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I peggiori film del 2021

Classifica, in ordine decrescente, dei film del 2021 da assolutamente evitare, tanto per il basso livello dal punto di vista estetico, quanto per il messaggio conservatore o reazionario che veicolano.


I peggiori film del 2021

Le streghe di Robert Zemeckis, avventura, commedia e family, Usa 2020, voto 4+; prodotto ben confezionato dell’industria culturale che rilancia la caccia alle streghe, basato sull’idea che le streghe vivano in mezzo a noi e potrebbero nascondersi anche nella vicina di casa. Tema della pellicola è che le streghe mirerebbero a eliminare i bambini ed è quantomeno discutibile che un film con un messaggio del genere, peraltro rivolto a un pubblico giovane, venga prodotto proprio negli Stati Uniti d’America apparendo sospettabile di rovescismo storico. Anziché denunciare l’oppressione delle donne e delle persone di sinistra, si vuol dare a intendere che le streghe esistano veramente e siano una minaccia.

Arkansas di Clark Duke, drammatico, thriller, Usa 2020, voto 4; film con pesanti cadute nel postmoderno, è tutto costruito su uno spunto significativo, ossia che la vita dei proletari che lavorano nell’industria del crimine, non solo non ha nulla di eroico, romantico, come vuole darci a intendere l’industria culturale, ma che la loro condizione di sfruttamento e di alienazione sia ancora più disumana di quella vissuta del proletariato.

Nessun nome nei titoli di coda di Simone Amendola, documentario, Italia 2019, voto: 4; documentario ultra postmoderno, con regista e sceneggiatore che rifiutando il loro ruolo di raccontare una storia, come quella dei lavoratori manuali di Cinecittà da un punto di vista universalizzante, si limitano a filmare gli eventi dal punto di vista più distorto, ossia dallo sguardo soggettivo del cameriere. La totalità, la storia, la società e le classe sociali spariscono e restano i ricordi di una persona anziana scarsamente istruita con le sue fissazioni soggettivistiche. C’era materiale sufficiente per realizzare un cortometraggio, con alcune trovate divertenti e personaggi che sembrano i modelli dei migliori film di Verdone, ma inutilmente dilatato in un lungometraggio risulta inutilmente noioso e pesante.

L’occhio di vetro di Duccio Chiarini, documentario, Italia 2020, distribuito da Istituto Luce, voto: 4-; documentario a tratti interessante, in quanto scava nel passato fascista, sempre più o meno occultato, della propria stessa famiglia. Così, da un caso particolare, si ricostruiscono alcune vicende storiche di carattere universale. Peccato che l’intento di approfondire porti il regista a riscoprire la presunta umanità dei sui parenti fascistissimi mai pentiti e a esaltare il cognato che, per quanto partigiano, riesce a nasconderli dalle rappresaglie guidato dall’idea che, al di là delle diverse strade in cui gli avrebbe portati la storia, vi sarebbe fra di loro un legame umano superiore. In tal modo si finisce, in completo accordo con l’ideologia dominante, per riabilitare chi ha sempre convintamente militato nel fascismo.

Lezioni di persiano di Vadim Perelman, drammatico, Russia, Germania 2019, voto: 4-; film del tutto inverosimile, suscita inizialmente l’interesse in quanto basato su una tragica vicenda storica. D’altra parte, nonostante sia stato prodotto in Russia, ripresenta il falso storico per cui i campi di concentramento-sterminio sarebbero stati liberati dagli statunitensi e non dall’Armata rossa.

Easy Living – La vita facile di Orso Miyakawa, Peter Miyakawa, commedia, Italia 2019, voto: 4-; nel film vediamo due esponenti senza arte né parte del ricco e declinante occidente, provare a dare un senso e un po’ di valore al loro esistere, aiutando un immigrato a ricongiungersi con la propria famiglia. Di questi tempi, l’intento buonista sarebbe anche apprezzabile se non desse l’illusione di poter risolvere grossi problemi globali – come la forza-lavoro costretta a vendersi come merce in un mercato sempre più mondializzato – attraverso un tanto sano, quanto ingenuo volontariato.

