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Film da ricordare del 2020

Penultima classifica del 2020, con i film da non dimenticare, prima di passare alla conclusione, nel prossimo numero, con i migliori film dell’anno. Il link sul titolo rimanda alle più ampie recensioni uscite su questo giornale


Film da ricordare del 2020

Mank di David Fincher, drammatico, Usa 2020, voto 8+; gran bel film su un grande sceneggiatore, coautore con Orson Welles della sceneggiatura di Quarto potere, da diversi critici considerato il miglior film della storia del cinema. Herman J. Mankiewicz è stato per diversi aspetti un artista rivoluzionario, sempre in sostanziale rotta di collisione con la classe dominante statunitense. Il suo capolavoro fu proprio la denuncia del quarto potere, ovvero del controllo dei mezzi di comunicazione che permette alla classe al potere di dominare con il consenso della classe subalterna. Denuncia che, se gli consentì la vittoria del premio oscar, lo fece finire nella lista nera dei produttori cinematografici, che gli impedirono, nonostante le sue eccezionali capacità, di continuare a svolgere il suo lavoro. Il film di Fincher dà un’altra esemplare dimostrazione del potere esercitato sulla società civile grazie al controllo dei principali strumenti di egemonia che, a forza di fake news, di ricatti e facendo leva sugli istinti più bassi del popolo, lo portano a votare per il candidato degli oligarchi, contro il candidato socialista e democratico. Il limite del grande sceneggiatore e anche di questo gran bel film è lo scetticismo, che porta a ritenere vana e controproducente l’organizzazione di una opposizione di massa, ritenendo preferibile una sorta di guerriglia individualista, un po’ donchisciottesca, contro il potere costituito. 

Adults in the Room di Costa-Gavras, drammatico, Francia 2019; voto 8+; film da non perdere per conoscere l’Europa reale in un momento essenziale della sua storia, quando ha dovuto far fronte al crollo dell’economia di un paese membro e al suo governo eletto con un programma di rottura con il pensiero unico neoliberista posto a fondamento dell’Unione Europea. Il film è basato su un significativo libro del ministro delle finanze greco del tempo, che costituisce un'importante testimonianza diretta di come è stata gestita la crisi e le proposte di modifica dei fondamenti liberisti dell’Unione da parte di un governo considerato radicale di sinistra. Il primo aspetto che emerge dal film è che, dinanzi al collasso economico di un paese, colpevole di aver applicato fino a quel momento le politiche neoliberiste di austerità della troika, non solo non vi è nessun gesto di solidarietà da parte dei rappresentati delle autorità europee, ma le uniche preoccupazioni sono, che non venga messo in discussione il pensiero unico liberista, fondamento dell’Unione. In secondo luogo, la principale preoccupazione della quasi totalità dei rappresentanti dell’Ue è di salvare i grandi istituti finanziari, principalmente franco-tedeschi, fra i principali attori della speculazione che hanno provocato il crollo dell'economia greca, a spese delle classi subalterne di questo paese. In terzo luogo è evidente che tutti gli altri paesi non pensano minimamente ad aiutare la nazione che vive una spaventosa crisi economica, sociale e politica, con i nazisti divenuti la terza forza politica del paese, ma anzi si lanciano come falchi per cercare di poter acquisire a prezzi stracciati tutti i beni pubblici del paese da cui si può ricavare profitto. In quarto luogo tutte le proposte del ministro greco di trovare una qualche forma di mediazione – fra le politiche di austerità, di privatizzazioni, di drastica riduzione degli stipendi, delle pensioni, delle spese sociali e le posizioni espresse democraticamente nelle recentissime elezioni dal popolo greco, volte a un radicale cambiamento di tali politiche economiche ultraliberiste – non siano neanche prese in considerazione dalle istituzioni europee. Il film purtroppo sposa, in modo del tutto acritico, l’interpretazione problematica e contraddittoria offerta da Varoufakis, facendone un eroe senza macchia e senza paura, nonostante il palese fallimento della sua prospettiva politica europeista, riformista ed elitaria. Peraltro anche in questo film manca l’indispensabile effetto di straniamento, indispensabile per far ragionare e apprendere lo spettatore, difronte ai tragici eventi cui assiste, attitudine indispensabile a realizzare la necessaria catarsi, senza la quale non ci può essere nessuna reale prospettiva di superamento della misera condizione esistente. Nonostante questi limiti Adults in the Room resta uno dei rarissimi film che affronta delle tematiche così sostanziali e attuali su degli eventi storici decisivi per comprendere buona parte delle cause delle nostre attuali sofferenze. Ciò nonostante, mentre anche i più insulsi film, nel modo più dogmatico e addirittura estremistico allineati al pensiero unico dominante, vengono impunemente distribuiti nel nostro paese, il film di Costa-Gavras, nonostante nel cast sia presente Valeria Golino e benché non si dica nulla di negativo sul nostro paese, non ha trovato neanche un distributore. Una vera e propria vergogna, cui si aggiunge il silenzio o la denigrazione del film da parte della pseudo critica cinematografica.

