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Il marxismo occidentale

Il marxismo occidentale rivoluzionario si sviluppa contro le tendenze revisioniste della II internazionale e contro la concezione dogmatica del marxismo diffusa in URSS dopo la morte di Lenin


Il marxismo occidentale Credits: https://www.lacittafutura.it/cultura/marxismo-e-filosofia

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare A. Gramsci su argomenti analoghi

Dalla lezione di Gramsci al marxismo occidentale

L’opera di Antonio Gramsci, su cui ci siamo a lungo soffermati, può essere interpretata come un trait d’union fra il marxismo della Terza Internazionale e i successivi sviluppi che avrà la riflessione marxista nel mondo occidentale. Pur ponendosi in continuità con Lenin, per diversi aspetti il pensiero di Gramsci è vicino a tematiche che saranno sviluppate dal cosiddetto marxismo occidentale, in particolare per quanto concerne la sua riflessione sulle sovrastrutture, la società civile e le specificità della Rivoluzione in occidente.

Introduzione al marxismo occidentale a partire da alcuni emblematici contrasti storici in seno al marxismo precedente

Il profondo legame dialettico nella diffusione e nello sviluppo del marxismo, quale filosofia della prassi, fra la riflessione teorica e la sua realizzazione pratica ha prodotto diversi contrasti al suo interno. Alla prima grande querelle, sviluppatasi negli ultimi anni del diciannovesimo secolo fra rivoluzionari e riformisti, si viene sovrapponendo, nel ventesimo secolo, quella fra i sostenitori e i critici della rivoluzione di Ottobre. Dal momento che nel novecento i riformisti tendevano a tagliare progressivamente i ponti con il marxismo, la principale querelle diverrà quella fra sostenitori e critici dell’Urss e del marxismo sovietico.

Molti degli intellettuali che daranno vita al marxismo occidentale tendono a ritenere valido il leninismo nel suo contesto storico e sociale, ma si oppongono a considerarlo un modello d’azione per i paesi occidentali a capitalismo avanzato. Anzi, tendono a considerare la sconfitta storica del processo rivoluzionario in occidente il prodotto di una schematica applicazione del marxismo quale guida per l’azione in un contesto storico, sociale e culturale troppo differente. Da ciò sorgono le analisi del marxismo occidentale, anticipate da Gramsci, volte a ritrovare delle strade diverse per la realizzazione e, dunque, lo sviluppo del marxismo, che hanno avuto esiti differenti. In taluni casi hanno condotto a nuove forme di revisionismo e di riformismo in altri, al contrario, hanno portato a rigettare come controproducenti nel proprio contesto alcune scelte realiste imposte dall’ambito sociale arretrato e sui generis in cui il marxismo si era affermato negli paesi dell’Urss.

Da un punto di vista più strettamente filosofico, il principale dibattito all’interno del marxismo si è svolto sul terreno della dialettica fra i sostenitori del materialismo-dialettico che si affermerà in Urss sino a divenire una dottrina di Stato - che ritengono vi siano alcune leggi generali dialettiche del movimento del reale, individuabili a priori a partire dalle riflessioni sulla filosofia della naturadi Engels, e che agiscono sia nell’ambito del mondo storico che naturale - e i rappresentanti del cosiddetto marxismo occidentale che ritenevano anche la dialettica un metodo valido di interpretazione del mondo storico e sociale sino a che sarà capace di evolvere insieme al proprio oggetto d’indagine. Un’altra differenza sostanziale fra le due tipologie di marxismo concerne il rapporto fra struttura e sovrastruttura: mentre nel marxismo sovietico prevarrà una concezione volta a sostenere la predominanza dell’elemento strutturale sul sovrastrutturale, funzionale anche a giustificare alcune discutibili scelte improntate al realismo politico, nel marxismo occidentale prevarrà una concezione volta a sostenere la relativa autonomia delle sovrastrutture e, quindi, a rivendicare il ruolo attivo della soggettività, generalmente intesa in senso collettivo quale classe sociale, come in grado di rivoluzionare le condizioni oggettive.

