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Engels – II parte

Dalle delucidazioni sul rapporto struttura-sovrastruttura alla dialettica della natura.


Engels – II parte Credits: http://www.politicaltheology.com/blog/revolutionary-christianity-friedrich-engels-and-the-aufhebung-of-religion/

Segue da numero precedente / Link alla lezione

Engels, quale curatore del lascito intellettuale marxiano, ha inevitabilmente influenzato profondamente la ricezione dell’opera marxiana, principalmente chiarendone luoghi controversi e confutandone interpretazioni semplicistiche. A tale proposito, particolarmente significative sono alcune lettere degli anni 1890-1894 indirizzate ai principali esponenti del movimento operaio internazionale – che proprio a Engels tendevano a fare riferimento – in cui quest’ultimo si sforza di delucidare il pensiero di Marx, consapevole della necessità di evitarne semplificazioni, che avrebbero ridotto a una dottrina dogmatica una filosofia critica e rivoluzionaria. L’importanza che ha avuto questo costante esercizio ermeneutico non può essere sottovalutata, data la necessità di una rapida e ampia diffusione di un pensiero complesso come quello di Marx – generalmente in ambienti privi dei mezzi intellettuali indispensabili a decifrarlo e comprenderlo – senza perciò doverlo imbrigliare in formule astratte, sacrificandone la complessità. Del resto è stato lo stesso Engels, il fondatore del marxismo, proprio perché consapevole dei rischi di una mistificazione dottrinaria dello spirito critico e dialettico di tale visione del mondo, a ricordare che lo stesso Marx aveva provocatoriamente sostenuto di non essere marxista. Come Marx, infatti, anche Engels temeva che il marxismo potesse essere ridotto a un insieme di categorie dogmatiche, a una metafisica da applicare senza tener conto della dinamica concreta del reale e dei diversi contesti storici, geografici, etc. in cui si sarebbe dovuto necessariamente tradurre e sviluppare.

Delucidazioni sul rapporto fra struttura e sovrastrutture

Fra gli importanti chiarimenti di Engels – volti a strutturare il marxismo, per renderlo una visione autonoma del mondo – dirimente era in primis la questione, già allora molto dibattuta e sovente foriera di gravi equivoci, del rapporto fra struttura economica e sovrastrutture culturali (rappresentazioni politiche, giuridiche, filosofiche, religiose, etc.). Difatti, sulla base di alcune pagine sue e di Marx, decontestualizzate dal complesso del loro pensiero, diversi interpreti avevano creduto che secondo Marx ed Engels la struttura economica determinasse in modo univoco, immediato e meccanico le ideologie politiche, le teorie giuridiche e filosofiche, le concezioni religiose, ossia la rappresentazione del mondo prodotte dalla coscienza dell’uomo. Secondo questa interpretazione unilaterale, lo stesso concetto di sovrastruttura finiva per essere male interpretato, al punto da esser ridotta a un mero fenomeno, una sorta di velo di Maya che celerebbe la realtà materiale e che andrebbe perciò dilacerato per comprenderne il fondamento economico, di cui la sovrastruttura sarebbe una semplice manifestazione. Sulla base di questa volgarizzazione del complesso rapporto fra struttura e sovrastrutture si arrivava a ritenere che sarebbe stato di secondaria importanza per un marxista occuparsi, ad esempio, delle scienze umane, dal momento che il confronto delle idee in quest’ambito sarebbe stato determinato dal rapporto fra le classi sociali sul piano economico, del quale resterebbero un mero e passivo riflesso. La concezione semplicistica che considerava la struttura economica un fondamento materialistico di cui le sovrastrutture sarebbero pure e semplici manifestazioni ideologiche si coniugava bene con la vulgata positivista allora dominante. A farne le spese era in modo particolare la filosofia, tanto più che lo stesso Marx, nella sua undicesima Tesi su Feuerbach nel 1845, era parso contrapporre la necessità pratica di trasformare il mondo all’atteggiamento teoretico dei filosofi, che si erano sino ad allora occupati unicamente di reinterpretarlo in maniera differente.

