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Il dibattito tra Bucharin e Lenin sulla costruzione del socialismo nella Russia sovietica


Il problema che i dirigenti sovietici devono affrontare, una volta conquistato il potere politico mediante la rivoluzione, può essere così sintetizzato: “Come costruire il socialismo partendo da un’economia sostanzialmente agricola, devastata dalla carestia e dalla miseria, causate dalla guerra civile?”. Sulle risposte fornite a tale domanda si apre, tra i dirigenti sovietici, un aspro dibattito. Di particolare spessore teorico e politico è quello che vede contrapposti Lenin e Bucharin.


Il dibattito tra Bucharin e Lenin sulla costruzione del socialismo nella Russia sovietica

Questo articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019. [1]

Lenin nel suo ultimo scritto Meglio meno ma meglio ribadisce il suo punto di vista sulla costruzione del socialismo nella Russia sovietica: “Noi non abbiamo un grado sufficiente di civiltà per passare direttamente al socialismo” (corsivo aggiunto). [2] Per Lenin il compito principale e immediato del potere sovietico, dopo la rivoluzione, è quello di ricostruire il sistema economico distrutto dalla Prima guerra mondiale e dalla Guerra civile. L’obiettivo primario per i dirigenti sovietici deve essere, perciò, quello di far uscire l’Unione Sovietica dalla condizione di carestia e dalla miseria in cui si trova. Per realizzare tale obiettivo Lenin propone, tra l’altro, l’uso di pratiche manageriali e organizzative (taylorismo, fordismo ecc.), già sperimentate con successo in alcuni paesi capitalistici. Più in generale, Lenin propone quello che chiama: “Capitalismo di Stato in uno Stato Proletario(d’ora in poi in sigla: CSSP), con molti incentivi e concessioni ai capitalisti privati, interessati alla gestione delle imprese espropriate durante la rivoluzione.

Non tutti i dirigenti sovietici sono d’accordo con Lenin. Per esempio, i “comunisti di sinistra”, guidati da Bucharin, si contrappongono alla strategia di Lenin, poiché la ritengono “un ritorno occulto al capitalismo”, ovvero un rischioso e un pericoloso “passo indietro” del processo rivoluzionario.

Per illustrare la strategia che i dirigenti sovietici devono realizzare, Lenin scrive I compiti immediati del potere sovietico. Egli osserva, con enfasi, che, per ricostruire le forze produttive distrutte dalle guerre e per fare fronte alle devastazione delle diverse carestie, è necessario, innanzitutto, amministrare e gestire le imprese espropriate ai capitalisti. Per costruire il socialismo non basta espropriare gli espropriatori. In passato, afferma Lenin, sono stati affrontati provvedimenti di immediata espropriazione degli espropriatori. “Ora si presenta come compito immediato e caratteristico quello di organizzare l’amministrazione economica della Russia”. [3]

Lenin inizia la sua analisi facendo notare che la realizzazione pratica di questo obiettivo presenta diverse difficoltà. Egli osserva, innanzitutto, che la gestione e il controllo delle imprese espropriate sono, per i soviet, compiti di difficile soluzione, poiché richiedono elevate competenze specialistiche nei vari settori della scienza e della tecnica (ingegneri, tecnici, operai specializzati ecc.), che i soviet non possiedono, poiché gli specialisti militano principalmente nelle fila delle forze borghesi, contrarie alla rivoluzione. Per questo, “alla centrale elettrica Smidovic di Mosca, per esempio, non un solo ingegnere accetta di lavorare per il potere sovietico”. [4]

Per dirigere il lavoro e per assicurare lo sviluppo economico dell’Unione Sovietica, nel modo più rapido possibile, Lenin propone, perciò, di attirare gli specialisti borghesi, anche di altre nazionalità, incentivandoli con retribuzioni eccezionalmente elevate. Nel 1917 arrivarono molti esperti statunitensi, tra i quali John Stevens, principale artefice della Great Northern Railway e del Canale di Panama, che prende la direzione dei lavori della Transiberiana. Nel 1922 si riapre il flusso degli ingegneri tedeschi, reclutati dal Partito Comunista Tedesco (Kommunistische Partei Deutschlands, KPD). [5]

