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Recensioni di classe 23

Quali film e serie Tv vedere e quali evitare? Brevi e taglienti recensioni di classe alle serie Succession e The Morning Show e ai film They Shall Not Grow Old – Per Sempre Giovani, Pieces of a Woman e Io sono nessuno, da poco reperibili sul web.


Recensioni di classe 23

Succession 1X10 è una serie drammatica televisiva statunitense ideata da Jesse Armstrong, in Italia è stata trasmessa su Sky Atlantic dal 30 ottobre 2018. La serie ha ottenuto 3 candidature e vinto 2 Golden Globes, 4 candidature e vinto un premio ai Emmy Awards, 4 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, 4 candidature e vinto 2 Writers Guild Awards, 2 candidature e vinto un premio ai Directors Guild, ha vinto un premio ai Producers Guild, 1 candidatura a Bafta Tv Award, la serie è stato premiato a Afi Awards, voto: 7. Succession è incentrata su una famiglia di grandi imprenditori, con il padre che la ha fondata e ha tutti i difetti del tipico self made man. I figli hanno tutti i difetti tipici dei discendenti dei “grandi” imprenditori e ciò non può non rendere estremamente complicata la necessaria successione. Anche perché il mondo degli affari è popolato oltre che da figli di papà, di fatto inetti, anche da self made man che si comportano come veri e propri squali, dal momento che sembra essere l’unico modo per sopravvivere in un mondo del genere. Il tutto è rappresentato in maniera decisamente realistica e, quindi, anche necessariamente molto critica. Purtroppo non si analizza molto su come è avvenuta l’accumulazione primitiva, né dei danni alla società prodotti dalle grandi imprese, in particolare che si occupano di informazione e intrattenimento. 

Nel terzo episodio emerge, come spesso accade, che in realtà la grande azienda è, segretamente, pesantemente indebitata con una grande banca, anche perché il settore tradizionale dei media soffre molto lo sviluppo di internet. Se resta realistica la denuncia dell’incapacità dei figli degli squali d’impresa a divenire a loro volta squali, in quanto anche in questo caso ci vuole un’arte e una tecnica, lascia un po’ perplessi il fatto che non riescano a trovare qualche professionista che li aiuti. Inoltre, se la denuncia di tutta la miseria del mondo della grande impresa è sicuramente importante e significativa, non essendoci un solo personaggio positivo, tutto finisce con l’apparire necessario, quasi naturale, tanto che si finisce per rischiare di cadere in un’apologia indiretta della società imperialista.

Il quarto episodio resta intenso e appassionante e alquanto realistico. Emerge sempre più evidentemente l’aver preso a modello il grandissimo primo romanzo di Thomas Mann: I Buddenbrook. D’altra parte la grandezza della vecchia generazione, rispetto alla successiva, è così evidente che, non essendoci un solo personaggio che apra una prospettiva diversa, si finisce per mitizzare la vecchia guardia degli imprenditori dinanzi alla già avanzata fase di putrefazione della seconda generazione. D’altra parte, almeno sullo sfondo, appare un altro aspetto celato dell’accumulazione originaria, ovvero l’aver nascosto tutta una serie di delitti avvenuti durante le crociere organizzate dall’impresa di famiglia. 

Il quinto episodio resta nell’elevato standard di tutti i precedenti con un’analisi impeccabile psicologica, politica e sociale del gruppo dirigente di una grandissima azienda. L’analisi decisamente realista mette in luce tutte le contraddizioni, ambiguità e ipocrisie di chi guida il capitalismo internazionale. A questi livelli anche chi vuole fare l’alternativo mette comunque in primo piano la lotta al comunismo. D’altra parte la caratterizzazione unilateralmente negativa di quasi tutti i personaggi, alle lunghe rischia di annoiare e di apparire anche unilaterale, in mancanza completa di una prospettiva di sviluppo e di un pur minimo spirito d’utopia e di principio speranza.