Fast & Furious 9 – The Fast Saga di Justin Lin, azione, avventura, Usa 2021, distribuito da Universal Pictures, voto: 4-; merce alquanto standardizzata e sostanzialmente anonima dell’industria culturale a stelle e strisce. Film puramente culinario e d’evasione, come di consueto esalta le azioni assolutamente illegali dietro le linee della solita sporca dozzina. La pellicola è priva di aspetti sostanziali e non lascia nulla su cui riflettere lo spettatore, se non il tempo perso inutilmente a vedere questo mediocrissimo blockbuster.

Swallow di Carlo Mirabella-Davis, drammatico, Usa 2019, voto: 4-; film intenso, ma privo di aspetti sostanziali che rischia di rimanere fine a se stesso. Mostra abbastanza bene il precipitare nella nevrosi di una giovane casalinga di estrazione proletaria che ha sposato il figlio del padrone. La mania di ingoiare può essere considerata una metafora di quanto ella deve subire dalla famiglia di ricchi imprenditori del marito. Questo aspetto, l’unico di un certo spessore, finisce con il passare colpevolmente in secondo piano a causa del tentativo di curare la nevrosi con il metodo psicoanalitico che invece di comprendere le presenti contraddizioni e di ricercarne una soluzione in direzione del futuro, pretende di ridurre le turbe psichiche tornando a un trauma vissuto nella prima infanzia e legato all’ambito familiare, tagliando fuori del tutto gli aspetti economici, sociali e ideologici. Così, una contraddizione sociale risolvibile soltanto nel futuro mediante lo spirito di utopia, trova una pseudo soluzione nel passato.

I molti santi del New Jersey di Alan Taylor, drammatico, Usa 2021, distribuzione Warner Bros Italia, voto: 4-; il film, pur toccando anche questioni sostanziali, come la violenza gratuita della polizia verso gli afroamericani e le grandi rivolte nei ghetti, è incentrato sulla solita famiglia mafiosa italo-americana. Riprendendo questo filone, il film non solo non approfondisce l’analisi di tale problematica ancora attuale, ma abusa di tutti i più scontati luoghi comuni, inverosimili e più o meno involontariamente razzisti, sugli italoamericani meridionali.

Hamilton di Thomas Kail, musical, Usa 2020, voto: 3,5; noioso e melenso musical, decisamente rovescista in senso storico e assolutamente intollerabile dal punto di vista musicale. Questo dozzinale prodotto dell’industria culturale, che ha avuto un successo del tutto immeritato in particolare negli Stati Uniti, è intervenuto proprio nel momento in cui il protagonista della pellicola, Alexander Hamilton, stava per essere ridimensionato dal punto di vista della storiografia ufficiale. In tal modo, è tornato a usurpare il ruolo, del tutto immeritato, di eroe nazionale. Il successo di Hamilton è nell’aver incarnato il sedicente sogno americano che, inquadrato dal punto di vista della lotta per l’emancipazione del genere umano, andrebbe piuttosto interpretato come un incubo. Questo avventuriero privo di scrupoli, arrivista e opportunista, si schiera dalla parte della rivoluzione e viene presentato addirittura come un antischiavista. D’altre parte nel momento in cui la rivoluzione è tradita e la schiavitù è solo normalizzata, il sedicente Hamilton non si scompone più di tanto. Dopo aver sposato una donna di rango superiore per favorire la sua ascesa sociale, si lega strettamente a Washington, proprietario di schiavi e fra i leader più moderati della lotta di liberazione nazionale. Conquistata l’indipendenza è in prima fila nel colpo di Stato soft con cui i rappresentanti della classe dominante sabotano la portata democratica della rivoluzione e impongono in gran segreto il passaggio da una confederazione democratica a una federazione liberale e presidenzialista. Il suo potere si deve al forte legame con Washington che gli consente di gestire il tesoro degli Stati Uniti favorendo gli interessi del grande capitale. Si scontra duramente con Jefferson, leader dei democratici, in particolare in quanto vuole mantenere il paese neutrale nella guerra fra Inghilterra e la Francia rivoluzionaria, nonostante l’enorme debito contratto dal suo paese con i francesi per poter vincere la guerra d’indipendenza. Dimessosi Washington, i suoi avversari politici minacciano di rivelare la sua corruzione nell’utilizzo di soldi pubblici per biechi fini personali. Per non essere travolto dallo scandalo, Hamilton rende pubblica la sua versione di questa triste storia, secondo cui avrebbe pagato il marito per avere una relazione extraconiugale con la moglie

