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L'articolo 53 della Costituzione negli anni del trionfo neoliberista

La Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce, all’art. 53, che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Un precetto sempre più disatteso dalle manovre finanziarie degli ultimi governi.


L'articolo 53 della Costituzione negli anni del trionfo neoliberista Credits: fanpage.it

La Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce, all’art. 53, che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Un precetto sempre più disatteso dalle manovre finanziarie degli ultimi governi.

di Massimo Sabbatini

La tassazione diretta, cioè quella realizzata con un prelievo coattivo direttamente sui redditi del contribuente, secondo la nostra Costituzione dovrebbe essere informata a un criterio di progressività: chi è più ricco è tenuto a contribuire più di chi è povero alla fiscalità generale, quella che serve per garantire a tutti i cittadini servizi essenziali come sanità, istruzione, sostegno al reddito, trasporti, cura del territorio etc.

Come si realizza questa progressività in Italia, e come è mutata negli anni del trionfo neoliberista? Proviamo ad analizzare le tabelle dell'IRPEF con cui i contribuenti hanno pagato e pagano le tasse e studiamo le variazioni delle aliquote.

Nel 1970 esistevano ben 32 aliquote, che andavano dal 10% al 72%: il sistema era dunque fortemente progressivo nel pieno rispetto del dettato della Costituzione. Le aliquote furono cambiate una prima volta nel 1983 (primo governo Craxi, con Giuliano Amato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Bruno Visentini ministro delle Finanze) riducendole a 9, alzando la minima al 18% (quasi raddoppiata) e diminuendo a massima al 65%.

Negli anni successivi l'aliquota minima fu di nuovo abbassata al 10% e la massima progressivamente ridotta intorno al 50%.

Vediamo adesso nel dettaglio le variazioni delle aliquote IRPEF negli anni del trionfo del neoliberismo. Partiamo dalle aliquote della dichiarazione dei redditi 1991 (redditi realizzati nel 1990):

Scaglione

Reddito da lire

Fino a lire

Aliquota

1

1

7200000

10,00%

2

7200001

14400000

22,00%

3

14400001

30000000

27,00%

4

30000001

60000000

34,00%

5

60000001

150000000

41,00%

6

150000001

300000000

46,00%

7

Oltre 300000000

51,00%

I redditi più alti pagano aliquote decisamente inferiori rispetto agli anni '70 e '80, ma il sistema è comunque ancora progressivo: l'aliquota più alta è cinque volte la minima e tra le due c'è una distanza di 41 punti percentuali.

Nel 1998 interviene una variazione significativa:

Scaglione

Reddito da lire

Fino a lire

Aliquota

1

1

15000000

18,50%

2

15000001

30000000

26,50%

3

30000001

60000000

33,50%

4

60000001

135000000

39,50%

5

Oltre 135000000

150000000

45,50%

Le aliquote sono ridotte a cinque (negli anni '70 erano 32) attraverso un “accorpamento” delle basse e delle medie (con una conseguente perdita del principio della progressività a danno dei redditi più bassi di ogni fascia), mentre l'aliquota più alta è ridotta di 5,5 punti.

Una ulteriore modifica delle aliquote si è avuta nel 2004 (redditi 2003), nel secondo anno dopo l'introduzione dell'euro (1 gennaio 2002) con poche variazioni:

Scaglione

Reddito da euro

Fino a euro

Aliquota

1

1

10329

18,00%

2

10329,01

15493

24,00%

3

15493,01

30987

32,00%

4

30987,01

69721

39,00%

5

Oltre 69721

45,00%

Rispetto al 1991, la distanza tra i due estremi è scesa da 41 a 27 punti percentuali.

