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La mostra di Toulouse-Lautrec a Roma

Il lato oscuro della Belle Époque in mostra al museo dell'Ara Pacis.


La mostra di Toulouse-Lautrec a Roma

Nonostante sia l’ennesima mostra senza carattere in una capitale anche culturalmente allo sbando, la possibilità di confrontarsi con l’opera grafica di Toulouse-Lautrec non va mancata. Al di là della significativa esperienza estetica, l’opera di Toulouse fa emergere il lato oscuro della Belle époque, di cui l’inflazionata arte impressionista ci mostra sempre unilateralmente l’aspetto luminoso.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

All’interno dell’avveniristico nuovo complesso museale dell'Ara Pacis, opera del grande architetto Richard Meier, è possibile, fino all’8 di maggio, ammirare circa 170 opere provenienti dal Museo delle Belle Arti di Budapest. Si tratta della più significativa raccolta di opere grafiche, essenzialmente litografie, di Henri de Toulouse-Lautrec.  La possibilità di ammirare a Roma una sezione significativa di questa eccezionale raccolta è certamente un’occasione da non perdere, anche perché Budapest non è una delle tappe più battute dal turismo italiano. D’altra parte siamo di fronte all’ennesima mostra “copia e incolla”, affittata in blocco da un unico fornitore estero, che implica l’incapacità di un settore sempre più falcidiato da privatizzazioni, tagli e nepotismo, di offrire un autonomo contribuito alla formazione del gusto dei cittadini della capitale di uno dei Paesi del G7.

Allo stesso modo, sebbene nella produzione di questo eccezionale artista francese le opere grafiche occupino un posto di rilievo, l’assoluta assenza di opere pittoriche non può che lasciare con l’amaro in bocca l’incauto visitatore. E questa è l’amara sorpresa dopo aver subito un vero e proprio furto alla cassa e dopo aver dovuto fare una lunga coda a causa della presenza (nei giorni festivi!) di due sole addette del personale, una delle quali sostanzialmente inoperante, in quanto occupata  unicamente nella vendita di gadget. Aggiungiamo a ciò la consueta insolente inefficienza del ceto medio incattivito dalla sua progressiva proletarizzazione, cui si aggiunge la logica perversa della privatizzazione per cui un cittadino all’interno di un luogo pubblico, dopo aver pagato un oneroso balzello, non può neppure scattare una foto senza flash a opere grafiche. Senza contare che l’edificio di Meier non è stato assolutamente progettato per ospitare mostre. Gli ambienti sono stati ricavati “alla romana” all’interno di una galleria chiusa alla luce naturale, progettata per ospitare i servizi di accoglienza, con la duplice funzione di introdurre la visita al monumento e di "schermare" l'Ara da meridione.  

Il senso di disagio e di oppressione diviene subito percepibile nell’atrio, spazio in cui è proiettato il video introduttivo. Un locale, neanche a dirlo, assolutamente inadatto, in quanto luogo di passaggio all’inizio dell’esposizione lungo e stretto, con una sola panca dove sedersi. Per altro, come di consueto nelle mostre romane, il video non è un prodotto dei curatori della mostra, ma è una generica e del tutto asettica breve introduzione alla figura del pittore realizzata da Sky arte. I locali privi di qualsiasi luce naturale, spesso angusti, con un tetto molto basso e opprimente, un’illuminazione troppo forte e poco funzionale, privi di qualsiasi forma di areazione producono inevitabilmente un senso di nausea nel visitatore, che fisicamente non può che ambire a uscire il prima possibile da questi spazi insani e opprimenti. 

Detto questo, il numero delle opere esposte e la loro illustrazione è soddisfacente e, pur non essendoci nessun capolavoro assoluto, abbiamo certamente quasi tutte opere di una discreta qualità che coprono gli anni del breve fiorire di questo grande pittore tra il 1891 e il 1900. Le opere ci offrono un eccezionale quadro realistico e critico della grande e terribile Parigi bohémien di fine Ottocento. In questo ambiente di eccezione, vero e proprio centro in quest’epoca delle arti visive a livello internazionale, luogo affasciante e generalmente acriticamente celebrato, Toulouse vive gli ultimi tragici anni della sua vita.  

Toulouse, pur essendo un nobiluomo di provincia, conduce una vita da bohémien: realizza prodotti d’arte d’avanguardia, assolutamente controcorrente rispetto al gusto impressionista dominante, passa il proprio tempo fra i caffè concerto, in cui cerca costantemente rifugio nell’alcol, e nei bordelli dove trova le proprie migliori modelle e confidenti. Toulouse è esponente di una classe sociale ormai ridotta al residuo di una fastosa vita passata. Anche fisicamente ne incarna la lacerante decadenza, essendo gravemente menomato in quanto nato da un matrimonio fra consanguinei, prodotto dell’insano classismo della vecchia aristocrazia. A completare questo drammatico quadro bisogna considerare la vita sentimentale estremamente tormentata dell’artista, fatta di rapporti brevi e tumultuosi e di relazioni occasionali che lo portano ben presto a contrarre la sifilide che lo tormenta ulteriormente.