The Mandalorian 1x8, serie televisiva statunitense creata da Jon Favreau e prodotta da Lucasfilm. È distribuita sulla piattaforma streaming Disney+ dal 12 novembre 2019, voto: 3,5; Efficace arma di distrazione di massa, merce meramente culinaria dell’industria culturale, al solito funzionale all’egemonia della classe dominante. Come di consueto si tende a naturalizzare, trasponendoli anche nel futuro, i più brutali scenari del far west, qui epicizzati. Il primo episodio della serie è una ripresa decisamente epigonale degli spaghetti western, in particolare di per Un pugno di dollari di Sergio Leone, film a sua volta accusato di plagio rispetto alla pellicola di Kurosawa La sfida del Samurai. Inoltre, come al solito, ci viene presentato un futuro distopico per la totale mancanza di un minimo di spirito dell’utopia e di principio speranza che impedisce anche solo di immaginare un futuro migliore. Questa stereotipata immagine del futuro è nei fatti un’apologia indiretta della società imperialista nella fase della sua putrescenza, che finisce per apparire il migliore dei mondi possibili. Come di consueto, anche in questo caso assistiamo a un bizzarro intreccio di una civiltà ipertecnologica, ma regredita da tutti gli altri punti di vista, e una società precapitalistica collocata fra ancien régime e medioevo. Ciò dimostra, contro l’ideologia dominante neopositivista, che la tecnologia da sola non solo non risolve i problemi dell’umanità, ma che se è male usata da una società oppressiva li può addirittura peggiorare. D’altra parte, non essendoci soluzioni progressive, ma solo assurdamente reazionarie, anche questa concezione è funzionale a fomentare una visione meramente conservatrice dell’esistente o apertamente reazionaria

Free Guy – Eroe per gioco di Shawn Levy, azione, avventura, commedia, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, voto: 3,5. Il solito film di puro intrattenimento della peggiore e più reazionaria impresa monopolistica dell’industria culturale dell’imperialismo statunitense. Si tratta di una merce culinaria di mediocre qualità, che strizza l’occhio con il suo postmoderno citazionismo alla “critica” cinefila.

Anna, miniserie televisiva italiana del 2021, creata da Niccolò Ammaniti. La serie, composta da sei puntate, è basata sull’omonimo romanzo del 2015 di Ammaniti, voto: 3+; Anna e il romanzo da cui è tratta l’omonima serie sono riusciti a prevedere, sotto diversi aspetti, la pandemia che di lì a poco sarebbe esplosa a ulteriore dimostrazione che con una buona preparazione in materia era del tutto prevedibile e riprova di quanto criminosi siano stati la mancanza di prevenzione nei paesi capitalisti occidentali. Interessante anche la raffigurazione di un mondo improvvisamente dominato dall’anarchia che evidenzia la necessità di superare lo Stato dialetticamente e non negarlo e distruggerlo astrattamente, come pretendono gli anarchici, altrimenti si riprecipiterebbe in uno stadio prossimo a quello di natura o a quello che si vive, ad esempio, in Somalia. D’altra parte, l’autore, come tutti gli intellettuali tradizionali (borghesi), non è in grado di immaginare un futuro se non in termini apocalittici. Si tratta della ormai consueta trovata conservatrice, volta a un’apologia indiretta del sistema capitalista, per quanto in crisi e nella sua fase di putrescenza, visto che altrimenti l’unica alternativa sarebbe precipitare in uno stato di natura analogo quello ideato da Hobbes per affermare la sua concezione assolutista. Mai che ci fosse, quantomeno, la possibilità alternativa di superare il capitalismo in un sistema più giusto e razionale. Anzi, non solo il destino a tinte fosche si dà per scontato, ma altrettanto necessaria appare la pandemia, per cui non si potrebbe che contrarre il virus e morire a una certa età. Anche in questo caso si finisce per naturalizzate l’assoluta incapacità del capitalismo occidentale di prevenire, tracciare e mettere in isolamento i contagiati. Infine, come generalmente spesso avviene nei film europei che si vogliono dare un tono autoriale, gli episodi della serie finiscono con l’essere inutilmente pesanti e lunghi, finendo con l’annoiare sempre più lo spettatore, in assenza di qualcosa di sostanziale da narrare oltre i due ricordati spunti iniziali.