Da parte sua Engels da un lato non nasconde l’unilateralità di alcune espressioni e prese di posizioni giovanili di Marx e sue – necessarie a criticare l’attitudine idealista allora dominante anche fra gli intellettuali di sinistra a loro vicini, che snobbavano la necessaria disamina del sostrato socio-economico dei fenomeni spirituali – dall’altro mostra come il rapporto tra struttura e sovrastrutture non sia da intendere in modo unilaterale, semplicistico e deterministico, come una relazione di causa-effetto, ma come un rapporto di «azione reciproca»: le sovrastrutture ideologiche, pur sorte sulla base della struttura produttiva, influenzerebbero, in modo reattivo, a loro volta il modo di produrre e di distribuire la ricchezza, sulla base di una reazione reciproca a catena di cui occorre tener conto per un’adeguata comprensione dei processi sociali. Scrive Engels a questo riguardo, in una lettera del 1890, “secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. […] Le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto la battaglia, ecc., le forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi – esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante”. Dunque, secondo Engels, non era lecito trascurare, accanto al contenuto storico legato al determinato modo di produzione e al rapporto fra le classi sociali in cui le sovrastrutture sorgono, l’altrettanto decisivo aspetto formale, ovvero la logica specifica mediante la quale tali rappresentazioni si costituiscono.

Engels ha inoltre dato un contributo autonomo allo sviluppo del marxismo, i cui esiti sono considerati controversi anche dagli studiosi marxisti che lo hanno interpretato o come uno sviluppo o come un sostanziale tradimento dello spirito originario del marxismo, ovvero come una ricaduta nella metafisica, per quanto materialista, che negherebbe lo spirito scientifico e critico del pensiero marxiano. Tali critiche sono state rivolte, in particolare, al tentativo da parte di Engels di estendere a ogni ambito la validità del metodo dialettico, quale metodo fondamentale del marxismo, sino a ritenerlo necessario per la stessa comprensione delle scienze naturali. A tale scopo Engels, sviluppando un interesse che aveva manifestato fin dagli anni cinquanta, riprende fra il 1873 e il 1886 a occuparsi di filosofia della natura, approfondendo in particolare i propri studi di fisica, biologia e chimica per arrivare a delineare i princìpi della concezione dialettica della storia e della natura che si sforzava di elaborare. Di quest’ultimi dà una prima definizione nella prefazione alla seconda edizione dell’Anti-Dühring: “nella natura sono operanti, nell’intrico degli innumerevoli cambiamenti, quelle stesse leggi dialettiche del movimento che anche nella storia dominano la apparente accidentalità degli avvenimenti; quelle stesse leggi che, costituendo del pari il filo conduttore della storia dello sviluppo del pensiero umano, diventano gradualmente note agli uomini che pensano; leggi che per la prima volta furono sviluppate da Hegel in maniera comprensiva, ma in forma mistificata, e che è stato uno dei nostri intenti liberare da questa forma mistica e rendere chiaramente comprensibili in tutta la loro semplicità e universale validità”. Secondo questa visione della realtà, la storia materiale prodotta dagli uomini e tutti i fenomeni naturali sono sottoposti alle stesse identiche leggi di sviluppo dialettico; leggi che, secondo Engels, Hegel aveva già compreso, considerandole, però, idealisticamente come princìpi del movimento dello Spirito e non della materia.

La dialettica della natura

Degli studi di Engels sulla dialettica della natura ci restano, oltre che le osservazioni sparse contenute nell’Anti-Düring, alcuni quaderni di appunti – stesi in un ampio arco temporale dal 1873 al 1886 – che hanno avuto una certa influenza nel dibattito epistemologico dopo la loro pubblicazione in Urss nel 1925 con il titolo di Dialettica della natura. L’interesse di Engels per la filosofia della natura è alimentato da alcune importanti scoperte scientifiche: la cellula, la convertibilità dell’energia e la teoria dell’evoluzione di Darwin.

