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La parabola dell’economia politica – Parte XXII: Sraffa e la critica alla teoria marshalliana

Piero Sraffa, economista esule antifascista in Inghilterra e amico di Gramsci, prima di dare alla luce la sua opera più nota demolisce la teoria marshalliana dei rendimenti decrescenti e crescenti e mostra il carattere irrealistico dell’ipotesi della concorrenza perfetta.


La parabola dell’economia politica – Parte XXII: Sraffa e la critica alla teoria marshalliana

Piero Sraffa (1898-1983) fu un economista italiano, figlio di un famoso docente di diritto commerciale, ebreo, che per anni dovette seguire nei suoi trasferimenti da ateneo ad ateneo. Gli studi universitari si sovrapposero al servizio militare e si conclusero nel 1920 con la tesi di laurea L’inflazione monetaria in Italia durante e dopo la guerra, relatore Luigi Einaudi. Nel 1919 frequentò l’Ordine Nuovo e conobbe Gramsci e altri dirigenti comunisti. Dopo avere avuto incarichi di rilievo nella pubblica amministrazione (direttore dell’ufficio provinciale del lavoro di Milano), vinse nel 1926 il concorso di professore ordinario presso l’Università di Cagliari. Ma, essendo antifascista ed ebreo, l’anno seguente, dopo la carcerazione di Gramsci e dopo le minacce di cui fu oggetto egli stesso, accettò di recarsi a Cambridge, in Inghilterra, invitatovi da Keynes che vi aveva conquistato una posizione di prestigio. Qui svolse attività di bibliotecario alla Marshall Library e intrattenne rapporti con molti economisti e filosofi, tenendo anche alcuni corsi universitari sulla teoria del valore e sui sistemi finanziari italiano e tedesco. 

Sraffa è conosciuto dai comunisti e dai cultori di storia anche come amico fraterno di Gramsci e come tramite fra lui e il PCd’I durante la carcerazione del grande dirigente e intellettuale comunista. 

Sul piano scientifico fu probabilmente il più profondo studioso di Ricardo delle cui opere complete curò una famosa edizione [1] con l’obiettivo di riproporre l’impostazione del grande economista classico che successivamente sarà ripreso da Marx, sia pure con forti elementi di rottura. La prefazione a questa edizione è considerata una pietra miliare del pensiero economico. 

La critica alla teoria marshalliana

Prima di mettere alla luce la sua più nota opera [2] Sraffa, non ancora trasferito a Cambridge, si mise in evidenza con alcuni suoi saggi, fra i quali è opportuno segnalarne un paio che espongono una critica penetrante alla teoria degli equilibri parziali di Alfred Marshall e in genere alla scuola neoclassica [3].

Secondo la teoria marginalista la curva di offerta di un’impresa, come abbiamo già visto, viene costruita a partire dai costi marginali crescenti al crescere della quantità prodotta. Marshall prende in considerazione sia la legge dei rendimenti decrescenti di breve periodo – quella che abbiamo esaminato trattando l’economia neoclassica – sia quella dei rendimenti crescenti, che infine quella dei rendimenti costanti. Per la validità della teoria marshalliana serve ipotizzare che ciascun operatore non possa aumentare l’impiego del fattore scarso o lo possa fare sostenendo un costo maggiorato, essendo tale fattore disponibile in una quantità fissa per tutti.