Il processo ai Chicago 7 di Aaron Sorkin, drammatico, storico, thriller, Usa 2020, disponibile su Netflix, voto: 8; buon film storico sul movimento di lotta antimperialista statunitense alla sbarra per la contestazione al Congresso democratico del 1969. Il film, per quanto formalmente non entusiasmante è indubbiamente significativo per il suo contenuto di decisa critica alle forze reazionarie statunitensi e a sostegno dei movimenti di lotta. Il processo ai 7 di Chicago prende coraggiosamente le parti dei movimenti sociali e contro le istituzioni dello Stato imperialista. Impossibile trovare un film così avanzato in Italia.

Villetta con ospiti di Ivano De Matteo, Italia 2020, voto: 8; film impeccabile dal punto di vista della critica realista ai rappresentanti tipici della classe dominante. Molto significativo perché denuncia il profondo classismo e razzismo dello Stato e della “giustizia” italiana. Tanto più che in una località di provincia ogni esponente della classe dominante conosce le malefatte nascoste dietro il perbenismo dell’altro. Per cui se un solo nodo della catena della classe dominante cedesse, gli ingiusti e irrazionali privilegi classisti sarebbero rimessi in discussione. Così ognuno finisce per giocare la sua parte, nel modo più ipocrita. Un film godibile esteticamente, che lascia molto da riflettere allo spettatore ed è stato boicottato dall’(a)critica cinematografica. L’unico rimprovero che può essere imputato al film, nel suo rigoroso realismo, è la mancanza completa di una reale alternativa dinanzi a una classe dominante così brutalmente attaccata ai propri meschini privilegi classisti. 

Il complotto contro l’America, miniserie televisiva in sei episodi statunitense del 2020, regia di Minkie Spiro e Thomas Schlamme, tratta dall’omonimo romanzo fantapolitico del 2004 di Philip Roth (autore anche del soggetto), resa disponibile il 24 luglio 2020 su Sky Box Sets e in streaming su Now TV e trasmessa il giorno stesso su Sky Atlantic, voto: 8; miniserie intrigante, godibile e che lascia non poco da riflettere allo spettatore, in grado di raccontare una vicenda particolare avvincente sullo sfondo di grandi avvenimenti storici. Questi ultimi sono riattualizzati in modo verosimile, per rendere l’opera d’arte superiore alla semplice narrazione di una vicenda storica, per quanto significativa. Davvero interessante la capacità dello scrittore e soggettista P. Roth di intuire il disastro che stava per travolgere il proprio paese con l’inaspettata vittoria delle presidenziali dell’outsider radicale di destra Donald Trump. Significativo anche come questa tragedia sia vista attraverso una famiglia qualunque e attraverso gli occhi di un bambino, di una minoranza religiosa che diverrà, insieme ai comunisti, la principale vittima del nuovo regime di estrema destra.

