Capitalismo e complesso del denaro

A partire da una correzione apportata all’analisi weberiana delle origini calviniste del capitalismo, Brown mostra come, da un punto di vista psicanalitico, l’attuale sistema poggi sul complesso del denaro, che punta ad alimentare sé stesso  in maniera indeterminata a scapito del godimento umano.


Capitalismo e complesso del denaro

Notoriamente, stando alla concezione di Marx, il capitalismo si presenta come profondamente irrazionale [1]. Infatti egli mostra chiaramente come il capitalismo sia un sistema intrinsecamente contraddittorio (e da questo dipende la sua irrazionalità) in quanto in esso stesso risiedono gli elementi dialettici che lo possono disinnescare con lo svolgimento della storia. Possiamo quindi collocare il compimento della fase rivoluzionaria nel momento di massimo esacerbamento della contraddizione interna al sistema capitalistico.

Diametralmente opposte a quelle marxiane sono le considerazioni di Weber, per il quale il sistema capitalistico sarebbe anzi pienamente razionale [2]. L’analisi di Max Weber relativa alla genesi del capitalismo, che trae le proprie fondamenta dal Protestantesimo e dalla sua etica al contempo ascetica e laboriosa, giunge ad una rappresentazione del sistema di produzione di tipo capitalistico di carattere iper-razionale. La razionalità di questo sistema dipenderebbe inizialmente da esigenze di tipo morale e religioso; la confessione calvinista infatti, che si impernia sulla dottrina della predestinazione, prevede che gli uomini possano avere conferma del proprio destino di elezione o dannazione attraverso i frutti che produce il loro lavoro. Il Beruf diventa metodo di sanzione di ciò che Dio ha riservato a ciascun individuo nell’aldilà. Da un punto di vista pratico, i calvinisti seguivano una condotta ascetica che permettesse loro, conseguentemente, di massimizzare i prodotti della loro professione, attraverso il costante reinvestimento di ciò che guadagnavano e il trattenimento ascetico da qualsiasi forma edonistica di godimento del ricavato. In questo approccio possiamo già intravedere quello che sarebbe stato il successivo atteggiamento del capitalista, una volta che la dinamica dei protestanti fosse stata deprivata del suo supporto religioso e resa solamente una forma secolare. 

Weber insomma dipinge un quadro nel quale il capitalismo si configura come una forma di produzione volta a rendere possibile in maniera calcolata l’approvvigionamento di beni, realizzando la massima forma di razionalismo economico. Leggiamo dallo stesso L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo: 

“Ed è pure, naturalmente, una delle qualità fondamentali dell’economia privata capitalistica il fatto di essere razionalizzata sulla base di un calcolo rigorosamente contabile, di essere diretta sistematicamente e freddamente al successo economico a cui aspira, in antitesi al contadino che vive alla giornata, al tran-tran privilegiato del vecchio artigiano delle corporazioni e al capitalismo di avventura, orientato in vista delle possibilità politiche e della speculazione irrazionale.” (Weber, op. Cit., pag. 60)

Un autore che si confrontò sia con Marx che con Weber fu Norman O. Brown [3], lettore di Freud, ma chiaramente sin dalle prime pubblicazioni, anche marxista. Innanzitutto Brown evidenzia come Weber abbia omesso di evidenziare un elemento cruciale appartenente alla dottrina luterana, che consisteva nell’attesa dei fedeli di un riscatto ultraterreno a coronamento del loro sforzo terreno [4]; l’attesa di una redenzione sarebbe stata l’unico fattore che avrebbe permesso ai luterani di sopportare psicologicamente la fatica di condurre una vita ascetica in un mondo di tentazioni. L'originaria dottrina di Lutero (in questo travisata da Weber) interpretava il mondo come sottoposto al dominio del Diavolo, e per questa ragione la devozione degli uomini avrebbe dovuto essere rivolta ad una dimensione ultramondana. Il Protestantesimo però, con il trascorrere del tempo, disconobbe l’appartenenza di questo mondo all’imperio del Diavolo, ed anzi arrivò a ritenere, con la dottrina della predestinazione, che la buona riuscita delle azioni compiute dagli individui in terra potesse essere decisa da Dio; si giunse, in questo modo, ad uno stato di totale ambiguità su quale fosse il riferimento metafisico che avrebbe presieduto il divenire terreno. Insomma, il mondo resta regnum diaboli o il suo destino è deciso da Dio? Leggiamo da La vita contro la morte di Norman O. Brown: “Dal punto di vista della teologia protestante originaria, la deificazione del capitalismo e della vocazione è la deificazione del Diavolo, o almeno una completa confusione tra Dio e il Diavolo. Dal punto di vista della psicoanalisi, se il Diavolo è la Morte, e se il capitalismo è il Diavolo, l'alleanza del protestantesimo moderno con il capitalismo significa la sua completa resa all’istinto di morte.” (Brown, pag. 282)

Attualmente possiamo leggere questa metamorfosi dottrinale in forma metaforica (considerando come, ad ogni modo, le espressioni sovrastrutturali siano epifenomeno di fatti materiali). I calvinisti cioè veneravano degli eventi mondani che, stando alla dottrina luterana, sarebbero stati presieduti dal Diavolo. Analogamente, la dinamica che si sviluppò e di cui si appropriò il capitalismo era sì fondata sul calcolo, e la massimizzazione dei profitti, ma questo in forma morbosa, non certo con il fine di ottenere il benessere degli uomini.