Nel primo dei due saggi Sraffa dimostra che i rendimenti decrescenti possono consentire di costruire la curva di offerta di un settore, aggregando quelle individuali delle singole imprese, solo in presenza di un’ipotesi restrittiva assai pesante che prevede l’esclusione dell’ipotesi che un’impresa possa procurarsi una quantità maggiore del fattore scarso a scapito di altri acquirenti produttori. Inoltre, di norma, in un regime di concorrenza, per il singolo imprenditore, è possibile acquistare sul mercato il fattore scarso senza incrementarne il costo, dato che l’incremento della sua domanda ha un peso infinitesimale nel mercato complessivo. Comunque, anche nell’improbabile caso che l’aumento della quantità prodotta richieda un aumento del fattore scarso tale da provocarne l’aumento di prezzo, visto che il fattore è utilizzato anche per produrre altre merci, tale aumento di prezzo si ripercuoterà sui prezzi di tutte le altre merci che necessitano del fattore scarso. Crescerà quindi anche il loro costo marginale in misura paragonabile alla merce presa in considerazione: alcune merci potrebbero avere un aumento del costo marginale maggiore, altre minore, in dipendenza dall’intensità di utilizzo del fattore scarso. In tal modo però lo spostamento del consumo dal bene rincarato agli altri non può che essere in misura ridotta, se non, addirittura, avvenire in senso inverso nel caso in cui la merce alternativa utilizza più intensamente della prima il fattore scarso. Viene così violata la condizione del ceteris paribus, che è alla base dell’analisi marshalliana degli equilibri parziali e che consiste nell’analizzare una singola variabile e gli effetti che essa produce nel sistema indipendentemente dalle altre, da considerare non affette da tale variabile. Tanto più che l’aumento del costo del fattore scarso orienta le imprese verso la modifica del mix di input, sostituendo il primo con uno o più fattori alternativi i quali, di conseguenza, potranno variare anch’essi di prezzo.

Anche il caso dei rendimenti crescenti comporta un problema rilevante. Infatti essi sono incompatibili con la libera concorrenza, se dovuti a economie di scala, comprese quelle dovute alla maggiore divisione del lavoro che l’accresciuta scala della produzione consente. In questo caso, infatti, all’impresa conviene ampliare la scala della produzione indefinitamente, fino a diventare, al limite, l’unica impresa del settore. Lo stesso Marshall se ne era reso conto e nei suoi Principles [4] limitò il regime di rendimenti crescenti all’unico caso in cui esistono economie esterne all’impresa determinate dalla sua accresciuta produzione. Ma tale situazione pare poco realistica in quanto, sempre per il carattere atomistico delle singole imprese, è improbabile che le modifiche della quantità prodotta dalle singole aziende, di entità trascurabile rispetto al complesso del sistema economico, determinino economie esterne apprezzabili.

Sraffa dimostra inoltre che nel caso dei rendimenti crescenti il costo marginale collettivo è inferiore a quello individuale e pertanto le singole imprese tenderanno a produrre una quantità inferiore a quella che sarebbe ottimale per l’insieme delle imprese del ramo. Il motivo è che ogni produttore espande la produzione fino al punto in cui l’incremento del valore del prodotto, il ricavo marginale, eguaglia l’incremento delle spese, il costo marginale. Però oltre questo punto ci sarebbe ancora la possibilità di produrre con un beneficio netto per l’intero sistema economico. Da questa divergenza fra i costi marginali individuale e collettivo Sraffa deduce che la concorrenza non può produrre il massimo benessere per la collettività

Infine Sraffa evidenzia che i rendimenti possono essere considerati crescenti o decrescenti a seconda del contesto che vogliamo analizzare. Se consideriamo il ramo industriale che utilizza il fattore scarso, troviamo i rendimenti decrescenti, mentre se ci occupiamo del ramo che produce quella determinata merce abbiamo rendimenti crescenti in virtù dell’incremento del suo prezzo. Se analizziamo il breve periodo, in cui non può essere aumentato il fattore scarso, abbiamo rendimenti decrescenti. Nel lungo periodo avremo invece rendimenti crescenti dovuti alle economie di scala.

Viste le condizioni ristrette necessarie per avere rendimenti crescenti o decrescenti, Sraffa considera quello dei rendimenti costanti il caso più frequente. Essi possono essere conseguenti sia al bilanciamento tra le cause che tendono a renderli decrescenti (scarsità di un fattore) e quelle che tendono a renderli crescenti (economia esterne), sia dall’assenza di entrambe. Se tutti i fattori produttivi sono impiegati da una moltitudine di imprese tra di loro indipendenti e in concorrenza perfetta, i rendimenti sono da considerare costanti.