Contrasti fra teoria democratica e prassi autoritaria nel processo di transizione al socialismo

Il problema della dialettica fra i soviet, i consigli dei lavoratori e uno Stato in transizione al socialismo come l’Urss, fra il partito comunista quale partito guida e i sindacati e, più in generale, la società civile, restano uno dei principali problemi discussi all’interno del marxismo. Ciò era dovuto alle differenze molto accentuate fra una teoria sin troppo ambiziosa nel progetto di una società socialista diretta democraticamente dai consigli dei lavoratori e una prassi in cui il partito in Urss tendeva ad assumere un ruolo guida talmente accentuato, da oscurare le altre istituzioni del socialismo reale.

La difficoltà principale nella realizzazione storica della teoria marxista, antecedente alla prima esperienza di transizione al socialismo, era dovuta principalmente al fatto che l’accrescersi dei conflitti di classe all’interno della società socialista tendono a far prevalere la dittatura esercitata dal partito, quale avanguardia della classe, sulla partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione dello Stato mediante i Consigli. Il rischio principale – come hanno dimostrato diversi tentativi di realizzazione storica del precedente marxismo teorico nei paesi del “socialismo reale” – è che si tendeva a sospendere alcune garanzie della democrazia formale a causa dell’esigenza di contrastare la borghesia e le potenze imperialiste che tentavano in ogni modo di rovesciare la transizione al socialismo. In tal modo appariva sempre più remota la concreta realizzazione di forme di democrazia diretta che avrebbero dovuto caratterizzare il sistema sovietico. Tale contraddizione si verrà accentuando dopo la morte di Lenin, dal momento che lo stato di assedio e poi l’aggressione nazista contro la Russia sovietica, porteranno a una sostanziale fusione di partito e Stato, riducendo il potere dei consigli a una funzione sostanzialmente decorativa rispetto a una dittatura esercitata in nome del proletariato dal Comitato centrale.

I marxisti eterodossi

A partire da queste contraddizioni dagli anni Venti si è sviluppato un progetto di rinnovamento del marxismo, che è stato appunto generalmente denominato marxismo occidentale, che si è contrapposto a quello “ortodosso” di matrice sovietica. Il primo esponente di tale rinnovamento è considerato l’ungherese Lukács. Nel suo Storia e coscienza di classe (1923), uno dei testi marxisti più influenti sul dibattito filosofico del Novecento – per altro considerato l’opera fondativa del marxismo occidentale – Lukács ha inteso rifondare filosoficamente il marxismo sulla base del metodo dialettico di derivazione hegeliana.

Il marxismo ortodosso

La sconfitta della Rivoluzione in occidente e l’affermarsi in URSS della linea staliniana del “socialismo in un solo paese” ha portato progressivamente il marxismo sovietico a irrigidirsi in una dottrina di Stato, divenendo impermeabile agli stimoli che venivano dagli sviluppi più recenti della cultura e della scienza nei paesi a capitalismo avanzato. È lo stesso Stalin a dare un nome specifico a questa dottrina nella sua opera Materialismo dialettico e materialismo storico (1938), definendo il marxismo come “Dia-mat”, dalle lettere iniziali dell’espressione materialismo dialettico in russo: “Dialekticeskij materialzm”. Il marxismo, inteso come materialismo dialettico, diventa ufficialmente la scienza delle leggi che guidano i processi oggettivi della natura e della società: leggi indipendenti dalla volontà degli individui, che possono studiarle e conoscerle, ma non mutarle.

La genesi del “marxismo occidentale”

Nei paesi dell’Europa occidentale, a partire dagli anni venti, si sviluppa nel marxismo una linea d’indagine diversa sia da quella dominante fra gli intellettuali della Seconda internazionale, sia da quella ortodossa del Dia-mat, che tendeva a divenire dominante nell’età staliniana nella Terza internazionale. Per designare questa eterodossa e innovativa concezione del marxismo si è cominciato a parlare di “marxismo occidentale”, utilizzando un’espressione coniata dal filosofo francese Merleau-Ponty in un libro del 1957: Le avventure della dialettica. Anche perché con gli sviluppi più recenti della cultura e della scienza nei paesi a capitalismo avanzato doveva, contrariamente al pregiudiziale rifiuto ideologico da parte del marxismo ortodosso orientale, fare necessariamente i conti la riflessione marxista nei paesi occidentali. Perciò, nel confronto-scontro per l’egemonia con altre correnti del pensiero occidentale, per distinguere gli sviluppi del marxismo nei paesi a capitalismo avanzato dal materialismo dialettico (Dia-mat) sovietico, ha finito con l’affermarsi l’espressione: marxismo occidentale.