Il parallelismo sviluppato da Brown fra l’archetipo del Diavolo e lo spirito del capitalismo riguarda in particolar modo tre caratteri del primo; sulla base della sua rappresentazione tradizionale, esso è signore degli inganni, dell’usura e padrone di tutte le tecniche. Egli sarebbe inoltre, ancora secondo Lutero, padre della pratica di commercio del denaro che stava allora ammorbando la Germania; per questo, psicologicamente, la brama e la fame di possesso non sono altro che una forma di schiavitù dell’uomo verso il Diavolo. Al contempo, la tensione del capitalismo a diventare padrone e ultimo possessore del mondo ricalca la pretesa del Diavolo di essere pari a Dio [5].

Insomma, secondo Brown la modernità non porta ad una liberazione dell’uomo dalla credenza di dipendere da potenze ultraterrene, ma al trasferimento nell’immanente e profano del sentimento religioso. In questo consiste il complesso del denaro, erede del complesso religioso [6].

Molteplici sono le critiche formulate da Brown al sistema di produzione capitalistico; il tratto a mio giudizio più profondamente abissale indicato da Brown sta nel fatto che l’economia moderna prevede una riproduzione del capitale infinita, la quale rende infinito anche il protrarsi del complesso del denaro (proprio perché su di esso si fonda)[7]. In secondo luogo, l’intendere il valore come lavoro implica che l’economia debba fondarsi su una coazione al lavoro, il quale diventa privo di un qualsiasi godimento ultimo, non permette all’uomo di raggiungere una propria redenzione, ed in questo si presenta come autopunizione [8].

Il Marx dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 in effetti metteva in luce il fatto che la costrizione dell’uomo nel sistema di produzione di tipo capitalistico lo spingesse all’alienazione, ad un’incapacità di metanalisi della propria condizione storica, ad una svalutazione del proprio corpo e riducesse i suoi impulsi alla sola ingordigia e aggressività. Quello che per i calvinisti era un morale ascetismo si traduce, nel sistema capitalistico, in una repressione dei desideri umani. 

Ciò che emerge dalle considerazioni di Brown, ritengo, è la puntualizzazione del fatto che Weber avesse commesso un errore nel ritenere che il capitalismo fosse un sistema razionale. Non solo, come già Marx indicò, non lo è strutturalmente, in quanto in sé contenente le condizioni per il proprio disinnesco, ma soprattutto esso si presenta come un sistema profondamente anti-umano. Quest'ultimo carattere può essere constatato a partire dai suoi aspetti nevrotici, freudianamente anali, e dal fatto che non è volto al raggiungimento della felicità umana come l’aristotelica economia, bensì ad una estensione illimitata del capitale stesso. In questo senso, l’irrazionalità del capitalismo sta nel fatto di costituire un sistema sociale, costitutivamente e paradossalmente antisociale, una forma storica del tutto incompatibile con la realizzazione del benessere umano (e questo indipendentemente dal fatto che si prenda a riferimento il capitalista che materialmente beneficia di questa forma socio-economica o il misero proletario; quest’ultimo è infatti alienato ed economicamente svantaggiato, ma il primo è nevrotico e del tutto incapace di intendere in quale modo possa realizzare la propria felicità). Inoltre, se consideriamo le valutazioni di molti pensatori (fra i quali annoveriamo anche Keynes, che mai si schierò apertamente contro il sistema capitalistico)[9], è la sovrabbondanza di beni (in senso crematistico) a generare la nevrosi umana. In effetti, anche dalle parole dello stesso Marx evinciamo una rappresentazione del capitalista come al contempo calcolatore e dannato, per cui egli è al contempo un tesaurizzatore razionale ed un Sisifo [10, 11]. La condanna di colui che non può affatto accontentarsi di ciò che accumula dipende per Marx dalla contraddittorietà intrinseca alla natura del denaro (la sua illimitatezza qualitativa e limitatezza quantitativa). 

La descrizione weberiana del sistema della gabbia d’acciaio, ad ogni modo, non arriva ad esaltare il sistema capitalistico per la sua sola razionalità interna (ancorché sia opinabile definire razionale il capitalismo). Lo stesso Weber, infatti, mostra come l’enfasi ossessiva rivolta all’organizzazione burocratica propria del suddetto sistema sia imperniata su un processo di spersonalizzazione degli individui, su una riduzione di qualsiasi attività umana a forma razionale. E questo, in ragione del fatto che ogni cosa deve concorrere ad alimentare il sistema del capitale. Insomma, ad uno sforzo ascetico chiesto quotidianamente all’essere umano, non corrisponde un finale godimento del lavoro (come inizialmente voleva anche l’etica calvinista, considerando ogni godimento del proprio prodotto uno spreco edonistico). Il travaglio degli individui è volto solo ad alimentare una struttura impersonale (che non a caso Weber nomina gabbia d’acciaio), il cui carattere deleterio consiste nell’incrocio di economia capitalistica e burocrazia. La razionalità cui Weber fa riferimento nella sua analisi è evidentemente un valore estrinseco alla realtà umana, costituendosi di calcolo e organizzazione. Anche Louis Dumont evidenzia come questo riferimento sia tutto extra-mondano (a conferma del fatto che la modernità non abbia affatto soppresso il complesso religioso) [12].

