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Riflessioni su Etica e Marxismo: Il socialismo e l’uomo a Cuba di Ernesto Che Guevara (parte 3)

La presenza di un’etica specifica nel marxismo è ricavabile dalla diversa concezione della società rispetto a quella propria del liberalismo


Riflessioni su Etica e Marxismo: Il socialismo e l’uomo a Cuba di Ernesto Che Guevara (parte 3)

Ho concluso la parte precedente mettendo in evidenza che Marx ed Engels assumono posizioni contraddittorie rispetto all’etica e alla morale.

A parere di Sánchez Vásquez, per non incagliarci in questa contraddizione dobbiamo abbandonare la lettura ortodossa-dogmatica dei due fondatori del marxismo e con essa l’idea che il loro pensiero si sia sviluppato in maniera lineare. Adottando questa prospettiva e sottolineando la non linearità della loro riflessione, potremo cogliere in esso la presenza di contraddizioni a cui, tuttavia, si può dar risposta sul piano complessivo delle loro opere e della loro attività rivoluzionaria.

Eravamo partiti da questa domanda: dobbiamo incorporare la morale come componente necessaria nella teoria e nella pratica di Marx? Domanda alla quale segue la successiva: quando ci poniamo la prima questione di quale Marx e di quale marxismo stiamo parlando? Sánchez Vásquez è convinto che non c’è un solo Marx, come non c’è un solo Platone, data la ricchezza del loro pensiero. Ciò è testimoniato, ad esempio, dalle polemiche tra coloro che distinguono tra Marx umanista e uno scientifico, tra un Marx ideologico e uno scientifico, un Marx freddo e uno caldo, un Marx determinista ed uno libertario e si potrebbe continuare.

Se, come si è detto, Marx è solo uno scienziato e scopritore di continenti teorici (storia), se il marxismo costituisce solo una nuova scienza, la morale non avrebbe in esso alcun posto. A questa conclusione giungevano Rudolf Hilferding e Karl Kautsky, per quali il marxismo costituiva una scienza positiva, essendo poi costretti a cercare fuori del marxismo l’etica, in particolare nella complessa riflessione kantiana. Anche Fidel Castro ha adottato la stessa concezione, richiamandosi però all’etica di José Martì, ritenuto l’autore intellettuale della Rivoluzione cubana.

Come si è detto, tale incompatibilità tra marxismo ed etica ricompare con l’antiumanesimo teorico di Althusser, per il quale l’etica è un prodotto dell’ideologia e non ha nulla a che fare con la scienza; nella concezione marxiana, quest’ultima impiega come categoria fondamentale i rapporti sociali di produzione e non la nozione astratta di Uomo, centrale nelle varie forme di moralismo religioso e democratico. La stessa contrapposizione è presente nel marxismo asettico e neutrale partorito dalla filosofia analitica anglosassone, che non apprezza la dialettica, ha una visione economicistica e si fonda sull’individualismo metodologico (v. più avanti).

Proseguendo il nostro discorso, tentiamo di individuare quale Marx - secondo Sánchez Vásquez – ci consente di superare la contraddizione tra etica e scienza prima evidenziata. Il filosofo ispano-messicano non ha dubbi: il Marx a cui dobbiamo richiamarci è quello che incontriamo al punto 11 delle celebri Tesi su Feuerbach, che non sempre sarebbe stato compreso dovutamente e che contiene a sua volta due tesi tra loro legate. In entrambe si parla del mondo, nel primo caso come oggetto di interpretazione, nel secondo come oggetto di trasformazione; impostazioni che indicano due modi diversi di relazionarsi con la realtà esterna e che si implicano reciprocamente: una relazione di tipo teorico ed una di tipo pratico. A differenza di quanto alcuni hanno sostenuto, Marx non nega necessità di interpretare il mondo come si limitano a fare i pragmatici e i tatticisti, i quali dimenticano i principi del marxismo e finiscono nell’opportunismo. Critica, tuttavia, coloro che si fermano all’interpretazione e che lasciano il mondo così com'è, senza avanzare all’azione. Ma nello stesso tempo pone l’accento sulla trasformazione della società, che però si potrà realizzare solo se il mondo lo abbiamo prima pensato e compreso. Egli concepisce l’attività rivoluzionaria come attività pratico-critica (Tesi prima), che abbraccia la dimensione oggettiva e quella soggettiva, quella pratica e quella critica in un intreccio indissolubile. Dato che le parole sono importanti, sottolineo che Marx non ha mai usato l’espressione “filosofia della prassi” che ha avuto un certo successo in tempi più vicini a noi.

