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Fenomenologia dello spirito III parte

Dopo aver concluso il primo momento della coscienza, la certezza sensibile, ci occuperemo degli aspetti fondamentali del secondo e terzo momento, ovvero della percezione e dell’intelletto


Fenomenologia dello spirito III parte Credits: http://churchlife.nd.edu/2018/06/08/must-catholics-hate-hegel/

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

Segue da Fenomenologia dello spirito II parte

Anche la certezza immediata che ho di me stesso, del mio io, che sembra assicurarci la certezza sensibile, è in verità più apparente che reale, in quanto anche l’io è un prodotto del linguaggio che universalizza, tanto che ognuno di noi può rivendicare con egual ragione di essere “io”. Al punto che, se ad esempio suonano al citofono e alla domanda chi è mi si risponde “sono io”, se non riconosco la voce non posso sapere di quale “io” si tratti. Proprio, perciò, Cratilo – considerato dalla tradizione il maestro di Platone – volendosi attenere in modo rigoroso alla certezza sensibile quale fonte più certa della verità (in quanto l’unica forma di conoscenza che gli pareva indubitabile e incontrovertibile) rifiutava di utilizzare gli universali offerti dal linguaggio e si limitava a indicare con i gesti ciò di cui faceva, di volta in volta, esperienza. Ma, già così, è evidente che si tratta di una conoscenza estremamente elementare, immediata, primitiva ed essenzialmente banale, qualcosa che solo una persona ancora piuttosto ingenua, come uno dei primissimi e più arcaici pensatori, può ostinarsi a considerare “la verità”.

Anche il qui e l’ora, il questo, posti a fondamento della certezza sensibile, si rivelano essere strutture universali

Il soggetto della certezza sensibile pare limitarsi a ricevere i dati sensibili, come la cosa più concreta, più incontrovertibile e oggettiva. La coscienza sensibile fa esperienza qui e ora di un certo oggetto. Tale verità che ci appare, a prima vista, la più evidente e indubitabile non appena proviamo a fissarla su un foglio, trascrivendola, risulta immediatamente falsificata e, quindi, quella verità che ci era parsa incontrovertibile è subito negata. Ad esempio se faccio esperienza ora, poniamo alle 18 mentre scrivo questo articolo, che qui c’è una tastiera e un computer, tali verità mutano altrettanto incontrovertibilmente con il semplice passare del tempo o semplicemente cambiando posizione, spostandomi ad esempio in cucina. Rileggendo ora quelle verità che mi parevano evidenti e indubbie scopro subito il loro carattere completamente effimero, transitorio e ingannevole, rispetto alla cieca fiducia che riponevo in esse.

A restare costanti e oggettive, con il semplice passare del tempo e il mero spostamento nello spazio del soggetto conoscitivo, sono, dunque, il questo di cui faccio esperienza – il cui contenuto è quanto di più mutevole si possa immaginare – e il quie l’orain cui ha luogo la mia esperienza. Ma, riflettendoci appena un momento, non posso non rendermi altrettanto immediatamente conto che il questo, il qui e l’ora non hanno nulla di sensibile, né tantomeno di oggettivo, non possono essere considerati dei dati incontrovertibili, dei fatti del tutto indipendenti dal soggetto conoscitivo. Anche in questo caso, visto che il loro contenuto effettivo muta costantemente, mentre rimane oggettivamente vera unicamente la loro forma, quest’ultima non può certo essere considerata un oggetto reale dell’esperienza, indipendente dal soggetto conoscitivo, in quanto si tratte di tre parole (questo, qui e ora) che, in quanto tali, non solo non esistono per qualsiasi altro essere vivente non umano che faccia la stessa identica esperienza, ma risultano incomprensibili per chi non conosce il linguaggio in cui sono espresse.

Dunque, anche il “qui”, l’“ora” e il “questo” sono tutt’altro che dati incontrovertibili di fatto, inoppugnabili dati oggettivi, rivelandosi al contrario delle strutture universali di comprensione della realtà da parte del soggetto umano che, nel caso specifico, conosce la lingua italiana. Il soggetto, dunque, anche nella forma di conoscenza più semplice e immediata, come quella esperita dal punto di vista della certezza sensibile, è tutt’altro che passivo, pronto unicamente ad accogliere una verità oggettiva che gli è rivelata dall’esterno dall’esperienza. Al contrario, già anche in questa elementare esperienza il soggetto è parte attiva ineliminabile ed essenziale del processo conoscitivo. Tanto più che non si tratta più del soggetto singolo, concreto, dell’io oggettivo della certezza sensibile, ma di un soggetto universale, trascendentale, ovvero del soggetto umano. La verità della certezza sensibile finisce così per rovesciarsi nel suo contrario, la sua apparente concretezza si rivela essere quanto di più astratto ci sia, come appunto il “questo”, il “qui” e l’“ora”.