Con riferimento a questa strategia, Lenin osserva: “Bisogna imparare il socialismo dai dirigenti dei trust, […] dai massimi organizzatori del capitalismo […] Quanto più rapidamente noi operai e contadini, impareremo ad applicare una migliore disciplina e una più elevata tecnica nel lavoro, utilizzando per questo gli specialisti borghesi, tanto più ci libereremo da qualsiasi tributo verso questi specialisti”. [6]

Imitare le migliori pratiche (best practices, nel linguaggio gestionale corrente) dei manager che hanno già lavorato per il capitalismo. Questo è il senso della strategia proposta da Lenin, che riconosce che si tratta di un obbligato “passo indietro del nostro potere statale socialista sovietico”, ovvero di una “temporanea ritirata”. [7] Sul significato di questa strategia Lenin precisa ancora: “Difficilmente si può trovare nella storia una sola campagna militare vittoriosa in cui il vincitore non abbia commesso errori […] non abbia dovuto effettuare qualche temporanea ritirata”. [7]

Lo scenario strategico elaborato da Lenin può essere illustrato nel modo che segue.

1) Egli parte da un oggettivo dato di fatto: la condizione di miseria in cui si trova l’economia sovietica dopo la rivoluzione. Costruire il socialismo, rimanendo in una tale condizione di basso sviluppo delle forze produttive, equivale a socializzare la miseria.

2) Per uscire dalla condizione di miseria in cui si trova la Russia è necessario, in primo luogo, aumentare la produttività del lavoro (la forza produttiva del lavoro umano).

3) Per aumentare la produttività del lavoro occorre fare ricorso alle innovazioni tecnologiche e alle innovazioni organizzative utilizzate nell’economia americana, che è il punto di riferimento più avanzato in fatto di tecnologia e innovazioni organizzative di quel tempo (best practices). 

La strategia di Lenin viene etichettata, perciò, con il termine di “Americanismo”. Bisogna, cioè, fare come fanno gli americani. Vale a dire, occorre imitare ciò che fanno gli americani, che adottano le migliori innovazioni organizzative (taylorismo) e le più evolute innovazioni tecnologiche (fordismo). In altri termini, il solo potere politico dei soviet non basta per la costruzione del socialismo, che non sia il socialismo della miseria.

L’idea di Lenin è che non si può parlare di socialismo senza sviluppo delle forze produttive. Di fronte alla prova dei fatti, Lenin propone, perciò, di rinunciare all’immediatezza del socialismo e muoversi verso un’industrializzazione dotata di elementi capitalistici, che confluiscono nel CSSP, introdotto e generalizzato nella NEP (Nuova Politica Economica).

Questa è, forse, la principale lezione strategica emersa dall’esperienza sovietica; con un basso sviluppo delle forze produttive e della produttività del lavoro, lasciato in eredità dall’economia zarista, si può costruire solo il “socialismo della miseria”, che non è certamente la migliore arma per combattere la carestia e la miseria. Lo sviluppo delle forze produttive è, perciò, necessario per migliorare le condizioni di vita e per porre le premesse per il socialismo “senza miseria”. È per questo motivo che Lenin invita i dirigenti sovietici a imitare le strategie dei paesi all’avanguardia (Stati Uniti e Germania). La parola d’ordine è, quindi, “Imparare il socialismo dai massimi organizzatori del capitalismo”. [6]

Un esempio di questa strategia di “americanizzazione” è costituito dalla introduzione della meccanizzazione della produzione agricola. La pratica migliore (best practice) è, in questo caso, rappresentata dalla impresa agricola americana, che usa il trattore appena prodotto dalla Ford. Nel 1918 la Ford produce e mette sul mercato il trattore “Fordson”. In poco tempo il maggior consumatore dei trattori Fordson è l’Unione Sovietica, che ne compra quasi 30.000 tra il 1919 e il 1927. Nel 1924, anno in cui Lenin muore, si raggiunge il punto più elevato della strategia: l’Unione Sovietica avvia, su licenza della Ford, la produzione in proprio di trattori Fordson nella fabbrica di Putilov di Leningrado. La “fordizzazione” della produzione agricola è tale che, tra i contadini sovietici, Ford – chiamato l’uomo che costruisce “il cavallo di ferro” (il trattore) − era più noto di Stalin e Bucharin. [8] Della Ford si parla, tra i dirigenti sovietici, come di un’azienda che poteva essere trasferita, senza ritocchi, al socialismo.