The Climb – La salita di Michael Angelo Covino, commedia, Usa 2019, voto: 3+; commedia demenziale senza arte né parte che stenta a far sorridere gli spettatori. Già dal titolo il film sembra pensato come un cortometraggio, anche perché come lungometraggio è davvero privo di contenuti sostanziali e finisce per annoiare e appesantire la prima parte, l’unica relativamente piacevole. Per il resto si tratta di una merce di scadente qualità, di mera evasione e puramente culinaria dell’industria culturale.

Fran Lebowitz: una vita a New York di Martin Scorsese, Usa 2021, serie in sette puntate, voto: 3+; intollerabile serie documentaria di Martin Scorsese che, con un delirio romantico di onnipotenza, ci ammorba lasciando campo libero a una sua amica, che considera geniale e piena di spirito, mentre, almeno al pubblico italiano che vede la serie doppiata su Netflix, appare una persona sostanzialmente priva di qualsiasi qualità. A ciò si mescola il rapporto d’amore del regista con la sua città, altro legame puramente personale, soggettivo, privo di qualsiasi universalità. La serie, sin dalla prima puntata, oltre a essere estremamente noiosa – per chi non condivide con l’autore quel vissuto del tutto particolaristico – sembra avere come unico motivo d’interesse il vano sforzo per lo spettatore italiano di comprendere la ragione per la quale uno dei registi più quotati possa aver trovato così tanto interesse in un personaggio, almeno apparentemente, privo di rilievo.

Eternals di Chloé Zhao, azione, drammatico, fantasy, Usa 2021, distribuzione Walt Disney, voto: 3. Chloé Zhao, dopo aver sfondato l’anno scorso, del tutto immeritatamente, nel genere postmoderno del film d’autore – che prova a darsi un tono pur non avendo niente di significativo da comunicare – sfrutta immediatamente la credibilità conquistatasi presso la “critica” cinefila per vendere al prezzo più alto la sua forza lavoro alla peggiore e più conservatrice multinazionale dell’intrattenimento: la Walt Disney che ha acquisito anche il marchio – che ai nostri giorni reazionario va per la maggiore – dalla Marvel. Ne esce fuori un incrocio davvero indigeribile fra l’attitudine ultra conservatrice della Disney, per cui i devianti sarebbero in quanto tale dei terribili mostri da sterminare, il superomismo infantile per bambini privi di qualità della Marvel e la presunzione postmoderna di fare cinema alla maniera d’autore. In tal modo anche quell’aspetto culinario, che rende piacevoli alcuni film di supereroi, o quella dissacrante ironia che li rende sopportabili viene sacrificata alla disperata volontà della regista di darsi un tono, pur essendosi ridotta a spacciare il più dozzinale oppio per il popolo.

Fino all’ultimo indizio The Little Things di John Lee Hancock, thriller, Usa 2021, voto: 3; film esaltato assurdamente dal quotidiano sedicente comunista “Il manifesto”, sebbene sia un’apologia indiretta degli assassinii delle forze del (dis-)ordine borghese, coperti dal loro monopolio della violenza legale. Il film giustifica la posizione al di sopra della legge degli organi di polizia agli ordini del sovrano, anche nel caso in cui compiano delitti come un assassinio. Si tratta di una tarda ripresa di una concezione ultra assolutista, che anche Hobbes – il massimo teorico dell’assolutismo – avrebbe considerato assolutamente intollerabile.