La percezione

Il secondo momento di sviluppo della coscienza del nostro processo conoscitivo è rappresentato dalla percezione. Siamo a un livello superiore di conoscenza, in quanto abbiamo tesaurizzato le scoperte fatte durante l’esperienza della certezza sensibile e abbiamo abbandonato la credenza ingenua nell’immediatezza del processo conoscitivo. In tal modo siamo ora in grado di comprendere che nell’esperienza gli oggetti che conosciamo non possiamo che comprenderli sempre in relazione alla nostra soggettività, alle nostre facoltà conoscitive, che da essi si distinguono, anzi vi si contrappongono come momento oggettivo del processo conoscitivo dinanzi al momento soggettivo.

Così anche l’oggetto della nostra coscienza, elevatasi al livello della percezione è necessariamente un qualcosa di più complesso del mero questo della certezza sensibile, la cui immediata semplicità e costante mutevolezza non può più soddisfare il nostro bisogno di trovare una verità maggiormente stabile, più ampia e meno ingannevole. Ecco, dunque, che con lo svilupparsi del soggetto conoscitivo si sviluppa, di necessità, lo stesso oggetto conoscitivo, in quanto prenderò per vero qualcosa di più complesso, di meno scontato, di più durevole, etc. L’oggetto della percezione sarà dunque non qualche cosa di immediato, il questo, un mero dato di fatto, un semplice oggetto, ma un qualcosa di decisamente più complesso, ricco e interessante, in quanto dotato di molte differenti proprietà.

Quindi, e questo è un elemento necessariamente costante di tutto il percorso fenomenologico, visto che soggetto e oggetto sono incontestabilmente legati in quanto opposti gli uni agli altri, al di là di quanto considera vero la coscienza ancora prigioniera delle contrapposizioni e giustapposizioni del nostro intelletto analitico, quanto più si sviluppa e diviene complesso il soggetto conoscitivo, sviluppando le proprie facoltà conoscitive e acquisendo un ruolo sempre più da protagonista nel processo conoscitivo, tanto più si sviluppa e diviene di conseguenza complesso il suo oggetto, al punto che la coscienza, ancora prigioniera dell’immediatezza, lì per lì non lo riconosce, tanto è mutato, e gli appare sempre come se si trattasse di un oggetto diverso. In realtà tanto è maturato il soggetto conoscitivo – che potrebbe apparire a uno sguardo esteriore un altro – tanto si è sviluppato l’oggetto che intende conoscere alla ricerca di una verità che non può che approfondirsi, arricchirsi, elevarsi.

L’unicità della cosa e la molteplicità delle sue proprietà

Il soggetto conoscitivo inoltre, non essendo ancora in grado, in quanto non ancora abituato, a conoscere oggetti così complessi, crede di essersi imbattuto in una insuperabile contraddizione fra l’unicità della cosa che si accinge a conoscere e le sue molteplici proprietà che gli si presentano nel corso del processo conoscitivo. Per cui questa scrivania, su cui sto scrivendo, non è più il questo della certezza sensibile, ma è al contempo una singola scrivania, in quanto tale dotata di molteplici proprietà, ha infatti ad esempio quattro gambe sulle quali poggia, un piano superiore, una forma rettangolare, un certo peso, è fatta di un certo legno, ha differenti colori, in un lato è dotata di cassetti ecc… La coscienza, però, resta sempre alla scissione intellettualistica fra soggetto e oggetto e continua a ritenere che la verità non possa che essere oggettiva, in quanto il soggettivismo comporterebbe il relativismo. A questo punto però non comprendendo, dal suo punto di vista intellettualistico, la razionale unità degli opposti cerca di scindere i due aspetti che gli paiono contraddittori, attribuendone uno al soggetto conoscitivo e l’altro all’oggetto conosciuto. Ma neanche in tal modo viene a capo della problematica di poter individuare quale sia l’aspetto soggettivo – dunque relativo – e quale l’aspetto oggettivo, in quanto tale vero per la coscienza. In altri termini si domanda, restando al nostro esempio, se l’unità dell’oggetto conosciuto – della cattedra su cui lavoriamo – sia una proprietà della cosa stessa o del nostro modo di conoscerla. Discorso analogo vale per le sue molteplici qualità, che possono essere considerate differenti qualità oggettive della cosa stessa o diversi modi soggettivi del nostro esperirla. Sono aspetti diversi della stessa cosa o dipendono dal nostro diverso modo di considerarla?