L’idea di Lenin è che quando i dirigenti, i lavoratori e i tecnici sovietici, avranno appreso le migliori tecniche di gestione e di controllo della produzione moderna, allora non ci sarà più bisogno degli specialisti borghesi. Allora e, solo allora, si creeranno le condizioni materiali per la transizione al socialismo e saranno mature le condizioni per un uso non capitalistico della tecnica e del management scientifico tayloristico. L’unione dello sviluppo delle forze produttive con il potere politico dei soviet è, infatti, la condizione necessaria per la costruzione del socialismo, nel quale le innovazioni tecniche e organizzative potranno essere, finalmente, usate con finalità non capitalistiche (riduzione della giornata lavorativa, riduzione dell’intensità del lavoro, aumento della ricchezza del produttore).

Un altro obiettivo posto da Lenin per la industrializzazione delle campagne dell’Unione Sovietica è l’elettrificazione di tutto il territorio sovietico. Anche questo obiettivo, realizzato nel 1929, mostra l’insufficienza del solo potere politico dei soviet per la costruzione del socialismo. C’è bisogno anche del rivoluzionamento tecnico della produzione e di un grande sviluppo delle forze produttive. 

Molti dirigenti, tra i quali Bucharin, come già detto, non condividono la strategia di Lenin di “un passo indietro” per la costruzione del socialismo. All’interno degli esponenti bolscevichi si apre, quindi, un aspro conflitto. Lenin è accusato di voler introdurre il capitalismo nell’Unione Sovietica.

La strategia elaborata da Lenin si ispira e si collega all’analisi fatta da Marx sugli effetti dell’introduzione delle macchine, nel capitolo XIII del primo libro del Capitale. Marx critica i luddisti che si oppongono alla introduzione delle innovazioni tecniche (nuove macchine) e a quelle organizzative. Essi, osserva Marx, non sono in grado di distinguere “le macchine dal loro uso capitalistico”. Gli inconvenienti, che creano le rivolte dei lavoratori, sono causati dall’uso capitalistico delle macchine e delle innovazioni organizzative (finalizzate all’estrazione del plusvalore) e non da queste in quanto tali. È perciò il capitalismo che va combattuto e non la macchina in sé o l’innovazione organizzativa in quanto tale. In un contesto non capitalistico, in cui sono superate le condizioni per l’uso capitalistico, la macchina (il trattore Fordson) e l’innovazione organizzativa (taylorismo) possono essere usate per finalità che non sono quelle capitalistiche. Possono essere usate per ridurre il tempo di lavoro, per ridurre l’intensità del lavoro e per aumentare la produzione di beni. 

La strategia suggerita da Lenin rinvia, in definitiva, alla teoria di Marx.

Di fronte alla introduzione della macchina o delle innovazioni organizzative sono possibili due strategie di lotta.

1) Una “strategia luddista” nella quale il lavoratore si oppone alla introduzione di nuove tecnologie (macchine) o delle innovazioni organizzative;

2) Una “strategia non luddista” nella quale il lavoratore non si oppone alla introduzione di nuove tecnologie (macchine) o delle innovazioni organizzative.

Nella prima strategia − senza il trattore Fordson − il grano deve essere prodotto con l’aratro. Di conseguenza, la produttività del lavoro agricolo con l’impiego dell’aratro (misurata dalla quantità di grano prodotta per ora di lavoro) è di gran lunga inferiore alla produttività  del lavoro che si avrebbe con l’impiego del trattore Fordson

Evidentemente questa strategia non è adatta per abbattere la carestia e la miseria che affliggono l’Unione Sovietica.

