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L’odio al tempo del Coronavirus

L’emergenza sanitaria tra razzismo, violenza e speculazioni


L’odio al tempo del Coronavirus Credits: lastampa.it

Una donna cinese, in Italia da oltre venti anni, è stata aggredita nei giorni scorsi nel centro di Torino. Presa a calci e a pugni da un uomo e una donna, è stata insultata e le è stato urlato di andarsene dal paese. La causa: essere stata associata, in quanto cinese, al virus che negli ultimi mesi ha fatto preoccupare tutto il mondo.

Questo è uno dei fatti più gravi accaduti in queste ultime settimane di escalation dei contagi in Italia, ma non l’unico: si tratta infatti del secondo episodio di violenza nel capoluogo piemontese. Nelle scorse settimane due ragazzi cinesi erano stati accerchiati da un gruppetto di violenti e presi a bottigliate. Altri episodi si sono verificati in altre regioni italiane. Se si fa un passo indietro si noterà che le cronache riportano decine di casi di violenza verbale nei confronti di membri delle comunità cinese italiana e questo, già a partire da fine gennaio quando il virus ancora non aveva varcato i confini. Una situazione allarmante che ha richiesto anche l’intervento dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese. Nel comunicato diffuso dall’ANSA si legge: "Nella comunità cinese si sta diffondendo il panico. Non per l'epidemia di coronavirus, ma per la sicurezza. Ci sono state aggressioni verso cinesi in Italia, non turisti, ma comunità cinese. Vorrei invitare gli amici italiani a fare attenzione alla sicurezza dei nostri connazionali che vivono e lavorano in Italia, di evitare pregiudizi, distinzioni, aggressioni. Insulti e minacce non sono tollerabili. È l'appello che voglio lanciare".

Ma ad essere colpiti da questa ondata di violenza non sono stati solo i cinesi: da circa un mese, molti asiatici presenti nel nostro paese, indipendentemente dalla loro nazionalità di provenienza, sono stati bersaglio di scherno, insulti e umiliazioni. A questo proposito raccogliamo e pubblichiamo la testimonianza di Hương, una studentessa vietnamita che da qualche mese si trova in Italia. Il suo racconto di riferisce ad un episodio accaduto alla fine di gennaio: “La sola cosa che mi ha fatto impazzire in questi giorni è che alcuni giovani ragazzi italiani hanno iniziato ad ignorare gli asiatici a causa del Coronavirus. La cosa peggiore è successa oggi, quando hanno visto me e una mia amica che indossavamo la mascherina e ci hanno urlato: "tornate nella f***** Cina!" – e continua – “La malattia non è ancora stata vista, ma le anime distorte e malate sono abbondanti ovunque. Chiude dicendo: “non ho paura del virus. Ho paura del razzismo”.

Da cosa nasce quest’odio? Certamente non è il Coronavirus ad averlo portato. Prima di tutto bisognerebbe riflettere sul ruolo delle grandi testate giornalistiche in questo clima di tensione: più che informare, hanno dato spazio a notizie parziali, fake news e hanno iniziato a pubblicare dati sotto forma di veri e propri “bollettini di guerra” creando un allarmismo generale. Le informazioni, quelle vere e quelle utili, sono state messe in secondo piano, sepolte sotto grammi di carta inutile. Ma come sappiamo i giornali vanno venduti…anche sulla pelle delle persone. In un mondo guidato dal neoliberismo, dalle logiche di mercato, è normale che i giornali non abbiano lo scopo di informare ma di vendere, a tutti i costi! E dunque, si preferiscono titoli roboanti, accattivanti, fuorvianti, piuttosto che la semplice verità. Tutto questo per accaparrarsi qualche spicciolo e qualche “click” in più in rete. Ma questo è il capitalismo. E a qualcuno piace così. Chissà cosa accadrebbe se i giornali aprissero tutti i giorni con il “bollettino” dei morti e degli infortuni sul lavoro? Una malattia che colpisce il nostro paese quotidianamente: mille morti l’anno circa, una strage. Ma non è una tematica buona per il mercato e poi il germe della consapevolezza sarebbe troppo pericoloso da diffondere…qualcuno potrebbe ribellarsi, scioperare.

Tuttavia, non sarebbe onesto attribuire alla stampa tutte le colpe di questa situazione: paura e odio sono anche, soprattutto, il risultato di lunghe campagne elettorali, spesso condite da frasi e slogan razzisti e xenofobi. Sono il risultato di una politica che ha visto legittimare l’odio e l’intolleranza, portando al governo – in qualità di Vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’interno – Matteo Salvini la cui narrazione politica ha legittimato e dato voce a sentimenti che un tempo venivano repressi, almeno per vergogna, e che invece, oggi, trovano delle rappresentanze istituzionali.

Ed è forse questo che deve preoccuparci: “nel mondo grande e terribile”, espressione cara a Gramsci, di fronte ad emergenze sanitarie che richiederebbero la solidarietà e la cooperazione, vi è sempre una parte pronta a speculare o ad individuare nell'altro, nel “diverso”, il colpevole, il nemico da combattere. La solidarietà scompare e avanza un’umanità sempre più arida. La politica di Salvini (e quella delle nuove destre) ha ridotto lo scontro politico ad una logica Schmittiana, basata sul rapporto amico/nemico, una visione in cui “l’altro” è considerato l’avversario da combattere e abbattere. E non è un caso che certa propaganda si sia tradotta nelle strade in violenza verbale, denigrazione del presunto nemico e poi, talvolta, anche in violenza fisica. E sebbene non vi sia un legame diretto tra Salvini e le aggressioni fisiche e verbali avvenute in questi giorni, certamente l’assenza di dialettica nella politica salviniana ha portato anche a questa situazione: prima odiavano gli immigrati, ora gli asiatici…chi sarà il prossimo? I focolai del virus delle nuove destre sono la vera malattia che dobbiamo isolare e combattere.

16/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: lastampa.it

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