Indorare la pillola

Note sulla riforma del reclutamento degli insegnanti.


Indorare la pillola Credits: unipa.it

Per indicare il reperimento del personale della scuola si utilizza il termine “reclutamento”. C’è la percezione che gli insegnanti siano un “corpo”, come i militari o vigili del fuoco, una categoria votata alla difesa di qualcosa o qualcuno. Se c’è qualcosa da difendere oggi nella scuola italiana, è l’idea e la pratica di scuola stessa. Scuola libera da interessi particolari di carattere economico, culturale, politico e aperta al dibattito presente nella società. In pratica uno spazio aperto al confronto, dove gli insegnanti operano in qualità di liberi professionisti dell’educazione. Ciò non significa trasformare gli insegnanti – nella mentalità e nella prassi - in avvocati o medici privati, ma rilanciare la scuola pubblica e le sue istituzioni collegiali e, in particolar modo, tutelare la libertà di insegnamento. Non da ultimo, riconoscere un aumento stipendiale che avvicini i salari dei docenti italiani a quelli dei loro colleghi europei.

Queste considerazioni generali, che ricalcano l’idea di scuola che ha la maggioranza dei cittadini, contrastano con le trasformazioni portate dalle riforme degli ultimi anni.

Relativamente al “reclutamento” degli insegnanti della scuola secondaria, il governo ha previsto modalità nuove, in parte inedite, dopo anni di “corsi abilitanti” dalle abbreviazioni tristi quali il Tfa e il Pas. In pratica, dopo l’esperienza delle SSIS affossate dalla Gelmini, vengono istituiti dei corsi che certificano l’abilitazione all’insegnamento nelle discipline curriculari (matematica, inglese, ecc.) e nel sostegno. Ciò ha portato le università a “vendere” corsi e titoli abilitanti che hanno sostanzialmente garantito l’accesso all’insegnamento coi contratti a tempo determinato e l’accesso alle prove concorsuali per l’entrata in ruolo.

Con la riforma attuale, viene istituito un periodo di formazione di ben tre anni al termine del quale si dovrebbe aver accesso immediato al ruolo. Il percorso è aperto a coloro che hanno raggiunto la laurea specialistica (5 anni) e che hanno superato le prove concorsuali, una di carattere attitudinale e sulle discipline psico-pedagogiche, una sul proprio ambito disciplinare e una prova orale. Chi supera le prove, viene ammesso al triennio di formazione che non ha – finalmente! – nessun costo per lo specializzando ma, al contrario, prevede l’erogazione di un salario di formazione.

Detto così, sembra che stavolta il governo di centro-sinistra (!) abbia fatto qualcosa di sinistra. Un corso di formazione che da diretto accesso al posto fisso e dove lo specializzando percepisce un salario. Ma le questioni che si aprono sono un po’ più complesse perché subentrano… fattori umani.

In primo luogo, un percorso formativo “totalizzante” di tre anni è sostenibile solo se si hanno le risorse economiche necessarie a vivere, studiare e prestare servizio a scuola per tre anni. In sintesi, se il salario per l’insegnante in formazione non è equivalente a quello – assai modesto - degli altri colleghi possiamo serenamente etichettarlo come sussidio di povertà. Se venissero confermate le cifre che sono state sparate in questi giorni (400 euro mensili!) è bene sapere che il percorso di formazione per gli insegnanti è uno sbarramento classista che esclude categoricamente i laureati che hanno le priorità tipiche di chi necessita di un reddito per vivere. Quindi, “o la borsa, o la vita” con annessi sogni e aspirazioni.

Negli ultimi anni, l’emorragia di iscritti alle facoltà universitarie è stato uno dei più gravi elementi di impoverimento del paese futuro che ha escluso soprattutto i giovani delle classi popolari. L’elevato costo delle tasse, l’assurdo costo di appartamenti, stanze e posti letto nelle città universitarie, unito alla scarsa spendibilità dei titoli accademici nel mercato del lavoro - che garantisce precarietà e salari da fame - hanno portato centinaia di migliaia di giovani a inchiodarsi al diploma di scuola superiore. Ne consegue una perdita colossale di capitale umano, creatività, vitale socialità nelle città e il tangibile abbassamento della capacità critica delle giovani generazioni.

Senza l’equivalenza salariale fra insegnanti in formazione e di ruolo, si apre a una nuova forma contrattuale che potrebbe trainare al ribasso le condizioni di lavoro di tutta la categoria. Inoltre, l’esclusione dei dottori provenienti dalle classi popolari priverebbe la scuola di una parte di personale più sensibile per biografia alle questioni economico-sociali, non solo sotto il profilo teorico.

Il percorso di formazione si delinea come un percorso articolato su un primo anno di formazione più teorica che pratica al termine del quale lo specializzando sostiene un esame, un secondo anno più incentrato sulle attività di tirocinio in classe e un terzo anno che si delinea come l’anno di prova. Al termine di quest’ultimo, arriva l’assunzione a tempo indeterminato.

Al termine del percorso formativo non viene riconosciuto alcun titolo abilitante. Perché? Il timore è che nella scuola governata dai presidi attraverso la chiamata diretta, un’eventuale perdita del posto porti, di fatto, alla perdita del titolo all’insegnamento. E, di conseguenza, all’esclusione dalla scuola. Queste sono considerazioni effettuate più sulla base delle prospettive portate dalla classe dirigente che sulla legislazione vigente.

L’idea di rendere il sistema scolastico italiano pubblico-privato attraverso il sostegno alle scuole paritarie con lo school-bonus e la prospettiva di trasformare le scuole in fondazioni, l’assunzione di tutto il personale sugli ambiti territoriali e lo spauracchio dei trasferimenti gestiti dai dirigenti, l’entrata dei privati nella gestione degli istituti col conseguente accrescimento della presenza di interessi che renderanno le scuole dei contenitori di figli e figliastri, dove gli insegnanti sono tenuti ad operare non solo negli ambiti della didattica, dell’educazione, della socialità e dell’affettività ma, come avviene già con l’alternanza scuola-lavoro, devono sobbarcarsi nuove responsabilità organizzative, relazionali, gestionali, valutative. E soprattutto, devono condividere – o almeno non ostacolare – il nuovo progetto di scuola, quale incubatrice delle future risorse umane delle imprese e, comunque, dei futuri consumatori. Naturalmente, chi ostacola questo progetto pagherà con peggiori riconoscimenti nel lavoro (la mancata attribuzione del bonus economico dal dirigente) e eventuali misure peggiorative (cambiamenti di mansioni e luogo di lavoro) e, eventualmente, con la perdita del posto. Che senza un titolo abilitante diverrebbe una sostanziale esclusione dal mondo della scuola.

08/04/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Diego Chiaraluce

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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