Nel sesto e settimo episodio si approfondisce il conflitto in famiglia e anche la crudele logica del nudo profitto che travolge ogni legame familiare tradizionale. Inoltre, anche se in modo molto indiretto, emerge come naturalmente l’impero mediatico sia orientato in senso decisamente conservatore se non addirittura reazionario. Tanto che il politicante, al momento più orientato a sinistra, vede in questo grande monopolio il peggior nemico da sconfiggere. Resta al solito il problema che anche l’antagonista di “sinistra” è presentato non come un idealista, ma come un politicante sostanzialmente senza scrupoli. Anche l’opposizione dal basso al grande monopolista, che per alcuni aspetti ricorda Murdoch, sembra essere velleitaria e, di fatto, anarco-individualista. Dunque, al solito, gli intellettuali statunitensi sembrano molto più coraggiosi nel denunciare gli aspetti decisamente negativi della loro classe dirigente e dominante, molto di più degli omologhi europei, ma appaiono del tutto incapaci persino di immaginare un’alternativa reale. Anche perché dal punto di vista storico, internazionale e dei fondamenti, ossia il considerare il comunismo come l’impero del male, sono del tutto succubi dell’ideologia dominante.

Nell’ottavo episodio assistiamo sempre più alla decomposizione del tradizionale capitalismo familiare, dal momento che la sfera etica della famiglia deve completamente sottoporsi all’individualismo atomistico della società civile. Per quanto efficace possa essere la rappresentazione sardonica della “grande” famiglia capitalista, che viene adeguatamente paragonata a Hitler, tanto che nessuna brava persona vorrebbe avere a che fare con essa, resta il fatto che più giù si scende nella scala sociale e più i personaggi “poveri” della famiglia allargata sono rappresentati in modo comico. Vi è, dunque, un aspetto di brescianesimo in questa rappresentazione in cui i vertici sono protagonisti di una tragedia e più si scende nella piramide sociale e più si passa a toni da commedia.

Nel nono episodio si assiste al compromesso storico fra il grande capitalista e il candidato della sinistra che, resisi conto che lo scontro reciproco li indebolisce, scendono a più miti consigli, aprendo così a un ricambio della classe dirigente che non tocchi i rapporti di proprietà e la classe dominante. Anche qui un’ennesima lezione di crudo realismo, ma che cancella la possibilità stessa che un altro mondo sia possibile. Alla fine se tutti sono eguali e ognuno segue solo le proprie piccole ambizioni non può che prevalere il più forte.

L’ultimo episodio non riserva particolari sorprese, se non la scelta molto discutibile di nascondere con una foglia di fico puritana questa scellerata lotta all’interno della famiglia-azienda per la successione. Si scopre, del tutto gratuitamente, che i tre figli in maggiore rottura con il padre-padrone sono in realtà tutti adottati, il che, secondo questa logica ipocrita, potrebbe spiegare le altrimenti inaccettabili conflittualità fra consanguinei. Per il resto la serie segue fino alla fine la sua concezione di fondo, mostrando come il mondo dei potenti sia cinicamente del tutto insensibile alla stessa vita dei subalterni, sebbene i suoi esponenti siano anche direttamente implicati nelle terribili disgrazie dei sottoposti. D’altra parte anche i subalterni sembrano seguire la stessa legge della giungla dell’homo homini lupus. A sottolineare ancora una volta che viviamo in una valle di lacrime, dove pare quasi naturale cercare di fare le scarpe al proprio prossimo.

The Morning Show 1x10 è una serie televisiva statunitense prodotta per il servizio streaming Apple TV+ e distribuita dal 1° novembre 2019, voto: 7; come di consueto la serie parte al massimo con l’episodio pilota ponendo al centro, in modo realistico, il mondo dei mezzi di comunicazione intrecciando, inoltre, altre tematiche sostanziali come la violenza sessuale sulle donne e molto più marginalmente la discriminazione degli afroamericani. Se la serie, come avviene spesso, è molto realistica nell’inquadrare i tipi psicologici dei luoghi di potere – nel caso specifico i grandi mezzi di evasione di massa – è molto più carente e reticente nell’offrire uno sguardo e a una rappresentazione realistica di come i mass media stravolgono la realtà e istupidiscono i subalterni.