Freud, serie in 8 puntate, drammatica e thriller, Austria, Germania e Repubblica Ceca 2020, voto: 3; la serie prende alcuni spunti dalla figura di Freud, dalla storia e dalla cultura del tempo e li inserisce all’interno di un giallo-thriller con elementi di noir ed erotici. L’impressione è che si sia messa troppa carne al fuoco e che il personaggio di Freud sia utilizzato in modo alquanto superficiale ed estemporaneo per puntare piuttosto a quegli aspetti culinari volti a fidelizzare gli spettatori alla serie.

Il secondo episodio conferma tutti i dubbi e le critiche rivolte al primo. Oltre a confermare il capitale difetto dei precedenti, per cui lo scienziato Freud diventa il pretesto per narrare storie legate a fenomeni paranormali e alla figura irrazionale di una medium, Il terzo episodio presenta i ribelli ungheresi come delle forze reazionarie, nella loro lotta per l’indipendenza dall’Impero asburgico. Unica nota significativa la denuncia delle tendenze reazionarie, nietzschiane e imbevute di ideologia della guerra diffuse nei circoli di ufficiali e in esponenti delle classi dominanti.

Nel quarto episodio la serie scade del tutto nell’irrazionalismo, un vero e proprio paradosso per un grande scienziato come Freud che ha ricercato la razionalità anche negli ambiti più oscuri dell’animo umano. La serie è una tipica merce culinaria dell’industria culturale europea, peraltro di pessima qualità, che cerca anche con i mezzi più sporchi di conquistarsi la parte del pubblico più arretrata, facendo leva e a appello ai suoi istinti più bassi.

Un lungo viaggio nella notte di Gan Bi, drammatico, Cina 2018, voto: 3; film senza capo né coda, che dimostra ancora una volta come, dal punto di vista culturale, la Repubblica popolare cinese non sia alternativa alle mode decadenti delle società capitalista. Nel film vi è un formalismo esasperato e un completo disinteresse per il contenuto. Finisce, dunque, per portare alle estreme conseguenze la tendenza reazionaria alla distruzione della ragione. Il film mostra anche il completo distacco snobistico di questi intellettuali cinesi da ogni connessione sentimentale con il loro stesso popolo. Si tratta indubbiamente di autori cosmopoliti, che mirano al consenso della critica cinefila internazionale che affolla i festival di cinema.

Space Jam – New Legends di Malcolm D. Lee animazione, avventura, commedia Usa 2021, voto: 3; film pubblicitario e autocelebrativo, incapace di creare nulla di nuovo, ma solo di decostruire e citare in modo postmoderno il proprio universo mediatico.

Charlatan di Agnieszka Holland, drammatico, Repubblica ceca 2020, voto 3-; film assolutamente insostenibile, tipico prodotto dei paesi che hanno rinnegato il socialismo, non a caso candidato fra i migliori film europei e presentato al festival di Berlino, capitale dell’imperialismo europeo. Nonostante le statistiche che mostrano come il tasso di mortalità sia drasticamente diminuito con la transizione al socialismo, per poi subire un’impennata con la rapida restaurazione del capitalismo, si continuano a produrre film esemplari dal punto di vista del rovescismo storico. Nel caso attuale si mostra un esperto di erbe mediche che cura le malattie di chi non si sente soddisfatto della medicina moderna. Al solito si recuperano le vecchie e tradizionali armi ideologiche che già Burke aveva messo a punto contro la rivoluzione, che in nome di un astratto razionalismo, romperebbe con le antiche tradizioni storiche. Charlatan è un film al solito del tutto unilaterale, privo di dialettica, di problematicità, un’opera di pura propaganda. Del resto visto quanto funziona male il modo di produzione capitalistico e la crisi sempre più ampia che travolge i paesi in cui si è affermata la controrivoluzione, non si possono che produrre beceri film a tesi, residuati da tempo scaduti della guerra fredda, per pretendere di “dimostrare” che ogni cosa sarebbe meglio del tentativo di costruire una società socialista.