Proprio perciò, pur immergendosi fino all’oblio di sé nel mondo bohémien parigino, pur vivendo nel ventre di Parigi, Toulouse la rappresenta sempre attraverso un eccellente effetto di straniamento. La vive da dentro, ma allo stesso tempo è in grado di osservarla da fuori, in modo spietatamente realistico, caustico, sempre profondamente critico. Da questo punto di vista si colloca agli antipodi degli impressionisti che rappresentano con la loro opera lo spirito dominante dell’epoca. Il suo sguardo resta quello critico di uno “straniero”, costantemente incuriosito, ma al contempo guardingo, impaurito e scettico verso un mondo che lo attrae e al contempo lo respinge. Questo fa sì che la sua arte sia assolutamente non riconciliata con il mondo che rappresenta e a cui, comunque, appartiene. Perciò la sua è una grande opera realista, critica e soffertamente autocritica, di uno spirito tanto acuto quanto disincantato.

Da questo punto di vista la sua opera può essere considerata il pendant nelle arti visive del grande realismo letterario di un Balzac, di cui condivide il forte spirito critico, tagliente e spietato dell’aristocratico portato a cogliere sempre l’aspetto oscuro della belle époque, l’essere per la morte che si nasconde dietro le forme luccicanti della borghesia triumphans. Della nuova classe dominante, dopo la repressione nel sangue della Comune di Parigi e il definitivo affossamento dell’ancien régime, Toulouse è in grado di cogliere tutti quei limiti, di cui non si avverte lo sguardo, tutto sommato superficiale e acritico, dell’impressionista, il quale si ferma a riprodurre l’effetto sul proprio animo delle forme fenomeniche dell’esistente.  

Tanto più che Toulouse non cerca di evitare, di sottrarsi alle contraddizioni di una società che sta per precipitare, al di là della fede nel progresso del positivismo, nella drammatica crisi di fine secolo e da lì nella prima spaventosa guerra mondiale, apice di quell’età dell’imperialismo che rappresenta il volto oscuro della Belle époque. Proprio perciò si rifiuta categoricamente di trovare rifugio nella natura, nell’esotico, nel primitivo, nel mistico come pure fanno diversi altri artisti dell’epoca.

Riprendendo l’impietosa e profonda attitudine critica della commedia aristofanesca, facendo proprio lo sguardo tagliente, sarcastico, irreconciliabilmente critico di Daumier, Toulouse ci consegna una magnifica rappresentazione realistica e tipica tanto della classe dominante, la borghesia, quanto del sottoproletariato urbano, quella moderna plebe che rappresenta l’altra faccia della ricchezza delle nazioni, secondo il celebre paradosso enunciato dal padre nobile del liberismo, Adam Smith, per cui il grande sviluppo dei mezzi di produzione nella società borghese si realizza mediante la creazione di masse crescenti di poveri ed esclusi.  

Socialmente e ideologicamente, però, Toulouse è certamente più affine a Balzac che a Daumier. Non a caso nella sua opera è totalmente assente il proletariato urbano, ossia il povero rispettabile, e in tal modo la sua opera, al contrario di quella del grande Daumier, è totalmente priva di prospettiva. È un’arte assolutamente priva di speranze in un mondo migliore, di fondo nel suo assoluto scetticismo non crede neppure che questo mondo sia possibile. Nel suo limitato orizzonte di nobiluomo di provincia non pare esserci vita al di là del mondo tanto brillante quanto corrotto della belle époque.  

Da qui deriva anche il maggiore limite della sua arte che lo rende decisamente più inoffensivo e facilmente recuperabile dalla classe dominante, rispetto al realismo di Balzac. Quest’ultimo, proprio perché accesamente reazionario, ha un profondo interesse per il mondo storico e politico che appare quasi del tutto assente nell’opera del qualunquista scettico Toulouse. Tanto che Toulouse può porre la propria arte al servizio sia degli antisemiti, pronti a cavalcare a fini reazionari l’affaire Dreyfus, sia dei progressisti, che si pongono a difesa della repubblica, impegnandosi per un superamento in senso democratico della crisi di fine secolo, in quanto li considera da un punto di vista apolitico privo di prospettiva storica . Certo, la mancanza di illusioni, il non dare credito, ma il considerare scetticamente tanto i sogni realisti dei reazionari, quanto gli astratti ideali democratici dei repubblicani, entrambi prigionieri di un passato che mitizzano in modo acritico, rende così interessante e attuale ancora oggi l’opera di Toulouse. D’altra parte il suo scetticismo assoluto, per quanto progressivo come quello antico, visto che colpisce gli aspetti transeunti e non sostanziale dell’esistente, lascia del tutto disarmato lo spettatore. 

In tal modo si rischia di naturalizzare la stessa crisi della società capitalista e con essa il progressivo riprecipitare della società in una nuova epoca di barbarie, quasi che si trattasse di un destino tanto spaventoso quanto tutto sommato necessario, inevitabile. Da questo punto di vista Toulouse è certamente più affine al pessimismo passivo di Schopenhauer piuttosto che a quello attivo di Nietzsche. 

La stessa catarsi, che offre la sua profonda e critica mimesi della realtà, non offre una reale liberazione al pubblico. Certo, l’artista può cogliere tutti i limiti della società in cui vive, ne comprende meglio l’aspetto strutturale e necessario della sua crisi e decadenza, ma la mancanza di prospettiva storica frustra lo stesso principio speranza, la possibilità di un reale superamento. Da questo punto di vista, nel suo pessimismo cosmico, Toulouse finisce per essere ancora più radicale e conseguente, il che non è necessariamente un bene, di uno Schopenhauer o di un Leopardi. Il pittore non ha, infatti, nessuna fiducia né nelle soluzioni regressive, improntate all’estinzione della stessa volontà di vivere del grande pensatore tedesco, né nella soluzione progressiva, nel senso della solidarietà che rinasce dalla volontà, nonostante tutto, di vivere del grande poeta di Recanati.

12/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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