Sulla base di queste osservazioni Sánchez Vásquez rifiuta sia il teoreticismo sia il pragmatismo, entrambi sterili se separati, e ribadisce: noi parliamo del Marx della tesi 11.

Questo marxismo costituisce una radicale critica dell’esistente, del capitalismo e dei suoi mali, presupponendo inevitabilmente certi valori che lo stesso capitalismo uccide e a cui si oppone con forza. Inoltre, questo marxismo progetta un tipo di società, dove questi valori (libertà, uguaglianza, autogoverno, autorealizzazione) debbono essere pienamente e concretamente realizzati e rispettati nella pratica politica quotidiana, cancellando così i mali del capitalismo. Si tratta di una forma sociale in cui l’uomo domina le sue stesse condizioni di esistenza, emancipandosi dalle necessità e dispiegando tutte le sue possibilità come il capitalismo incipiente aveva vagheggiato, ma non ha potuto concretare, perché avrebbe finito col negare la sua natura di classe. Inoltre, stanti gli ultimi esiti devastanti dello sviluppo capitalistico, da questo punto di vista il socialismo diventa necessario perché – come si è più volte ripetuto e come le ultime vicende mostrano – se non si giunge ad esso, la logica distruttiva del sistema sociale attuale imporrà una nuova feroce barbarie, le cui molteplici forme sono l’olocausto nucleare, il cataclisma ecologico, il sempre più drammatico impoverimento, le pestilenze di varia natura (V. S. George, Il Rapporto Lugano. La salvaguardia del capitalismo nel XXI secolo, Trieste 2000).

Inoltre, il socialismo appare anche una meta desiderabile, perché dovrebbe portare all’affermazione di valori storicamente superiori a quelli meramente economicistici e legati all’efficienza del capitalismo a vantaggio di tutta la società, oltre che costituire un obiettivo possibile, dato che ci sono in questo momento tutte le condizioni storiche e sociali oggettive sulle cui basi può essere costruito, evitando per di più un’ipotetica e malefica ristrutturazione dell’attuale sistema socio-economico, verso cui la classe politica internazionale si sta orientando. Purtroppo, tutto ciò non basta a questa impresa perché è indispensabile che gli uomini prendano coscienza e si organizzino in questa prospettiva, facendo propri anche quei valori morali inerenti alla nuova società da costruire. In questo senso, coscienza vuol dire sia capacità critica di analisi, consapevolezza del proprio ruolo storico, ma anche adozione di un progetto di società che sia espressione di una nuova etica, di una nuova visione morale, come ribadiva il Che evocando “l’uomo nuovo”.

Questa nuova etica, fortemente sentita dal Che come più avanti vedremo, scaturisce da uno specifico modo di intendere la vita sociale e la relazione tra individuo e società, lettura che è sicuramente di matrice hegeliana, ma che è stata anche utilizzata a fini conservatori da un pensatore importante come Émile Durkheim. Per quest’ultimo la società non è riconducibile al singolo individuo, dato che essa non deriva (come le coscienze individuali) dalla natura dell’essere organico-psichico isolato, ma dalla combinazione di individui di questo genere. In questo senso essa costituisce “un’individualità psichica di genere nuovo” (Les règles de la méthode sociologique, Parigi 1973, 103).