Di quest’ultimo, nel senso più lato del termine, fanno parte tanto gli esponenti dell’austro-marxismo, legati culturalmente e politicamente all’Internazionale socialista, quanto gli esponenti del marxismo rivoluzionario che, pur criticando anch’essi il Dia-mat, si opponevano da sinistra alla politica staliniana dell’Urss. Dunque, come ogni definizione anche quella di marxismo occidentale va considerata criticamente, poiché sotto tale etichetta si possono far rientrare correnti fra di loro anche molto diverse, che spesso hanno in comune unicamente l’ambito geografico e l’opposizione all’interpretazione del marxismo della Russia staliniana.

Con il termine marxismo occidentale rivoluzionario, più nello specifico, ci si riferisce ad alcuni pensatori che rifiutano il materialismo dialettico come interpretazione sia dei processi naturali che di quelli storico-sociali e che pongono al centro della loro interpretazione del marxismo la soggettività politica e la prassi rivoluzionaria come strumenti indispensabili alla trasformazione dell’esistente in opposizione al determinismo dominante nella Seconda Internazionale e in via di affermazione anche nella Terza. Come pareva dimostrare la Rivoluzione d’Ottobre, è la volontà agente il motore della storia, dal momento che la rottura si era prodotta nel paese più arretrato dal punto di vista dello sviluppo capitalistico e, quindi, meno indicato secondo la concezione economicista del marxismo dominante nella Seconda internazionale. D’altra parte i “marxisti occidentali” si distinguono dal materialismo dialettico sovietico in quanto la loro concezione del marxismo è maggiormente legata alla tradizione filosofica occidentale e al confronto-scontro con le differenti correnti del pensiero contemporaneo.

Dalla coscienza all’ontologia: la parabola del marxismo di Lukács

Il giovane Lukács

Il primo esponente del marxismo occidentale è considerato György Lukács (1885-1971). Nato a Budapest in Ungheria, allora parte dell’Impero austro-ungarico,  in una facoltosa famiglia di origine ebraica, dopo essersi laureato in giurisprudenza e filosofia, a partire dal 1909 approfondisce i propri studi in Germania. Porta così a termine la propria formazione seguendo in particolare, con l’amico Ernst Bloch, le lezioni del sociologo Simmel a Berlino, mentre a Heidelberg segue i filosofi neokantiani Rickert e Windelband. In seguito si lega a Max Weber, dal cui pensiero in questi anni è profondamente influenzato.

Gli scritti giovanili

Tra gli scritti premarxisti di Lukács occorre in particolare ricordare L’anima e le forme (1911) e Teoria del romanzo (1916), opere che risentono della filosofia della vita e dello storicismo tedesco, correnti filosofiche allora in voga. In questi scritti la riflessione sull’arte e la vita si intreccia sempre più con la filosofia della storia. Secondo il giovane Lukács l’opera d’arte da una parte esprime un determinato atteggiamento nei confronti della vita, dall’altra interviene sul suo caotico corso regolandolo mediante la forma. A differenza della scienza che, a parere del giovane Lukács, mirerebbe al contenuto, ovvero si occuperebbe dei fatti e delle loro connessioni e avrebbe, dunque, come principale oggetto d’indagine il mondo della natura, l’arte sarebbe caratterizzata dalla forma in quanto esprimerebbe essenzialmente le anime e i loro destini e avrebbe, dunque, come dominio la sfera dello spirito. In Teoria del romanzo (1916) Lukács affronta per la prima volta l’opera d’arte in una prospettiva storicistica di matrice hegeliana, che sarà posta al centro dei successivi sviluppi della sua teoria estetica.

31/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo
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