Ogni futuro nasce bambino - parte II

Un commento al decreto delegato n 65/2015 sul sistema integrato 0/6.


Ogni futuro nasce bambino - parte II Credits: http://www.medicinalive.com/costume/societa/posto-pericoloso-bambini-scuola/

Segue da parte I

Vengo ora a quelli che considero i punti decisivi, le parole per dirlo, utilizzate con maggior numero di occorrenze nel testo del decreto:

1.continuità, 2.cura, 3.servizio.

  1. Ciò che è continuo nella vita umana è la ripetizione del bisogno degli altri, in termini di amore, accettazione, salvaguardia reciproca. Come ricordava recentemente la filosofa Judith Butler a proposito della proteste nelle piazze, si tratta della salvaguardia cooperativa, sociale, della vita: mangiare, bere, ripararsi. Dividere il pane, sostanzialmente, garantire alle creature piccole un’adultità responsabile. Tutto il resto - o meglio lo sfondo di tutto questo lavorio per la vita – è fatto di scarti, rientri, ritorni, avanzamenti, regressioni. Così si impara, così si fa apprendistato allo stare al mondo. Il continuo nella vita evolutiva di un cucciolo di uomo, e nel prosieguo del vivere adulto, è questo: l’errore, il tentare ricondotto al suo significato etimologico di toccare per provare, la riuscita, per altro sempre parziale, un nuovo inizio. Da sempre ogni gruppo umano, ogni etnia, ogni cultura ha previsto riti di passaggio, rituali, regole e variazioni per accompagnare ciò che sta fra un momento e l’altro del lungo apprendimento che noi siamo. Allora, si prova un moto di sconcerto per questo voler rendere piano, continuo il percorso dell’età evolutiva, e della vita, questo omologare, appiattire, portare a forzata unificazione lo spazio-temporale occupato dalle fasi della vita di una creatura. Uno slogan – nel caso di cui parliamo - che serve a coprire le responsabilità legate a una sconsiderata visione della crescita in cui ciascuno dovrebbe cogliere le famose pari opportunità e farne quel che può, da solo. La responsabilità, qui entro nel merito delle politiche scolastiche, di percorsi segnati da progetti, programmi, gestioni, carriere tanto difformi da risultare inconciliabili: quante volte un bambino cambia scuola, insegnante, riferimenti adulti? Quante volte la sorte e le circostanze lo obbligano a distacchi violenti, non elaborati, viziati dall’incuria? Di quale tormentone sulla continuità ci vuol parlare questo decreto?

  2. The cure, the care. Due parole inglesi per due universi semantici che si incrociano mantenendo la loro carica significante indipendente. Il terapeutico volto al farsi carico del corpo malato e la responsabilità della pre-occupazione, in cui le esigenze del corpo, anche le più umili, le primarie, diventano occasione di relazione, un modo per stabilire legami che fanno da perno alla vita affettiva e cognitiva. La mano, e la parola, il gesto e la voce, come sa ogni madre, come sanno ora i padri avveduti, che avvertono il rischio di rimanere ai margini di quella sorprendente esperienza che è la prima infanzia. Se il bambino, per effetto della lunga neotenia umana, è in posizione di “dis-aiuto”, questo stato, in perenne cambiamento, lo riguarda come corpo-mente. La Madre, la Nutrice, l’Adulto, “aiuta” la creatura piccola attivando forme di relazione volte alla sua progressiva autonomia. In questo senso, se si privilegia la relazione, che è stare in corrispondenza anche conflittuale (una sorta di “affezione”), la capacità di governare le esigenze fisiche è strettamente collegata ai progressi linguistici e cognitivi. Dunque si tratta di distinguere un curare attento solo al bisogno immediato, non mediato, da quello che sa armonizzare la totalità della richiesta infantile. La cura in tale armonizzazione è parte della cultura femminile, un differire di carattere culturale che può essere valorizzato senza la dannosa ghettizzazione in una sorta di ontologica propensione alla cura, come destino materno. Destino che anche l’insegnante, l’educatore (più spesso l’educatrice) si dice debbano imparare a mimare, a imitare. Per contro, nella unicità della relazione fra soggetti, la differenza di luoghi, di contesti, di rapporti, sono un arricchimento. La scuola (in senso ampio: un ambiente di apprendimento intenzionale e di/in gruppo) e la struttura famigliare rappresentano contesti non mimetici ma sicuramente dialoganti. Come recitano gli Orientamenti della Scuola dell’Infanzia, curare, educare, istruire sono da ricomprendere nel quadro della formazione della creatura piccola. Certamente i tre predicati lavorano da 0 a 6 anni, ma con accenti differenti, tipici di una periodizzazione dell’età evolutiva che prevede, nel processo, passaggi, salti, regressioni, come ho detto. Nella formazione della soggettività, l’aggettivo “evolutivo” rinvia al nesso fra Lingua, Pensiero, interiorizzazione della Legge (come fatto etico-culturale). Il soggetto, cambia, si modifica, dunque apprende, nella inestricabile rete dei fatti affettivi, linguistici, cognitivi, relazionali. La Lingua nutre il pensiero e se ne nutre, il “parlante” non è tale, neanche nel dialogo interiore, se non si misura con la presenza attiva dell’Altro da sé. La socializzazione non è una formula astratta, non è una strategia educativa o funzionale all’istruzione, all’apprendimento, ma è una forma di vita, nella quale ciascuno soggetto è iscritto fin dalla nascita.