Vediamo di approfondire. Per quello che ho potuto capire nella nostra tradizione filosofica esistono due diverse concezioni di società, la prima già menzionata (l’individualismo metodologico e liberale), formulata dal commerciante di schiavi John Locke e ripresa dall’amabile Margaret Thatcher, concepisce la società come la somma degli individui, attribuendo a questi ultimi una serie di diritti pre-sociali, inerenti all’individuo stesso e per questo inalienabili; la seconda definibile con il termine “totalità”, o meglio collettivismo metodologico, presente già in Aristotele che poneva prima la polis e poi l’individuo, il quale solo nella prima può pienamente realizzarsi (V. S. Meikle, Essentialism in the Thought of Karl Marx, 1985). Essa può essere anche formulata tenendo conto della questione della relazione fra il tutto e le sue parti, motivo teorico che ritroviamo in molti settori scientifici, per esempio nelle varie forme di olismo sia naturalistiche che sociali.

Secondo questa concezione, basata su un assunto epistemologico ma al contempo su principi etico-politici opposti a quelli su cui poggia l’individualismo, l’individuo non è tale se non collocato in una collettività, di cui al contempo fa parte e a cui dà esistenza. Tale rapporto non deve essere inteso nel senso che l’individuo è schiacciato dal tutto (totalitarismo), ma nel senso che nel tutto riceve il suo pieno riconoscimento, accrescendo la sua libertà e sviluppandosi nella prospettiva onnilaterale nella misura in cui a questo processo partecipano anche i suoi pari.

Un significativo impulso a questa concezione è stato dato dallo studio comparativo dei diversi sistemi politici, dal quale si è ricavato che solo nella modernità e in Occidente, con la Rivoluzione francese, l’individuo si è liberato dalla pesante cappa che gettava su di lui la collettività. Ciò trova conferma nel fatto che alcuni paesi islamici si rifiutarono di firmare la Dichiarazione universale dei diritti nel 1948, proprio perché dimentica dei diritti della comunità. Marx era consapevole di questo processo quando affermava che l’uomo può isolarsi solo all’interno della società, ossia in un contesto che rende possibile il suo isolamento e l’acquisizione di una piena individualità. Per es. nella Critica del diritto statuale hegeliano scrive “L’attuale società civile è il compiuto principio dell’individualismo; l’esistenza individuale è lo scopo ultimo: attività, lavoro, contenuto sono solo mezzi”.

Ovviamente le due diverse concezioni di società comportano metodi di analisi e di interpretazione differenti. E da esse scaturiscono anche impostazioni etico-politiche differenti, perché, come sto cercando di mostrare conoscenza ed etica, non sono contrapposte: un certo modo di interpretare la realtà dà impulso ad un certo modo di agire su di essa. Come lo stesso Marx dimostra, la stessa economia politica classica affonda in uno strato etico-politico, che pone in primo piano l’individuo (in verità quello appartenente ad una certa classe), che fa della crescita individuale e sociale, della lotta per il predominio un valore, che ci è costato molto caro.

La concezione collettivista della società, ovviamente né totalitaria né corporativista, ci fa cogliere meglio l’importanza dell’etica per il marxismo, le cui analisi e le sue indicazioni – come si è detto – si diramano in due direzioni: conoscenza critica, pratica e progetto, basati sulla prima. Nel marxismo teorico troviamo una critica che non è immediatamente morale: pur potendolo, il capitalismo non offre tutti i beni necessari all’umanità, si basa sullo sfruttamento, il profitto si alimenta del lavoro non pagato. Pertanto, la riflessione di Marx smaschera i meccanismi attraverso i quali si generano le disuguaglianze sociali, le grandi differenze nell’accesso alla ricchezza, le ingiustizie sociali, le limitazioni alle libertà individuali e collettive; inoltre, porta alla luce i processi attraverso cui tratta queste ultime solo su un piano retorico e/o ideologico, riducendo di fatto ogni attività umana a merce, mettendo in risalto i milioni di vite che sacrifica con le guerre, con i suoi metodi economici, con le repressioni. Tale analisi critica mostra allo stesso tempo come questi processi ben sceverati sino alle radici implichino la negazione di tutti i valori umani corrispondenti, elaborati nel corso di una storia millenaria: la giustizia, la libertà non in senso generico ed astratto, la dignità, la vita.

