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Brecht e i lavoratori della testa

Brecht, polemizzando con gli intellettuali tradizionali e con quelli organici alla classe dominante borghese, insiste nel sottolineare come il mondo del pensiero non possa che essere espressione del mondo storico e sociale


Brecht e i lavoratori della testa Credits: https://www.exlibris20.it/lattualita-di-brecht/

Link al video della lezione su temi analoghi tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

Sui lavoratori della testa

1) A proposito dei differenti modi del filosofare [1]

“Mantenersi in equilibrio, adeguarsi senza rinunciare a se stessi; questo può essere uno scopo del filosofare” (6). Si tratta di una filosofia di vita per Bertolt Brecht che, soprattutto dopo la conquista del potere da parte del nazionalsocialismo, ma anche in forma diversa prima negli Usa e poi in DDR, in piena guerra fredda, ha dovuto sempre trovare un nuovo complicato e precario equilibrio fra la necessità di adattarsi al nuovo contesto storico in cui è costretto nel primo caso, si vede obbligato nel secondo, sceglie nel terzo di operare adeguandosi, senza perciò dover rinunciare alla propria visione del mondo radicalmente rivoluzionaria. Se non si è in grado di piegarsi, senza spezzarsi in tali complessi contesti diviene complicato resistere al vento, favorevole o contrario. “L’acqua si mantiene quieta in modo tale da poter rispecchiare compiutamente il cielo, le nuvole, i rami sporgenti e anche gli stormi d’uccelli in movimento” (6), anche in tal caso abbiamo un rovesciamento dei contrari, ossia l’artista che deve mantenere tutto il proprio sangue freddo per poter rispecchiare nel modo migliore nella propria opera il mondo, in movimento, che lo circonda. Del resto, l’autocoscienza senza questo mantenersi nell'uguaglianza con se stessa, l’Io penso senza rapportarsi a sé non potrebbero conoscere i costantemente mutevoli contenuti dell’esperienza, né potrebbe dargli la necessaria forma, determinandone l’altrimenti inarrestabile divenire.

“Una trottola si mantiene in moto rotatorio, affinché possa librarsi in modo uniforme e al contempo mescolare i propri colori in modo incantevole”; anche in questo caso Brecht mette in reciproca relazione i contrari che l’intelletto tende a mantenere fissi nella loro separazione. Allo specchio d’acqua che deve mantenersi immobile, per meglio rispecchiare il mondo in movimento che rispecchia, ecco ora l’assonanza con il suo apparente opposto, ovvero la trottola che deve roteare costantemente su se stessa, per poter, in maniera uniforme, librarsi in modo da mescolare nel modo migliore i proprio colori. “Allo stesso modo un uomo può cercare la propria posizione dalla quale rispecchiare il mondo, in esso fare mostra di sé e trovare con esso un accordo” (6). Dunque l’opera dell’autocoscienza in generale e dell’artista nello specifico non è solo quello di rimanere imperturbabile, per non modificare con la propria soggettività l’esigenza di far emergere la cosa stessa, nella sua processualità, ma deve mettersi in moto per porre in luce tutte le proprie qualità soggettive.
Allo stesso modo autocoscienza e artista devono prendere una posizione, ovvero schierarsi da una parte, da cui restituire la realtà nella sua razionalità, in essa rispecchiarsi e attraverso essa emergere, in modo tale da raggiungere un accordo dialettico fra la funzione della soggettività e il ruolo della cosa stessa. Brecht si domanda ancora: “quanto chiaramente si rispecchia la nuvola nell’acqua”, ossia quanto in modo perspicuo la cosa stessa si riflette nell’autocoscienza e, più nello specifico nell’opera dell’artista? E continua a interrogarsi sul “quando” è in grado “di restituire” la cosa stessa, la realtà storica e sociale, “nel modo più chiaro?”

