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Un invito al NO per salvaguardare l’inscindibilità del rapporto tra Resistenza, lavoro e Costituzione

Referendum del 4 dicembre, l’ennesimo calcio eversivo. Le ragioni del No e lo schiaffo alla riforma del Titolo V della Costituzione


Un invito al NO per salvaguardare l’inscindibilità del rapporto tra Resistenza, lavoro e Costituzione Credits: Il Fatto Quotidiano

La libertà è una forma di disciplina”. Così cantava Giovanni Lindo Ferretti ai tempi dei CSI. E non sbagliava. Contro la riforma Boschi- Renzi, il 4 dicembre noi diciamo NO, 10, 100, 1000 volte. No all’ennesimo scempio che mortifica i cittadini e non migliora la qualità dell’iter legislativo. Lo scontro tra il Sì e il No è intersecante e coinvolge tutti gli schieramenti politici e ideologici. Ma il maggior capofila del Sì è il piddino Matteo Renzi, seguito dal suo entourage e dal fido Re Giorgio , che in caso di vittoria del No si dimetterebbe dall’Esecutivo. Bel colpaccio potremmo dire.

Perché votare No

Nel limitarci alle ragioni del No(quelle del Sì non ci interessano) sciorinato su più fronti, elenchiamo le principali. Ragioni dichiarate e stese nero su bianco sul sito ufficiale del comitato del No. In primis, si tratta di una riforma non legittima perché prodotta da un Parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) dichiarata incostituzionale. Per di più, anche gli amministratori locali chiamati a comporre il nuovo Senato godrebbero dell’immunità parlamentare. Anziché superare il bicameralismo paritario, la riforma lo rende più confuso, creando conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra Camera e nuovo Senato.

La riforma non semplifica il processo di produzione delle leggi, ma lo complica. Le norme che regolano il nuovo Senato, infatti, produrrebbero almeno 7 procedimenti legislativi differenti, i costi della politica e la riforma costituzionale Italicum. No anche per i costi della politica, vero tallone d’Achille del nostro sistema politico, che non vengono dimezzati. Con la riforma si andrà a risparmiare solo il 20%. Un altro aspetto toccato è quello che riguarda l’ampliamento della partecipazione diretta dei cittadini, il quale comporterà l’obbligo di raggiungimento di 150mila firme (attualmente ne servono 50mila) per i disegni di legge di iniziativa popolare e il combinato disposto riforma costituzionale-Italicum che accentra il potere nella mani del governo, di un solo partito e di un solo leader.

Riforma del Titolo V: un passo indietro alla Legge Bassanini

Un referendum che potrebbe modificare la riforma del Titolo V - decentramento di alcune funzioni alle regioni e autonomie locali - depotenziando le Regioni e restituendo un apparato centralista al sistema delle relazioni fra lo Stato e gli enti territoriali.

Cos'è il Titolo V della Costituzione

É quella parte della Costituzione (dall’articolo 114 al 133) che regola le autonomie delle Regioni e degli enti locali. Già revisionato nel 2001, sotto il Governo Amato e approvato in Parlamento, fu sottoposto al referendum confermativo il 7 ottobre 2001. In quell’occasione il 64,20% dei votanti si espresse in favore della riforma, quindi il Titolo V venne revisionato. L’intento della riforma era quello di dare un’impronta federalista di Stato e alle Regioni vennero affidate diverse competenze che fino ad allora erano riservate allo Stato. Una riforma che in caso di vittoria del Sì potrebbe portare a un palese conflitto tra Stato e Regioni in quanto riporterebbe nelle mani statali compiti e funzioni che, con la riforma precedente, erano assegnati agli enti locali e alle Regioni .

Clausola di supremazia

La revisione della riforma costituzionale, determinerà di fatto un aumento delle materie di esclusiva competenza dello Stato: protezione civile, produzione di energia, infrastrutture e grandi reti di trasporto, porti e aeroporti civili, ordinamento delle professioni. Alcuni di questi temi, specie quelli che incidono sulla vita delle realtà locali, possono essere impugnati da Regioni e Comuni. In più viene introdotta la clausola di supremazia che dà il benestare alla legge dello Stato di intervenire in materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni nel caso in cui il Governo ne rilevi l’interesse nazionale.

Nel dettaglio, lo Stato avrà legislazione esclusiva sulle seguenti materie:

  • politica estera;
  • immigrazione;
  • rapporti tra Repubblica e confessioni religiose;
  • sicurezza dello Stato e Forze Armate;
  • sistema tributario e contabile dello Stato e mercati finanziari;
  • organi dello Stato e leggi elettorali;
  • organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
  • ordine pubblico e sicurezza;
  • cittadinanza;
  • giurisdizioni e norme processuali;
  • determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
  • istruzione;
  • previdenza sociale;
  • ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane;
  • protezione dei confini nazionali;
  • pesi, misure e determinazione del tempo;
  • tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
  • professioni;
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
  • infrastrutture.

Alle Regioni, invece, spetta la potestà legislativa in materia di:

  • rappresentanza delle minoranze linguistiche;
  • organizzazione dei servizi sanitari e sociali;
  • promozione dello sviluppo economico locale;
  • promozione del diritto allo studio;
  • valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.

Alla luce di queste premesse votare NO è un obbligo civile e la democrazia è partecipazione

12/11/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Il Fatto Quotidiano

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L'Autore

Sara Rotondi
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