Il grande passo di Antonio Padovan, commedia, Italia 2019, voto: 3-; film davvero emblematico della assoluta mediocrità di parte preponderante del cinema italiano. Del resto dopo aver avuto come portavoce del presidente del consiglio Rocco Casalino, cosa altro ci si dovrebbe attendere? Nel film il protagonista viene spacciato addirittura come un eroe idealista, animato da spirito dell’utopia, sebbene si tratti di un folle veneto, apologeta dello sbarco sulla luna degli statunitensi, che pretende di ripetere da solo un viaggio ormai del tutto privo di senso. Peraltro sacrifica ogni rapporto umano a questo sogno insensato, con l’assurda presunzione di fare tutto da solo, in modo assolutamente antieconomico e irrazionale, dal momento che tutti dovrebbero conoscere l’importanza decisiva della divisione del lavoro e, più in generale, del lavoro sociale. Inoltre questo assurdo personaggio dovrebbe essere nell’intenzione degli autori un “modello alternativo” da contrapporre ai veneti tutti presi dal mito della produttività. Verrebbe da dire che se questa è l’alternativa, persino i padroncini veneti potrebbero rimanere per sempre al governo.

Venom – La furia di Carnage di Andy Serkis, azione, fantascienza, Usa 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 3-; quinto film fra i campioni d’incassi in Italia, è il solito polpettone della Marvel decisamente deplorevole sotto praticamente tutti i punti di vista. Davvero un’impresa riuscire a vederlo fino alla fine.

WandaVision 1x9, serie comica statunitense di supereroi; voto 2,5; l’autoironia sembra – a ragione – l’unico strumento per far sopravvivere a loro stessi i noiosissimi superuomini al centro della serie. Anche l’ambientazione negli anni cinquanta, di cui la serie offre la parodia, è certamente piacevole. D’altra parte, emerge tutta la natura conservatrice e a tratti reazionaria di questo genere di commedia, dove tutte le contraddizioni, a partire da quelle di classe, di razza e di genere tendono miracolosamente a sparire, trasmettendo un’immagine del tutto inverosimile e fondamentalmente truffaldina degli Stati Uniti degli anni cinquanta, in piena caccia alle streghe.

Nei successivi episodi la realtà si rivela ben peggiore delle apparenze dei primi episodi. Del resto questa sitcom ultra conformista, banale e puramente culinaria – in cui però non si manca di sottolineare l’asservimento degli impiegati al padrone, che ha su di loro un potere assolutistico, e la precarietà dell’impiego che rende la forza lavoro (naturalmente non organizzata e combattiva) in totale balia del padronato – non sarebbe altro che il mondo “perfetto” in cui la protagonista, dotata di poteri magici illimitati, ha deciso di far rivivere il proprio rapporto con il marito deceduto. La completa assenza di qualsiasi grande ambizione, l’assoluta mancanza di spirito dell’utopia e persino di un briciolo di principio speranza, non possono che produrre quel mondo incantato che la più tossica delle industrie culturali statunitensi – la Disney-Marvel – è in grado di spacciare.

A rendere tali aberrazioni ancora capaci di egemonia concorre l’ottima capacità di creare mezzi di distrazione di massa particolarmente godibili per masse completamente alienate, reificate e private anche di un briciolo di coscienza sociale. Peraltro la società statunitense, involontariamente presentata in tutta la sua brutale banalità, può avere una qualche attrattiva solo dando a intendere che l’unica reale alternativa a essa, cioè una società che ha tentato l’assalto al cielo con la transizione al socialismo, avrebbe dato vita a un mondo spaventoso e assolutamente invivibile.

Del resto, il paradiso conformista al quale la coppia di supereroi fa di tutto per conformarsi, è in realtà per tutti gli altri un universo ultra totalitario. Anche se tale universo concentrazionario viene comunque giustificato dal fatto che Vanda l’avrebbe costruito per amore e per non essere in grado di rielaborare la morte del marito. Infine, ciliegina sulla torta, la serie finisce con il riabilitare persino la caccia alle streghe, mostrando come a Salem, dove vi fu l’ultimo tragico atto di questa barbara pratica, vi sarebbero state realmente delle streghe e anzi, queste ultime, sarebbero presenti anche al giorno d’oggi.