A differenza delle concezioni moralistiche di varia natura tali valori non sono eterni (in particolare, come quelli delle morali speculative), ma frutto di un processo storico che ha il suo culmine nella società capitalistica, la quale tuttavia si trova nelle condizioni di non dare loro attuazione, perché se li prendesse sul serio sancirebbe la sua scomparsa (vedi precedenti parti I e II).

Ma se non si tratta di valori astratti e a-storici, quale è la loro radice concreta? Credo si possa dire che essi costituiscano lo sviluppo più alto della nostra millenaria civiltà, benché restino ancora lettera morta, e che magari avrebbero bisogno di un più serrato confronto con valori appartenenti ad altre civiltà. D’altra parte, essi sono gli stessi inerenti al progetto di una nuova società che dovrebbe sostituire quella capitalista. Sono i valori di una società in cui non c’è più lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in cui sono rispettate le libertà individuali e collettive, la dignità umana, in cui si combatte l’alienazione, in cui si persegue la giustizia redistributiva, distinguendo le due fasi (socialista e comunista), come fa Marx nella Critica al programma di Gotha.

Pertanto, nel marxismo l’etica è inerente al suo progetto di emancipazione sociale, ma allo stesso tempo essa è oggetto di riflessione e di interpretazione, tenendo in conto l’organizzazione e gli interessi delle diverse classi, che in essa si esprimono. Ne consegue che, se Sánchez Vásquez ha ragione, l’etica non è presa in considerazione dal marxismo solo come oggetto di conoscenza, ma anche come concezione normativa del comportamento umano in una nuova società, che ovviamente non sarà esente dai mali ineliminabili inerenti alla condizione umana.

Ritornando, dunque alle domande formulate all’inizio di questo breve scritto (c’è spazio per la morale e per l’etica nel marxismo?), ce la sentiamo di rispondere in maniera affermativa, ma dobbiamo precisare che esse giocano questo ruolo, solo se non lo si interpreta in senso determinista, scientista, oggettivista. L’analisi e il progetto marxiano debbono essere letti, tenendo conto anche della loro dimensione umanistica, che si dispiega in questi quattro momenti: critica dell’esistente, conoscenza della realtà da trasformare, progetto di emancipazione, vocazione pratico-critica, come si può ricavare dalla undicesima tesi su Feuerbach.

La nuova società, delineata da Marx nei Manoscritti del 1844, deve essere in sintonia con le caratteristiche dell’uomo come membro della specie umana, ossia di un individuo che si colloca al di sopra dei suoi bisogni immediati e più elementarmente vitali. In questa concezione, il cui richiamo evidente è a Kant, per il ventiseienne Marx l’uomo costituisce per l’uomo l’essere supremo; ne consegue che essa si ispira “all’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti nei quali egli è un essere degradato, asservito, abbandonato, spregevole”. Tuttavia, a ciò bisogna aggiungere ancora una volta che dall’opera complessiva di Marx non si ricava una nozione transtorica di specie umana, su cui si fonderebbe un’etica speculativa ed astratta, ma un “essenzialismo storicamente relativizzato” (Eagleton 1998: 115). Secondo quest’ultimo l’essenza umana è quella che si realizza pienamente nelle relazioni sociali di una società comunista, esistente allo stato di progetto, e che invece viene negata e degradata nella società capitalistica.

Bibliografia:

Durkheim É., Les règles de la méthode sociologique, 1973
Marx K., Manoscritti economico-filosofici del 1844, ( a cura di F. Andolfi e Giovanni Sgrò), 2018
Meikle S., Essentialism in Thought of K. Marx, 1985

17/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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