Allo stesso modo non può non domandarsi “da dove vengono i rami” ovvero i contenuti del mondo storico e sociale che nell’opera d’arte prendono forma, “dal momento che in quest’ultima non sono presenti le sue origini” (6). Non basta, quindi, riprodurre in modo fedele un mondo storico e sociale, ma bisogna al contempo, per renderlo perspicuo, comprenderlo nel suo divenire dialettico. Come interagiscono nel tentativo dell’artista di prendere posizione al fine di rispecchiare il proprio mondo storico e sociale “il vento che pone in movimento dall’alto l’acqua e il fango che la smuove da sotto?” (6). A ulteriore testimonianza che la metafora utilizzata dal marxismo ortodosso del rispecchiamento non è sbagliata, ma perché sia veramente efficace, va problematizzata, resa più complessa e posta in relazione con il proprio opposto, ovvero il ruolo attivo e creatore della soggettività (anche poetica). In effetti il rispecchiamento artistico e conoscitivo non può che risentire delle sovrastrutture che influenzano il modo di comprendere e rapportarsi alla realtà della soggettività (il vento che muove dall’alto le acque) e dell’influenza delle strutture economiche, dei rapporti di produzione, del conflitto sociale e anche degli aspetti psicologici, compreso l’inconscio individuale e collettivo (il fango che smuove l’acqua da sotto). Per altro, da quanto osservato sinora “sorgono delle questioni.

Dove trova spazio la trottola, quando ne trova il massimo? Qual è la velocità migliore? Quanto corrono le altre trottole? Queste sono certamente questioni filosofiche” (6). Come emerge chiaramente la concezione della filosofia di Brecht è del tutto anti metafisica, è completamente immanente alle problematiche concrete che l’intellettuale e, più in generale, la coscienza umana affronta. Fuor di metafora Brecht si domanda quando la soggettività trova maggior spazio nel processo conoscitivo e nella prassi. Quanto pesano i suoi aspetti attivi, produttivi e creativi nella conoscenza e nella trasformazione della realtà. Quanto tale capacità di determinare soggettivamente la cosa stessa, dal punto di vista teoretico e pratico, cambia da individuo a individuo e da lavoratore della testa a lavoratore della testa.

Per altro, come sottolinea Brecht subito dopo, anche “esaminare le filosofie può essere un modo di filosofare” (6). Brecht insiste sempre giustamente nella sua polemica contro il produttivismo dell’ideologia dominante che tende a ritenere importante la novità e l’innovazione in quanto tale, senza considerare quanto sia altrettanto necessario il ripensare e reinterpretare le grandi concezioni del mondo del passato. Egualmente importante è, sempre secondo l’attitudine anti intellettualistica di Brecht, esaminare “cosa pensavano (o davano da pensare) le persone quando costruivano le città, quando promuovevano coalizioni sociali, quando fondavano officine, equipaggiavano navi, coltivavano o vendevano riso, conducevano guerre dentro o fuori le mura” (6). Dunque, da una parte Brecht fa sua la concezione storicista della filosofia, per la quale la riflessione filosofica consiste nel comprendere le azioni degli uomini che hanno contribuito a produrre l’epoca storica in cui si vive. D’altra parte Brecht rovescia materialisticamente la concezione idealista della storia di Hegel, secondo la quale a fare la storia sono i grandi uomini politici e militari, ponendo al centro i rapporti sociali. Da qui la critica alla concezione dominante della filosofia che non si occupa di questioni economiche e sociali. In tal modo la filosofia rischia di divenire ideologia in quanto perde contatto con il modo di pensare dei protagonisti dello sviluppo e del conflitto sociale. Questo astrarre dalla realtà è, per altro, una caratteristica del pensiero. In altri termini Brecht ci tiene a sottolineare il necessario legame fra teoria e prassi, proprio in quanto il puro pensiero teoretico tende inevitabilmente ad astrarre dalle problematiche della realtà, in particolare dalle questioni economiche e sociali.