È, in particolare, con l’affermarsi di quest’ultima che si accentua l’interesse di Engels per la filosofia della natura. Marx ed Engels, in effetti, avevano visto nelle teorie darwiniane un’ulteriore conferma delle proprie idee – al punto che il primo aveva dedicato proprio a Darwin il II° libro de Il Capitale – in quanto esse mostravano l’unità dello sviluppo dell’intero mondo organico e naturale dalle sue forme più elementari all’uomo mediante una processualità delle varie forme naturali che appariva analoga alla dialettica.

La teoria di Darwin sembra conferma la visione del mondo organico di Hegel

A parere di Engels quindi, la teoria darwiniana dimostra l’unità dello sviluppo del mondo organico, dalle forme meno complesse fino all’uomo, confermando la concezione hegeliana di una spiegazione dinamica, storico-dialettica della natura. Engels ritiene, perciò, che gli enormi progressi delle diverse scienze rendano urgente la riorganizzazione, in un quadro unitario, dell’intero ambito d’indagine relativo alla natura. Strumento indispensabile a tale scopo è perciò proprio la dialettica, che Engels considera il termine medio fra razionale e reale, in quanto sarebbe il fondamento tanto dell’indagine scientifica, ovvero della logica della scienza, quanto del processo di sviluppo della materia, rinvenibile in tutte le sue manifestazioni.

Engels accentua così il legame del marxismo con la filosofia hegeliana, in aperta polemica con il positivismo allora dominante all’interno dello stesso movimento operaio, che finiva inconsapevolmente con il fondare una nuova metafisica sulla base di una concezione astorica della scienza naturale. Al contrario Engels intende mostrare la validità del materialismo dialettico, quale sviluppo della dialettica hegeliana, nell’interpretazione non solo del mondo storico, ma anche dei fenomeni naturali. Intendendo la dialettica quale fondamento del movimento del reale, essa è considerata da Engels la logica dello sviluppo della natura, del mondo storico e del pensiero, sulla base della hegeliana identità di reale e razionale. In tal modo Engels recupera i fondamenti logico-metodologici della filosofia hegeliana anche per quanto concerne la filosofia della natura, rinvenendo delle significative analogie fra l’evoluzione del mondo naturale e quella del mondo storico. Gli appunti di Engels segnano, dunque, il primo tentativo marxista, al di là di sparsi spunti già presenti nell’opera di Marx, di individuare il movimento dialettico non solo nella storia e nella società umana, ma negli stessi fenomeni naturali.

Le tre leggi universali della dialettica

Sulla base dell’idea che sia possibile risalire a un principio unitario – la dialettica – posto alla base dello sviluppo tanto del pensiero, ovvero dell’agire dell’uomo nella storia, quanto dell’essere, ovvero della natura, Engels si sforza di individuarne le leggi generali che la regolano, a suo parere riducibili a tre princìpi universali: 1) la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa, ossia del reciproco trapasso l’una nell’altra; 2) la legge della compenetrazione degli opposti; 3) la legge della negazione della negazione.

Il primo di questi princìpi stabilisce che la trasformazione quantitativa di una determinata materia non può che incidere, dopo un certo intervallo, anche sulla sua struttura qualitativa e, di conseguenza, per mutare qualitativamente una data sostanza è necessario modificarne la quantità di materia o di energia motoria che la caratterizza. La seconda stabilisce la compenetrazione o unità degli opposti, per cui, data una totalità i suoi elementi potranno esserle disgiunti solo mediante un atto di astrazione. La terza legge definisce la dialettica come una successione di negazioni, in cui mediante la negazione della negazione si conserva come superato ogni momento del processo.

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05/08/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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