L’intelletto non riesce a comprendere l’unità degli opposti

Tutti questi problemi, di cui ha lungamente dibattuto la scienza e la filosofia fra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, dipendono, a parere di Hegel, dall’incapacità dell’intelletto, facoltà conoscitiva analitica, di cogliere l’unità fra gli opposti, ossia in primo luogo l’unità fra l’aspetto soggettivo e oggettivo del reale-razionale, non arriva a cogliere l’uno-tutto quale sintesi dell’unità dell’oggetto e dei suoi molteplici aspetti, ossia l’unità degli opposti che si manifesta nel nostro cogliere al contempo l’unità del nostro oggetto d’indagine e i suoi diversi modi di essere, che corrispondono del resto ai diversi modi che abbiamo di considerare, interpretare e, quindi, comprendere la medesima cosa.

L’intelletto

Il terzo momento dello sviluppo della coscienza e della sua attività conoscitiva è proprio rappresentata dall’intelletto, la prima facoltà conoscitiva dell’uomo, che ci consente di comprendere analiticamente il mondo che ci circonda, in tutti i suoi molteplici e tendenzialmente infiniti aspetti particolari. In tal modo, la coscienza ha compreso attraverso le esperienze precedenti il ruolo decisivo che svolge il soggetto e le sue facoltà nel processo conoscitivo, anche se di tali facoltà è divento consapevole solo della prima e più immediata, rappresentata dall’intelletto, che ci permette di orientarci nel mondo. Con l’intelletto siamo giunti alla gnoseologia sviluppata nel diciottesimo secolo dall’Illuminismo che ha elaborato una conoscenza scientifica della realtà, nelle sue molteplici sfaccettature, nel suo capolavoro: l’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri.

Come abbiamo già visto, allo sviluppo del soggetto conoscitivo corrisponde necessariamente un analogo sviluppo dell’oggetto della sua conoscenza. Quest’ultimo non può più essere l’oggetto di cui facciamo immediatamente esperienza, nella cosa dalle molteplici proprietà della percezione, ma è divenuto l’oggetto della moderna visione scientifica del mondo, l’oggetto della scienza per antonomasia, ovvero la forza. Anche in tal caso l’intelletto, tendendo a separare i molteplici aspetti della realtà per poterli conoscere in modo analitico, non può che domandarsi se tale forza sia un qualcosa di unitario, o sia oggettivamente soltanto i molteplice effetti che produce esplicitandosi nella realtà. In altri termini la coscienza in quanto intelletto si domanda, in linea con le ricerche epistemologiche del diciottesimo secolo, se la forza nella sua realtà effettiva sia la sua legge o, piuttosto, i molteplici aspetti del suo manifestarsi, ovvero il fenomeno.

In realtà è, al solito, l’intelletto che pretende di poter astrattamente separare la forza dai suoi necessari effetti e, più in generale, la causa dai suoi effetti, il noumeno (la legge) dal fenomeno, ovvero il suo altrettanto necessario estrinsecarsi. In realtà, tanto il fenomeno è per la coscienza alla quale si manifesta, quanto la legge è un’astrazione che del fenomeno stesso opera la nostra coscienza soggettiva. In tal modo, la coscienza comprende finalmente che non può più ostinarsi a ricercare una verità puramente oggettiva, una mera realtà scissa dalla sua comprensione razionale. Da tale scacco la coscienza pensando in maniera ancora astratta, intellettualistica, non può che essere portata a credere che se la verità non è un qualcosa di oggettivo deve per forza essere il suo contrario, ossia un qualcosa di soggettivo. Diviene così consapevole che, per avere a che fare con un oggetto che sia realmente alla sua altezza – per come si è venuta sviluppando e maturando – non può che prendere come oggetto della sua conoscenza se stessa, la coscienza che, così, diviene autocoscienza, quale riflessione in sé.

04/05/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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