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Tre film per conservare la memoria e impedire nuovi genocidi

Tre significativi film denunciano la banalità del male su cui si fondano i regimi totalitari.


Tre film per conservare la memoria e impedire nuovi genocidi

Tre significativi film, passati quasi per sbaglio nelle sale italiane, denunciano la banalità del male su cui si fondano i regimi totalitari. Dalle loro origini nell’età del colonialismo e dell’imperialismo, al loro apogeo nei regimi nazi-fascisti. L’impunità dei quali, difesa con ogni mezzo dalle liberal-democrazie in nome della lotta al comunismo è il fondamento del loro attuale ritorno.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

Molto significativo sin dal titolo è il film Lo Stato contro Fritz Bauer (valutazione: 8-), in quanto emerge con chiarezza come questo procuratore generale abbia dovuto lottare con le unghie e con i denti contro il suo stesso Stato, la Repubblica Federale Tedesca, avamposto delle liberal-democrazie durante la guerra fredda, per tentare di far processare i criminali nazisti responsabili dello spaventoso genocidio degli ebrei. Tale Stato, messo su in fretta e furia dagli Stati Uniti – violando tutti gli accordi di pace con l’Unione Sovietica che prevedevano una Germania unita denazificata e demilitarizzata – resta dominato dalla stessa alta borghesia che aveva consentito l’ascesa al potere di Hitler e aveva sfruttato il suo dominio terroristico e il suo progetto neo-schiavistico per fare ultra-profitti. Così le grandi imprese, a partire dalla Mercedes-Benz non solo continuano a impiegare in patria criminali nazisti, particolarmente adeguati allo sfruttamento della forza-lavoro, ma impiegano all’estero i principali responsabili del genocidio degli ebrei, a partire da Adolf Eichmann.

Quest’ultimo vive tranquillamente in Argentina, sotto la protezione di Peron che si serve per il suo governo populista di gerarchi nazisti. Eichmann è stato tenente colonnello delle SS e organizzatore della soluzione finale, ovvero fra i più diretti responsabili della morte di milioni di ebrei. Intervistato da un giornale della destra fascista argentina, Eichmann si duole unicamente di non esser riuscito a portare a termine il suo progetto genocida, che mirava a sterminare tutti gli ebrei europei. Ciò nonostante gli apparati di sicurezza della Germania occidentale, con il pieno sostegno degli Stati Uniti, fanno di tutto per impedire al procuratore tedesco, ebreo internato in un campo di concentramento, di assicurare alla giustizia un tale aberrante criminale.

Se Eichmann fosse arrestato e processato in Germania, infatti, emergerebbero inevitabilmente le pesantissime complicità nello stesso genocidio degli ebrei, di alcune delle più importanti cariche della Repubblica Federale Tedesca, che si è ampiamente servita del personale nazista o filonazista per ricostruire una classe dirigente funzionale alla lotta contro il comunismo e alla continuazione dello sfruttamento del lavoro salariato.

Valga per tutti l’esempio di Hans Josef Maria Globke che, nonostante fosse stato “nel 1935 tra gli autori delle leggi razziali”, “riuscì, grazie anche all'appoggio della Cia a passare indenne ai processi contro i collaboratori del regime Nazista”. “Globke operò in qualità di Direttore della Cancelleria della Repubblica Federale di Germania tra il 1953 ed il 1963 divenendo uno dei più stretti collaboratori del cancelliere Konrad Adenauer”. Operando “all’ombra del Cancelliere, Globke tirava le fila costituendo il pilastro di questa ‘démocrazia del cancelliere’. (…) Egli era ‘il segretario generale occulto della CDU’ ”, il partito democristiano tedesco, principale forza di governo. Anche dopo le dimissioni di Adenauer, riceverà dal “presidente Heinrich Lübke la croce d’onore”, fra le massime onorificenze della Repubblica Federale e “avrà un ruolo importante nell’individuare in Ludwig Erhard il successore del cancelliere” (Ibidem).