We Are Who We Are è una miniserie televisiva italo-statunitense co-creata e diretta da Luca Guadagnino per HBO e Sky Atlantic in 8 episodi, voto: 2,5. Si tratta di una serie insostenibile, paurosamente appesantita dall’ideologia dominante continentale: il postmodernismo. È davvero impressionante comprendere quanto viviamo all’interno del fascismo quotidiano, se una serie ambientata nella base Nato in Veneto (centro di tutti gli intrighi della strategia della tensione) possa affrontare la presenza di tale nucleo eversivo e base di partenza delle aggressioni imperialiste ai popoli del sud del mondo – senza contare la presenza di armi nucleari – in modo del tutto acritico, con la coperture ideologica dell’unico quotidiano italiano sedicente “comunista”, che ha il coraggio di spacciare questo mediocrissimo prodotto dell’industria culturale come se fosse un autentico capolavoro artistico.

Wonder Woman 1984 di Patty Jenkins, azione, avventura e fantasy, Usa 2020, voto: 2,5; tossico prodotto della più potente e deleteria branca dell’industria culturale volta, al solito, a presentare la trista putrescenza della società imperialista come il migliore dei mondi possibili. Al punto che la ricerca del piacere, della felicità, lo stesso desiderio e, tanto più la speranza in un mondo migliore sono spacciati come i reali problemi della società contemporanea e sarebbero anche i motivi dei crolli degli imperi precedenti. Bisognerebbe, quindi, rinunciare a qualsiasi desiderio e continuare semplicemente a vivere per fare il proprio dovere di produttore. Così, il problema fondamentale della società capitalista, ovvero il fatto che impedisce a ogni uomo di essere felice, viene, in un’ottica rovescista, presentato come il suo aspetto migliore. Secondo il noto apologo liberista le cose andrebbero bene se ognuno fosse lasciato libero di seguire semplicemente i propri interessi e ogni tentativo di razionalizzare e migliorare le cose non potrebbe che essere distopico. Non resta, dunque, che affidarsi ai supereroi, alias ai superuomini, preposti alla salvaguardia dello Stato di cose esistenti, che, paradossalmente, non immaginano mai di utilizzare i propri super poteri per realizzare un mondo migliore, ma solo in difesa della esistente miseria. Perciò, anche loro devono dare il buon esempio, rinunciando in prima persona ai desideri e alla felicità, per poter dedicare compiutamente la propria vita, sacrificandola, alla salvaguardia dell’ordine costituito. Anche perché ogni alternativa non potrebbe che essere peggiorativa. Siamo, dunque, alla consueta apologia indiretta dell’irrazionale, ingiusto e inefficace “ordine” esistente.

Quello che i social non dicono – The Cleaners di Hans Block e Moritz Riesewick, documentario Germania, Brasile e Italia 2018, voto: 2+; documentario su una tematica sostanziale, che avrebbe potuto essere non solo molto interessante, ma al contempo anche molto istruttivo. Peccato che è stato realizzato nel peggiore dei modi, al punto che le enormi responsabilità delle multinazionali che controllano e censurano buona parte dell’informazione e molto più spesso della disinformazione a livello mondiale scompare quasi completamente. A tratti sembra commissionato proprio dai Social, tanto appare indirettamente apologetico. Sembra evidente che chi ha realizzato il documentario non solo è decisamente incompetente, ma non ha nessuna bussola per distinguere il bene dal male in ciò che viene censurato. Inoltre, non vi è nessuna denuncia dello sfruttamento dei lavoratori del terzo mondo, che anzi sembrano fieri di essere sfruttati dalle multinazionali. 