2) A proposito del mondo delle idee

“Taluni pensieri d’indole ordinatrice, che stabiliscono ordine fra i pensieri, si possono efficacemente paragonare nel loro modo di fare a dei funzionari. Originariamente posti al servizio dell’insieme sociale, essi ben presto tendono a dominarlo. Dovrebbero contribuire a realizzare la produzione, mentre la divorano” (7). Brecht sottolinea a ragione i rischi connessi alla burocratizzazione dello Stato tanto nei paesi capitalisti che socialisti e i pericoli connessi al fatto che gli amministratori invece di favorire lo sviluppo economico e sociale, tendono a mandarlo in rovina implementando la corruzione. Dunque, non si tratta né di una peculiarità delle società socialiste, come pretendono gli apologeti del capitalismo, né di una peculiarità delle società capitaliste, come sostengono gli apologeti del socialismo. Si tratta piuttosto di una tendenza generale. “Sfruttando contraddizioni fra i pensieri, si innalzano a una posizione di dominio, appoggiandosi agli uomini di potere, non a quelli utili”. Fuor di metafora sfruttando le contraddizioni sociali, gli amministratori tendono a dominare, alleandosi alle classi dominanti e non a chi sarebbe veramente utile per la società, ossia ai rivoluzionari.

Con la consueta posizione anti-intellettualistica Brecht sostiene che queste tendenze oppressive siano analoghe nel mondo delle idee e nel mondo reale. In entrambi “non c’è altro ordine che quello del dominio e dell’oppressione” [7]. “Determinati gruppi vanno al potere e sottomettono tutti gli altri. Non è il rendimento a decidere, ma le origini e le raccomandazioni” [7]. In altri termini, Brecht intende sottolineare come l’oppressione al livello delle strutture tende a riprodursi anche sul piano delle sovrastrutture. Perciò, la possibilità di trovare rifugio, dinanzi a un mondo reale sempre più corrotto, nel puro regno del pensiero è un falso mito, in quanto la corruzione reale non può che ripercuotersi anche nel mondo della cultura. In effetti tanto nella realtà sociale ed economica, quanto a livello accademico e culturale “le persone utili sono costretta a porsi al servizio dei potenti” (7). Ciò non vale solo per gli intellettuali organici alla classe dominante, per gli ingegneri e i manager, ma anche per gli intellettuali tradizionali, di formazione umanistica e apparentemente indipendenti dall’apparato produttivo. Così sia sul piano economico e sociale, sia sul piano culturale “chi ha conquistato il potere mantiene in uno stato di subalternità chi vorrebbe emergere”, questo vale tanto in ambito economico-sociale quanto in ambito accademico. “Certi raggruppamenti di pensieri ribelli o sovversivi vengono sciolti senza troppi riguardi” (7). Anche questo avviene tanto nel mondo della realtà che nel mondo del pensiero, tanto sul piano socio-economico delle strutture, quanto in quello culturale delle sovrastrutture. Dunque Brecht contro ogni concezione dualistica, che tende a separare il mondo reale dal mondo ideale della cultura e del pensiero, sostiene che il mondo è uno, al punto che il mondo del pensiero riproduce in pieno le dinamiche del mondo reale, strutturale, a partire dal quale si sviluppa come sovrastruttura. La migliore controprova di ciò è il sistema dei concorsi che è dominato, a ogni livello, dalla corruzione. Tanto che in ogni caso l’aspetto determinante per emergere sono le conoscenze e le raccomandazioni. Tanto più che i pensieri dominanti tendono a eternizzare i rapporti di produzione a partire dai quali si sviluppano, sostenendo senza posa che si tratta di rapporti di proprietà naturali, eterni e immutabili. “Tali pensieri, quando sono invecchiati e hanno messo su pancia in servizio, sono sostituiti da altri, più giovani ed efficienti, i quali rappresentano il vecchio con parole nuove” (7-8), conclude coerentemente Brecht.


Note:
[1] Bertolt Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970, p. 6. D’ora innanzi citeremo quest’opera indicando direttamente nel testo le pagine della traduzione italiana fra partesi tonde, senza segnalare le modifiche che vi apporteremo.

26/04/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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