Del resto, nonostante Globke avesse dato un essenziale contributo alla formulazione “della legge che nel 1933 diede a Adolf Hitler i poteri dittatoriali” e nonostante fosse definito ancora nel “1938 dal ministero degli interni del Reich Wilhelm Frick come ‘il più capace ed efficiente membro del mio ministero’ nella redazione delle leggi antisemite”, la sua richiesta di iscrizione al “partito nazista fu rigettata per la sua passata militanza nel Partito del Centro, che rappresentava gli elettori fedeli alla chiesa cattolica romana nella Repubblica di Weimar” (Ibidem). Tanto più che “il cancelliere tedesco Konrad Adenauer era contrario alla denazificazione e garantì l'amnistia a molte persone implicate nell'olocausto. La denazificazione a quell'epoca era osteggiata da gran parte della popolazione tedesca e con la creazione della Germania Ovest nel 1949 Adenauer considerò una delle sue priorità farla terminare. Insieme ad altri partiti tedeschi stabilì una serie di leggi di amnistia per invertire il processo di denazificazione, nominò capo del suo staff Hans Globke, un ufficiale nazista che aveva commentato le leggi razziste di Norimberga e fece pressione per il rilascio dei criminali di guerra. Al 31 gennaio 1951 l'amnistia copriva oltre 792.176 persone. […] Nel 1958 solo una piccola parte degli imputati di Norimberga erano ancora in prigione”.

Così quando Fritz Bauer provò a far incriminare i responsabili del genocidio si trovò contro lo Stato campione della liberal-democrazia e fra i principali fondatori della Comunità economica europea, che non esitò a utilizzare contro di lui e il suo principale collaboratore l’articolo 175 del codice penale, inasprito proprio dai nazionalsocialisti, per perseguitare l’omosessualità. Così Bauer per far arrestare Eichmann dovrà ricorrere al Mossad, compiendo un reato di “alto tradimento” verso il suo Stato, peraltro penando non poco per convincere i servizi segreti dello Stato ebraico, interessati a “difendere i vivi e non i morti” e, dunque, interessati principalmente “a combattere gli arabi”. Così interverranno quando il procuratore a sue spese e a suo rischio e pericolo sarà stato in grado di fornirgli prove schiacciante della presenza di Eichmann in Argentina. Infine, nonostante la promessa di farlo giudicare nella Repubblica Federale Tedesca, Israele per assicurarsi il sostegno militare della RFT nel suo conflitto con gli arabi e per non infastidire gli Stati Uniti, preoccupati per la tenuta del governo democristiano tedesco, lo farà processare in Israele. Così, come mostrato in il Labirinto del silenzio (cfr. http://www.lacittafutura.it/culture/cinema/cinque-film-per-non-dimenticare-la-shoah.html) a Bauer non resterà che penare non poco per far processare quantomeno gli esecutori materiali dello sterminio perpetrato ad Auschwitz.

Ecco perché lo scenario presentato dal tragicomico film Lui è tornato di David Wnendt (valutazione 8-) appare purtroppo realistico. Nel film assistiamo all’improvviso ritorno nella attuale Germania di Adolf Hitler. Inizialmente il film sembra decisamente assurdo e irrealistico. Tanto più che lo stesso Hitler appare del tutto spaesato nel ritrovarsi in un mondo che gli appare in un primo momento “totalmente altro” dal proprio. Nella prima parte del film lo spettatore è portato addirittura a provare pena per questo spaventoso criminale, dal momento che è privo di ogni mezzo e inizialmente non è preso sul serio da nessuno, tanto da venir considerato e trattato come un pazzo barbone.