Hunted di Paronnaud, Belgio, Francia, Irlanda 2020, thriller, voto: 2; come accade, purtroppo, sempre più spesso in troppi film europei c’è un qualcosa di malsano. Nel caso in questione abbiamo un film del tutto gratuito, con un uso assolutamente spregiudicato della violenza, sostanzialmente fine a se stessa e con una trama del tutto inverosimile e priva di qualsiasi contenuto sostanziale. Il film è una mera merce di mediocrissima qualità dell’industria culturale, un’opera puramente di evasione, in fin dei conti alienante. Hunted non solo non è in nessun modo un bel film, ma non è nemmeno piacevole come un prodotto puramente culinario dell’industria culturale statunitense. Infine, l’unico messaggio che Hunted media è del tutto irrazionale, ideologico e reazionario. In effetti, la tesi esplicita del film è che mentre gli uomini sarebbero, non di rado, cattivi, la natura non umana sarebbe buona e pronta a venire in aiuto delle donne, martirizzate dagli uomini. Per cui l’unica reale via di uscita e presunta catarsi del film sarebbe il ritorno della donna – per fuggire il mondo degli uomini violento e cattivo – a uno stadio primigenio e puramente bestiale, senza alcuna traccia della civiltà umana. Si tratta, dunque, di una soluzione non solo impraticabile, ma decisamente distopica.

Red Dot di Alain Darborg, thriller, drammatico, Svezia 2021, distribuito su Netflix, voto: 2; film pieno di violenza e crudeltà del tutto gratuite, se non fossero sfruttate per meglio confezionare un prodotto di pura evasione dell’industria culturale. Le capacità non secondarie impiegate a produrlo sono del tutto sprecate. A ulteriore dimostrazione che, dal punto di vista ideologico, spesso i prodotti dell’industria culturale dell’imperialismo europeo riescono più tossici di quelli dell’imperialismo statunitense.

Black Widow di Cate Shortland, azione, avventura, fantascienza, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, voto: 1,5; il solito intollerabile film di supereroi, merce puramente culinaria e d’evasione dell’industria culturale, con l’aggravante della russofobia e dell’anticomunismo. Per cui Cuba e Russia, anche dopo la dissoluzione dell’Urss, sarebbero dei sistemi totalitari in grado di mettere in discussione le “libertà” occidentali. Siamo al puro rovescismo storico, per cui i due paesi sempre più accerchiati e presi d’assedio dalle potenze imperialiste occidentali, costituirebbero un reale pericolo per i sistemi liberali in questi ultimi dominanti.

Fellini degli spiriti di Selma Dell’Olio, documentario, Italia 2020, voto 1; documentario indecente, senza capo né coda, che cerca di portare avanti interpretazioni ultra forzate e irrazionaliste dell’opera di Federico Fellini senza nessun fondamento reale, anzi letture che sono smentite dalle testimonianze riportate dello stesso regista. Di quest’ultimo si tendono a portare fino alle più estreme conseguenze gli aspetti più irrazionalisti e reazionari. Peraltro ci si concentra, in modo del tutto assurdo, sul Fellini uomo e non sulla sua certo discutibile, ma indubbiamente molto significativa opera cinematografica. Come se potesse essere oggetto di un interesse universale Fellini come individuo singolo e non le opere d’arte di valore universale che ha prodotto.

Io sono nessuno di Ilya Naishuller, azione, thriller, Usa 2021, voto: 0,5; il film è utile soltanto a capire quanto può essere stupido, oltre che naturalmente criminale, quello che sta sempre più diventando il fascismo quotidiano statunitense. Protagonista del film è un epigono di Rambo, nel ruolo di killer al servizio di tutti gli apparati repressivi dello Stato che – oltre a massacrare, tutto sommato, gratuitamente un numero incredibile di russi, tornati a essere rappresentanti dell’impero del male – ha come unica aspirazione la miserrima vita del piccolo borghese.

Me contro te – Il mistero della scuola incantata di Gianluca Leuzzi, commedia, Italia 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 0; film campione d’incassi dell’anno in Italia, primo fra gli italiani, sesto a livello globale, è un’opera, sotto tutti i punti di vista, davvero insostenibile. Può essere utile subirsi i primi minuti per rendersi conto dello spaventoso livello in cui una parte consistente del nostro paese sta precipitando (il “film” ha incassato oltre cinque milioni) insieme al modo di produzione capitalistico. Inquietante è, inoltre, che un “film” tanto scadente abbia avuto un enorme successo fra le più giovani generazioni e che i genitori non si siano opposti o non siano riusciti a contrapporsi a un tale scempio e a un simile attentato alla buona educazione dei loro figli.

14/01/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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