Ma nel caso di tali rendimenti costanti i costi non variano al variare della quantità domandata e quindi le quantità offerte non crescono al crescere della domanda e viceversa. Se è assente questa relazione fra prezzi e quantità offerta, il prezzo non può essere determinato dall’incrocio fra la curva dell’offerta e quella della domanda e gravita prevalentemente intorno al costo di produzione. Quindi la domanda influenza la quantità prodotta ma solo marginalmente il prezzo. In questo modo viene ripristinato il paradigma dell’economia classica e di Ricardo in particolare. È alla luce di ciò che, in una controreplica a D.H. Robertson nel corso di un simposio, Sraffa conclude che “tale teoria [di Marshall] non può essere interpretata in modo da darle una coerenza logica interna, e in pari tempo da metterla d’accordo coi fatti che si propone di spiegare [...] la mia opinione è che si debba scartare la teoria di Marshall” [5].

Nel secondo dei due scritti inizialmente citati, Le leggi della produttività in regime di concorrenza, alle suddette critiche si aggiunge la constatazione dell’eccezionalità della concorrenza perfetta. Quest’ultima è caratterizzata da due aspetti: 1) la singola impresa non è in grado di incidere sul prezzo di mercato che quindi per essa è un dato; 2) ciascun produttore opera normalmente in regime di costi crescenti.

In realtà spesso le imprese, operando a costi individuali decrescenti , hanno interesse a espandere la loro produzione finché il mercato è in grado di assorbire il loro prodotto. È la domanda quindi, non il costo di produzione che determina i livelli produttivi. Considerato che ciò, lo abbiamo visto sopra, è incompatibile con la concorrenza perfetta, i casi di questo tipo debbono essere trattati con gli strumenti di analisi del monopolio. Ma tali casi sono anche i predominanti perché, nella realtà, la situazione di concorrenza perfetta è una rarissima eccezione. Il mercato di un certo settore è in realtà ripartito in più mercati individuali che costituiscono nicchie di monopolio, seppur ridotte, per le singole imprese dovute alla conoscenza personale, alla fiducia sulla qualità del prodotto, alle abitudini, alla vicinanza, alla possibilità di ottenere credito, a un marchio prestigioso, a strategie d’impresa ecc. In tali casi i compratori sono disposti a sostenere, in una misura variabile che determina il grado di monopolio, un costo maggiore delle merci senza rivolgersi a imprese concorrenti. In altri termini la domanda può essere più o meno elastica rispetto al prezzo. Vi sarà quindi una molteplicità di situazioni in cui si va da una elevata prossimità alla concorrenza perfetta a una elevata prossimità al monopolio. Ma in tutte queste sfumature di grigio che caratterizzano la concorrenza imperfetta, l’impresa può incidere in misura più o meno importante sul prezzo nel suo mercato particolare – lo sanno bene tutti gli imprenditori – e l’analisi della concorrenza perfetta non è adeguata a dare ragione della realtà.

 

Note:

[1] D. Ricardo, Works and correspondence, a cura di P. Sraffa, 10 voll., Cambridge 1951-1955 (l’11° volume è uscito postumo nel 1973 e contiene gli indici).

[2] P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1960.

[3] P. Sraffa, Sulle relazioni fra costo e quantità prodotta (1925) e Le leggi della produttività in regime di concorrenza (1926) entrambe in P. Sraffa, Saggi, a cura di P. Garegnani, Il Mulino, Bologna, 1986. 

[4] Alfred Marschall, Principi di economia, Utet, Torino, 1987.

[5] P. Sraffa, Intervento al Simposio su Rendimenti crescenti di scala e impresa rappresentativa, Economic Journal, marzo 1930, pubblicato in Sraffa, Saggi, cit, p. 101.

16/09/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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