In realtà via via che il film prosegue e il redivivo Führer, superato lo sconcerto iniziale, prova contro tutto e contro tutti a riconquistare la sua passata influenza, ci si rende conto di come tale inquietante scenario non sia affatto irrealistico. Sono innanzitutto le spaventose contraddizioni dell’attuale società liberal-democratica a rendere la sua impresa niente affatto donchisciottesca come poteva apparire inizialmente. Al contrario, nonostante la sua spaventosa ignoranza e l’attitudine apolitica e qualunquista l’uomo comune tedesco, ma certamente anche italiano, è pienamente consapevole che la “democrazia borghese” sia una farsa, alla quale solo i democratici piccolo borghesi possono credere. Una farsa che nasconde in realtà uno spietato regime oligarchico, che prolifera proprio sulla rovina della società e sulla totale subordinazione della stragrande maggioranza della popolazione. Al punto che proprio la parte più debole e meno consapevole della “gente” comune, a cui il redivivo demagogo si rivolge, finisce per considerare preferibile dare il proprio consenso, più o meno passivo, alla riproposizione di quei “fenomeni morbosi più svariati” di cui parlava Gramsci a proposito del primo avvento dei fascismi.

Tanto più che gli attuali campioni della liberal-democrazia, gli Usa, come ben mostra il documentario del cileno Patricio Guzmán La memoria dell’acqua (valutazione 7,5), sono sempre ben disposti a favorire la riaffermazione della belva nazi-fascista, non appena i profitti del grande capitale sono messi in discussione da forze di sinistra. In questo intenso e tragico documentario – che lascia molto da pensare allo spettatore, cui offre al contempo una significativa esperienza estetica, all’insegna essenzialmente del sublime – il regista cerca disperatamente di fare i conti con lo spaventoso massacro perpetuato sotto la regia di Henry Kissinger, che proprio in quel fatidico 1973 aveva ricevuto il premio Nobel per la pace. La classe dominante e dirigente del suo paese fa di tutto perché ciò non avvenga, dal momento che tale spaventoso massacro è stato funzionale alla piena realizzazione di quel modello sociale neoliberista che proprio grazie al colpo di Stato di Pinochet è stato per la prima volta imposto e che non solo è ancora in vigore in Cile, ma è divenuto la base dell’attuale pensiero dominante a livello internazionale, al punto che molti parlano addirittura di pensiero unico.

Il regista è principalmente interessato a mostrare la continuità di tale regime totalitario, con il suo corollario di spaventose violenze imposte agli oppositori veri o presunti, con la sua origine storica, a ragione individuata ne Le origini del totalitarismo – della celebre pensatrice liberale Hannah Arendt, devota allieva del nazista Heidegger – nell’età dell’imperialismo. In entrambi i casi il regista documenta la spaventosa crudeltà perpetrata ai danni di uomini inermi da parte di individui accecati dalla sete di profitto, spesso devoti cattolici, totalmente prigionieri della banalità del male, principale portato del totalitarismo tanto colonialista che nazi-fascista.

Ecco così individui, al soldo degli imprenditori di fine diciannovesimo secolo, pronti a vendere testicoli e seni di inermi nativi per una sterlina, o orecchi di bambino per mezza. In tal modo si è realizzato uno dei tanti spaventosi genocidi commessi nel silenzio e nel disinteresse generale dai gloriosi esponenti della superiore civiltà cristiana europea, che nella sola Patagonia hanno ridotto i pacifici nativi che abitavano tali terre da diecimila anni a una ventina di individui, generalmente molto anziani, ancora in grado di avere memoria della loro antica cultura. Una cultura che non era stata ancora in grado di elaborare la rappresentazione di una divinità e, perciò non è stata in grado di comprendere la spaventosa crudeltà di cui si sono dimostrati capaci i rappresentanti della religione disvelata. Non si può non rimanere basiti dinanzi alle parole di una dei pochissimi sopravvissuti a questo spaventoso genocidio osservare che parole come dio e polizia non erano state elaborate dai nativi perché non ne avevano avvertito il bisogno, mentre tali parole sono considerate sacre e il fondamento stesso della civiltà da chi si è macchiato di questi spaventosi genocidi, di cui ancora oggi fa fatica non dico a pentirsi, ma nemmeno a ricordarsi.

13/05/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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