Passiamo al 2008 (redditi 2007), anno in cui le aliquote furono nuovamente modificate e corrispondono a quelle attualmente in vigore:

Scaglione

Reddito da euro

Fino a euro

Aliquota

1

1

15000

23,00%

2

15000,01

28000

27,00%

3

28000,01

55000

38,00%

4

55000,01

75000

41,00%

5

Oltre 75000

43,00%

L'aliquota minima è cresciuta ancora: le fasce di reddito più basse ora subiscono una tassazione diretta addirittura del 23%, il 130% in più rispetto al 1991. Anche la fascia di reddito successiva, quella che potremmo definire medio-bassa ha subito un peggioramento consistente, dal 22% al 24% al 27%. La fascia di reddito più alta ha invece visto un abbassamento costante dell'aliquota, dal 51% al 45% al 43%.

La distanza tra l'aliquota massima e minima era di 62 punti percentuali fino al 1983, di 41 nei anni '90, dal 2008 è passata a 20 punti percentuali. In sostanza oggi un ricco contribuisce alla fiscalità generale con un'aliquota di soli 20 punti percentuali superiore a quella di un povero.

A fronte di questa diminuzione di progressività della tassazione diretta, c'è stata una crescita costante della tassazione indiretta. La tassazione indiretta, quella che riguarda non i redditi, ma i beni e i servizi che i cittadini acquistano con il loro reddito, è applicata con una aliquota fissa, uguale per tutti. Ma il termine “uguale” usato in questo caso è fuorviante, perché questa tassazione non è affatto “uguale per tutti”, anzi, è decisamente iniqua e regressiva, perché, ad esempio, le accise sul carburante che determinano il prezzo alla pompa della benzina e del gasolio non pesano allo stesso modo su chi guadagna 1.550 euro al mese e su chi guadagna 10.000 euro: per il primo una spesa in carburante di 200 euro al mese significa il 13% dello stipendio, per il secondo la stessa spesa significa il 2%: colpire con la stessa aliquota fiscale, cioè allo stesso modo, lavoratori con redditi bassi e professionisti, imprenditori e dirigenti con redditi alti e altissimi non è affatto equo, è invece proprio il trionfo dell'iniquità.

L'imposta indiretta più importante è l'IVA, l'imposta sul valore aggiunto che colpisce tutti i beni e servizi acquistati dai cittadini. Vediamo come è cambiata negli anni l'aliquota di questa imposta:

1973 12%

1977 14%

1980 15%

1982 18%

1988 19%

1997 20%

2011 21% (governo Monti)

2013 22% (governo Letta)

Nella “clausola di salvaguardia” della Legge di stabilità 2014 (governo Renzi) sono previsti un ulteriore aumento al 24% nel 2016, al 25% nel 2017 e al 25,5% nel 2018.

E' segno dei tempi il modo in cui gli ultimi aumenti dell'aliquota sono stati realizzati, con un metodico uso delle armi di distrazione di massa: quello del 2011 attraverso lo schermo del caso Ruby e quello del 2013 nei giorni del balletto “il-governo-cade-il-governo-non-cade”. E anche oggi Renzi, con la complicità dei giornalistucoli di regime, imbottisce di chiacchiere tutti i telegiornali parlando del nulla, ma chi tra i cittadini è dai media messo in condizione di conoscere veramente il contenuto della Legge di stabilità, l'atto di governo più importante e decisivo per le loro vite?

Un'ultima osservazione: per evitare gli ultimi due aumenti dell'IVA del 2011 e 2013 sarebbero stati necessari 5 o 6 miliardi di euro, una cifra relativamente piccola, considerando le spese enormi e assurde che questi governi continuano a caricare sui contribuenti, dagli armamenti alla TAV. Oppure, se proprio non si poteva rinunciare a qualche cacciabombardiere, non sarebbe stato più equo alzare di uno o due punti percentuali le due aliquote IRPEF più alte, quelle che colpiscono i redditi dei più ricchi, e che erano state abbassate ancora nel 2008, all'inizio della crisi economica? Ecco come hanno realizzato “l’equità”, senza differenza alcuna tra gli ultimi quattro governi della Repubblica (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), anzi, con eloquente continuità.

02/08/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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