Il secondo e, soprattutto, il terzo episodio rappresentano una decisa caduta di stile. Le questioni sostanziali restano molto sullo sfondo, mentre tende sempre più a prevalere il confronto-scontro fra le due protagoniste, per realizzare il quale la serie perde in interesse, in realismo e, persino, in verosimiglianza (continua in Recensioni di classe 24).

They Shall Not Grow Old – Per Sempre Giovani di Peter Jackson, documentario, Usa 2018, voto: 6; documentario sulla Prima guerra mondiale, molto curato dal punto di vista formale, anche se tanto il colorare le immagini di repertorio in bianco e nero risulta un enorme lavoro sostanzialmente fine a se stesso, quanto il montaggio delle testimonianze è decisamente discutibile sia dal punto di vista strutturale che contenutistico. Innanzitutto è assolutamente intollerabile il vezzo postmoderno di presentare dei documenti senza analizzarli e interpretarli, secondo il pregiudizio per cui l’interpretazione invece di arricchire il mero documento lo tradisce e ne impone didatticamente una lettura. In tal modo apparentemente non si spiega nulla – lasciando del tutto abbandonato a se stesso lo spettatore, cui si dà a credere di avere dinanzi documenti oggettivi o, addirittura, la cosa stessa – mentre in realtà si tratta di una necessaria selezione del tutto soggettivistica e decisamente rovescista della realtà storica. Innanzitutto non si specifica da chi provengono le testimonianze che commentano le immagini, non si distingue minimamente a livello economico, politico, sociale e di classe i diversi testimoni. Per cui ogni testimonianza sembra riferita all’uomo qualunque che si ritrova in prima linea. Al contrario, le testimonianze sono radicalmente selezionate per far passare un’immagine sostanzialmente apologetica della prima guerra imperialista mondiale, di cui si cancellano tanto le cause quanto gli effetti. Cosa ancora più grave, questa selezione improntata alla peggiore Kriegsideologie (esaltazione ideologica della guerra), non è opera di un autore convintamente e consapevolmente della destra radicale. In tal caso, per quanto si tratterebbe della peggiore scelta, ci si sarebbe assunti quanto meno la sua responsabilità. Al contrario, si tratta proprio di quella totale mancanza di pensiero critico, non a caso individuato come base del totalitarismo, che porta ad aderire autonomamente, naturalmente, all’ideologia dominante, come si trattasse dell’unica possibile interpretazione del mondo.

Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó, drammatico, Netflix, Canada 2020, voto: 4-; film noiosissimo, di cui non si capisce davvero la ragione di essere. Di un naturalismo esasperato, di fondo post-moderno per la quasi totale assenza di questione sostanziali e di reali motivi di interesse, quantomeno, Pieces of a Woman non essendo di produzione europea, mantiene il decisivo elemento catartico tipico del cinema nordamericano in cui è stato prodotto. Mantiene però, al contempo, il tipico snobismo del cinema europeo fatto da intellettuali tradizionali cinefili per intellettuali tradizionali cinefili e cosmopoliti, incapace di stabilire una qualche forma di connessione sentimentale con il popolo.

Io sono nessuno di Ilya Naishuller, azione, thriller, Usa 2021, voto: 0,5; il film è utile soltanto a capire quanto può essere stupido, oltre che naturalmente criminale, quello che sta sempre più diventando il fascismo quotidiano statunitense. Con un epigono di Rambo, nel ruolo di killer al servizio (segreto) di tutti gli apparati repressivi dello Stato, che oltre a massacrare, tutto sommato gratuitamente, un numero incredibile di russi – tornati a essere l’impero del male – ha come unica altra aspirazione la miserrima vita del piccolo borghese.

22/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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