Non conosci Papicha di Mounia Meddour Gens, drammatico, Francia 2019, voto: 8; film estremamente efficace di denuncia del fascismo islamico, che costituisce un gravissimo rischio per l’emancipazione della donna in tutti i paesi mussulmani. Nel film si mostra la resistenza di alcune donne algerine al tentativo del fascismo islamista di riportarle alla completa schiavitù domestica. Interessante è anche la caratterizzazione delle resistenti che non appaiono dei supereroi, ma sono delle ragazze che hanno avuto la possibilità di studiare all’università e, perciò, non possono culturalmente accettare l’oscurantismo religioso islamista. Interessante è soprattutto la protagonista, alla cui reale storia è ispirato il film, che è figlia di una donna che si è battuta per la liberazione del suo popolo contro il colonialismo francese. Questo fa sì che la figlia, la protagonista, a differenza della maggioranza dei suoi coetanei – a maggior ragione se istruiti – non miri a fuggire nel mondo occidentale, ma cerchi di battersi e resistere nel suo paese, anche se si trova a vivere i terribili anni Novanta dell’offensiva islamista contro l’Algeria. A complicare le cose vi è l’incapacità del vecchio Fln di rinnovarsi e di riscoprire le proprie origini rivoluzionarie e antimperialiste. D’altra parte con la fine della guerra fredda, gli islamisti possono tacciare di essere filostatunitensi tutti coloro che si oppongono alle loro concezioni ultrareazionarie. Peccato che nel film non emerga per niente come il fascismo islamico sia stato ampliamente foraggiato dall’imperialismo, secondo la logica del nemico del mio nemico che diviene mio amico. Così imperialismo e fascismo islamico si sono, il più delle volte, alleati contro le forze progressiste, sia socialiste che terzomondiste.

The Nightingale di Jennifer Kent, Australia 2018, voto: 8; film di denuncia del completo sterminio della popolazione della Tasmania da parte dei colonialisti britannici. Il film denuncia anche le condizioni di schiavitù cui erano condannati i prigionieri deportati, sempre esponenti delle classi subalterne. Il film mostra la lotta condotta dai nativi e dagli irlandesi, ridotti in uno stato di schiavitù, contro il colonialismo. Significativa la denuncia del razzismo, dell’eurocentrismo e della assoluta incapacità di riconoscere l’altro da parte dei cristiani liberali europei. Il limite principale del film è che la lotta è incarnata essenzialmente da due individui e a tratti, per quando giustificata, si presenta come una forma di vendetta personale. 

Bad Education di Cory Finley, Usa 2019, voto: 8; notevole film di denuncia di un clamoroso caso di corruzione nella gestione dell’istruzione, completamente dominata dall’interesse privato negli Stati uniti. Peraltro questo spaventoso sistema di corruzione è scoperto grazie a una studentessa, figlia di un proletario, che riesce a far emergere gli scheletri negli armadi di una amministrazione che aveva ottimi risultati nelle classifiche stilate nel paese. A ulteriore dimostrazione che solo la lotta paga. Se da tipico film americano, abbiamo un apparente lieto fine, con la polizia che interviene ad arrestare i più apparenti responsabili, nella realtà la punizione del general manager del distretto scolastico, è più apparente che reale. In quanto una limitata pena detentiva viene compensata da una pensione d’oro garantita da un errore contabile. Peraltro i mandanti, del consiglio di amministrazione vengono soltanto sfiorati dall’inchiesta. Infine, grandezza e limite del film è che si basa su una storia vera. Aspetto significativo in quanto mette in evidenza i rischi del modello di istruzione liberale anglosassone. Dall’altra parte rischia di circoscrivere il fenomeno e non si mette realmente in discussione questa sottomissione dei beni pubblici agli interessi privati. Il film è stato premiato come miglior film televisivo. Ciò nonostante, come avviene spesso per i film che contrastano il pensiero unico e la restaurazione liberista, Bad Education non ha trovato un distributore in Italia ed è stato ignorato dalla critica. Fortunatamente è disponibile sul web.

05/03/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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