  3. La nozione di servizio, veramente maltrattata dal decreto, ovviamente anche a causa dell’incultura del legislatore e, per contro, della sagacia dei suoi suggeritori che tutto hanno da guadagnare dall’ignoranza e dalla disaffezione al proprio ufficio da parte dei nostri parlamentari e ministri, andrebbe analizzata meglio e più compiutamente di come posso fare in questo commento. Ricordo solo alcuni punti di capitone a partire dalla sua definizione giuridica: 1. erogazione autoritativa, in cui chi eroga e chi riceve è obbligato a prestare e a fruire (ad esempio l’obbligatorietà della frequenza scolastica); 2. prestazione non autoritativa, senza obblighi se non per esigenza di migliorare la qualità della vita associata (ad esempio l’apertura e la gestione di un museo). Nelle concrete faccende del nostro quotidiano, la nozione si esplica con forme a carattere misto, fra soggettività e oggettività (ad esempio i servizi alla salute). Nel decreto il servizio risulta compromesso, e non solo misto, a causa dell’ambiguità di fondo proprio fra ciò che serve alla crescita sociale complessiva e quel che è frutto di un “domandare” dal lato del singolo portatore di interesse. Del resto le raccomandazioni europee su questo tema mostrano sia un’ambivalenza, sia il vertere lungo la china di una definizione preferenziale, che lascia al margine ciò che è pubblico, statale, garantito, equo. Dal 2000 al 2003 i documenti europei puntano sulla discrezionalità, più che sul controllo della erogazione, sulla imprenditorialità e sulla concorrenza fra soggetti erogatori, nel richiamato “interesse economico generale” (sic). Il pubblico diviene “il” pubblico, la platea dei consumatori, la loro soddisfazione compatibile con costi e guadagni, produzione di valore aggiunto per il soggetto erogatore. Sappiamo com’è finita per altri settori.

Conclusioni provvisorie. Misuriamo in questo testo il delicato passaggio culturale e politico fra parità di opportunità e di diritti esigibili come soggettivi, dunque inalienabili. L’opportuno sembra ormai entrato nell’area di senso dell’individualistico più che del soggettivo giuridico, come posizione da guadagnare con la capacità di cogliere l’occasione offerta in maniera amorfa, apparentemente anonima, dal contesto di vita. In questo decreto questo nodo si palesa in un ossimoro, in una chiara ambiguità: ti lascio intendere che sto proponendo il meglio mentre ti offro solo lo scarto regressivo di quella che poteva essere una stagione di conquiste sociali, se non rivoluzionarie rispetto agli assetti capitalistici, almeno democratiche.

“Investire nei primissimi anni di vita risulta un’operazione con rendimenti economici elevati e una scelta che riduce in prospettiva i costi di politiche volte a limitare i danni che insorgono in fasi successive dello sviluppo.” Così recita la pagina del sito de La Compagnia di San Paolo. Da tre secoli l’opera pia si muove con straordinaria destrezza fra carità e capitalismo, oggi finanziario. Non c’è una solo parola sprecata nella frase citata, esempio di un mirabile passaggio di linguaggio secolarizzato, ma con la barra del senso puntata a una giustizia distributiva di marca religiosa.

24/06/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.medicinalive.com/costume/societa/posto-pericoloso-bambini-scuola/

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L'Autore

Renata Puleo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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