vario grado di compromissione delle funzioni cellulari e delle attività metaboliche dell’intero organismo in relazione alle concentrazioni assunte.
Infatti, i composti organoclorurati, che sono scarsamente biodegradabili, persistono nell’ambiente e si accumulano negli organismi con cui vengono a contatto, concentrandosi nei fluidi e nei tessuti ricchi di grassi (Depledge e Billinghurst 1999), come quelli di alcune specie di pesci di cui ci nutriamo comunemente. I composti formati dalle reazioni tra cloro e sostanza organica fanno parte dei prodotti secondari di disinfezione. A causa dei loro effetti tossicologici e cancerogeni, tali sostanze sono sottoposte a severe regolamentazioni da parte dell’Organizzazione Mondiale della Salute e dell’Agenzia di Protezione dell’Ambiente che hanno stabilito i massimi livelli di contaminazione per alcuni dei sottoprodotti di disinfezione. Alcune di tali sostanze vengono inoltre indicate come sostanze inquinanti prioritarie dalla Comunità europea (direttiva 2000/60/CE) e dalle leggi nazionali (DL 367/2003, DL 152/2006).  

Nonostante l’evidente inattività del rigassificatore, anche se ben remunerata dal fattore di garanzia statale, la OLT non ha mai smesso di richiedere modifiche ed integrazioni alle prescrizioni definite dal decreto di VIA del 2004 per cercare di riviltalizzare un progetto che sembra destinato a non decollare mai. Fino ad oggi le sue richieste, che hanno sempre ottenuto l’esenzione dalla riapertura della procedura di VIA, si erano indirizzate all’aumento annuale degli accosti delle navi gasiere ed all’incremento della loro capacità di trasporto di Gnl. Nel 2010, la OLT aveva già ottenuto dal Ministero dell’Ambiente l’aumento a 59 del numero di accosti per anno per navi da 40.000 m3 di Gnl. Nel Provvedimento si definiva il limite massimo del volume del Gnl contenuto nelle navi a “circa 138.000 m3 di Gnl” e si ribadiva: “Qualunque incremento nel numero di navi/anno o di navi/giorno rispetto a quanto sopra indicato, o incremento nel volume del Gnl contenibile dalle navi rispetto al limite massimo di circa 138.000 m3 di Gnl dovrà essere sottoposto a nuova procedura di VIA”. Ma questo non è mai avvenuto. Almeno fino ad oggi. Infatti, ancora nel 2012, il Ministero dell’Ambiente aveva accolto una nuova richiesta della OLT, con “esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale”, per aumentare la capacità delle navi metaniere fino ad un massimo di 155.000 m3 di Gnl. Tutte modifiche richieste ed accolte quando il rigassificatore non c’era ancora! Recentemente, nel maggio scorso, il livello delle richieste della OLT Offshore LNG Toscana Spa al Ministero dell’Ambiente è cresciuto esponenzialmente. Nella nuova istanza per l’avvio della procedura di Verifica Assoggettabilità a VIA, la OLT ha chiesto non solo un nuovo incremento dell’attuale limite di capacità delle navi metaniere che possono accostare al terminale, ma anche, e per la prima volta, un incremento del Delta termico dell’acqua di mare necessaria alla rigassificazione e l’utilizzo dello scarico idrico SF03 in modalità Zero Send Out. Ovvero, l’autorizzazione a raffreddare di più di quanto finora consentito l’acqua di mare utilizzata per il processo di rigassificazione e l’autorizzazione ad emettere in mare più cloro di quanto finora prescritto nei periodi di non rigassificazione. 

Per quanto riguarda le metaniere, la OLT, per la prima volta, non ha precisato chiaramente il limite massimo richiesto di capacità delle navi che possono accostare, nonostante che il provvedimento del Ministero dell’Ambiente del 2012 avesse disposto che qualsiasi incremento nel volume di Gnl contenibile dalle navi rispetto al limite massimo di circa 155.000 m3 di Gnl “dovrà essere sottoposto a nuova procedura di VIA”. La OLT, invece, ha fatto riferimento ad una tipologia di navi metaniere “del tipo New Panamax” con capacità di trasporto pari a ”circa 180.000 m3”.
Ma di quali tipologie di navi parla la OLT?
Nella “Relazione Tecnica” del 24 aprile 2015, non si trovano informazioni più chiare e precise se non che resteranno escluse “solo le Q-Flex e le Q-Max aventi rispettivamente capacità di trasporto pari a 216.000 mc e 266.000 mc”. Questa volta la OLT ha veramente esagerato. E questa volta il comitato No offshore di Livorno-Pisa, ormai al suo 13° anno di vita, è riuscito ad intercettare in tempo le nuove pretese della OLT inviando al Ministero dell’Ambiente le proprie Osservazioni e la richiesta di non permettere, senza una nuova procedura di VIA, qualunque altro incremento dell’attuale limite di capacità delle navi gasiere metaniere che possono accostare al terminale. Osservazioni che hanno trovato ampio risalto sul territorio e sulla stampa locale anche perché sono state sostenute, in co-partenariato, da Greenpeace, Medicina Democratica di Livorno e Pisa, dai due consiglieri di Una Città in Comune-Rifondazione Comunista del Comune di Pisa e dallo stesso sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, del Movimento 5 Stelle.  

 

30/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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