Nella seconda strategia, quella “non luddista”, il lavoratore non si oppone alla introduzione del trattore. La produttività del lavoro cresce con lo sviluppo delle forze produttive (scienza, tecnica ecc.), vale a dire il prodotto di grano per unità di tempo di lavoro cresce con le innovazioni tecniche e con le innovazioni organizzative. Questa strategia è, perciò, più adatta per risolvere problemi di carestia e miseria. Quando la produttività del lavoro sarà aumentata adeguatamente, per lo sviluppo continuo delle forze produttive, lo Stato sovietico potrà revocare le concessioni offerte ai capitalisti con il CSSP, creando, così, le condizioni materiali per il passaggio al socialismo.

In definitiva, la differenza tra le due strategie può essere così sintetizzata.

Nella prima strategia, quella luddista, si passa istantaneamente dalla economia zarista al socialismo. Si ha una situazione come quella illustrata qui di seguito:

1) Economia contadina-zarista → Socialismo 

Questa “strategia luddista”, che non prevede di necessità l’uso delle innovazioni tecnologiche e lo sviluppo massimo delle forze produttive, è quella suggerita dai “comunisti di sinistra” capeggiati da Bucharin (Oppokov, Osinskj e altri). Il passaggio al socialismo non richiede nessun “passo indietro” e nessuna concessione ai capitalisti, poiché è un passaggio istantaneo (un salto). Non richiede, cioè, il passaggio obbligato per lo stadio intermedio del CSSP, necessario per lo sviluppo massimo delle forze produttive. Evidentemente, una tale strategia non ha come obiettivo “il socialismo senza miseria” e perciò non richiede lo sviluppo massimo delle forze produttive. Perciò, il CSSP, non è ritenuto una tappa intermedia essenziale per il socialismo.

Nella seconda strategia, quella “non luddista”, la realizzazione del socialismo senza miseria richiede necessariamente il passaggio per una tappa intermedia, rappresentata dal CSSP. Si ha una situazione come quella illustrata qui di seguito:

2) Economia contadina-zarista → CSSP → Socialismo 

Questa strategia “non luddista” − che passa per lo sviluppo massimo delle forze produttive e l’uso necessario delle innovazioni tecnologiche e organizzative − è quella indicata da Lenin. Il passaggio al socialismo richiede un “passo indietro” e concessioni varie al capitalismo. Tra l’economia zarista e il socialismo c’è, quindi, uno “stadio intermedio”, rappresentato dal CSSP. Evidentemente, una tale strategia ha come obiettivo “il socialismo senza miseria” e, perciò, richiede lo sviluppo massimo delle forze produttive, ottenuto con il CSSP. Per questo motivo il CSSP è ritenuto da Lenin una tappa intermedia essenziale per la costruzione del Socialismo privo di miseria.

Per concludere, una ulteriore e breve osservazione. 

La proposta di Lenin, per la ricostruzione dell’economia sovietica, non è “una rivoluzione contro il Capitale di Marx”, come ritiene Gramsci subito dopo la rivoluzione in Russia. Essa difatti, come si è visto, può essere collegata con la riflessione di Marx sui limiti del “luddismo”. Chi, come Bucharin, si oppone allo sviluppo necessario delle forze produttive ha, in un modo o nell’altro, una concezione del socialismo che non esclude la miseria e la sofferenza delle carestie. Il ritorno alla bottega artigiana o all’aratro, auspicato dai luddisti, vecchi o nuovi, non prevede, infatti, il superamento necessario della miseria materiale e della sofferenza. Viceversa, la proposta di Lenin, compatibile con il pensiero di Marx, ha come scopo essenziale quello della edificazione di un socialismo senza miseria, senza sofferenza e senza carestie.

Note:

[1] Il materiale didattico del seminario è scaricabile qui.

[2] Lenin, V. (1917), Economia della Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, p. 492.

[3] Lenin, V. (1917), Economia della Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, p. 151.

[4] Giacchè, V, (2017), Introduzione a: Lenin, V, (1917), Economia della Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, p. 29.

[5] Settis, B. (2016), Fordismi, Il Mulino, Bologna, p. 251.

[6] Lenin, V. (1917), Economia della Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, pp. 171-172.

[7] Lenin, V. (1917), Economia della Rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, p. 156.

[8] Settis, B. (2016), Fordismi, Il Mulino, Bologna, p. 167.

21/11/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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