Recuperando la prospettiva psicanalitica di Brown, la radice psicologica di questo sistema fondato sul complesso del denaro risiede nell’istinto di morte (che si compone di senso di colpa, fantasie aggressive e paura di morire) [13]. Ed è proprio auspicandosi una finale vittoria dell’istinto alla vita [14] che Brown conclude il proprio saggio, la sua produzione complessivamente, in effetti, non è che un omaggio a Dioniso, allo spirito del gioco, [14] ed anche La vita contro la morte resta fedele a questa linea filosofica. 

“La resurrezione della carne è un'aspirazione sociale che concerne l'umanità nel suo complesso, e diventerà un problema politico concreto quando si chiederà agli statisti del mondo di dare felicità invece di potere, quando l'economia politica diventerà una scienza di valori d'uso invece che di valori di scambio, una scienza del godimento invece che della tesaurizzazione.” (Brown, pag. 396)

 

Note:

[1] Facciamo riferimento evidentemente alle grandi contraddizioni del sistema di produzione di tipo capitalistico indicate da Marx, vale a dire il fatto che esso comporti l’alienazione del lavoratore, le necessarie crisi di sovrapproduzione, il fenomeno della caduta tendenziale del saggio di profitto.

[2] Weber Max, Protestantesimo e Spirito del Capitalismo, a cura di Pietro Rossi, Edizioni di Comunità, Milano, 2002.

[3] Brown Norman O., La vita contro la morte, Il significato psicoanalitico della storia, a cura di Silvia Besana Giacomoni, Adelphi, Milano, 1964.

[4] “Il suo errore [di Weber] consiste nell'omettere la crocifissione dalla teologia della salvazione di Lutero. Il protestante si arrende alla propria vocazione come Cristo si arrese alla croce.” (Brown, pag. 281)

[5] “L'identificazione dello spirito del capitalismo con il Diavolo operata da Lutero si avvicina a questa tradizione del Diavolo in quanto Furfante. Per Lutero il Diavolo è il padre delle bugie, degli inganni, dei trucchi (List, Tüke, Schalkheit), è un ladro e un furfante. E, agli occhi di Lutero, l'usura è anch'essa chiaramente inganno, rapina e furto. Ma, come sempre, Lutero aggiorna la tradizione; la sua esperienza del nuovo spirito capitalistico e la sua concezione del Diavolo influiscono l'una sull'altra. Così Lutero pone l'accento sull'indaffarata irrequietezza del Diavolo (emsig, unruhig) e sulla sua padronanza di tutte le tecniche (Tausendkünstler) . E viceversa, la sua concezione del Diavolo come personificazione dell'istinto di morte regge la sua idea che l'usuraio è un assassino e che l'usura è una pestilenza che uccide la Germania”. (Brown, pag. 278)

[6] Brown, op. cit., pp. 301-02

[7] In estrema sintesi cerchiamo di contestualizzare questa affermazione. Brown si richiama ai complessi sessuali elencati da Freud, vale a dire quello genitale, quello anale e quello orale, tutti emergenti da specifiche fasi dello sviluppo infantile. La dinamica capitalistica e il complesso del denaro non sono che forme nevrotiche di carattere principalmente anale (ma non solo). Il complesso anale si svilupperebbe quando il bambino, una volta intrapresa una iniziale fase di distacco dalla madre, cominci a riconoscere la propria individualità e quindi la propria finitezza e mortalità; da ciò scaturisce la pretesa narcisistica del bambino di diventare padre di sé stesso, rivedendo nelle proprie feci la riprova della propria potenza (le feci sono ciò che al contempo appartiene al suo corpo, ma che lo eccedono in quanto egli le ha create). Per questo il saggio di Brown arriva numerose volte a ribadire il fatto che la bramosia che il capitalista ha nei riguardi del denaro dipenda dal carattere numinoso del denaro stesso, carattere che emerge dal fatto che intrinsecamente il denaro è privo di valore. Sia il bambino verso le feci che il capitalista verso il denaro, quindi, esercitano un meccanismo di proiezione che li fa sentire onnipotenti. Per maggiori delucidazioni, si rimanda al testo di Brown.

[7] Brown, op. cit., pag. 340.

[8] J.M Keynes, Essays in Persuasion, pp. 366-67.

[9] “Il tesaurizzatore è soltanto il capitalista ammattito, mentre invece il capitalista è il tesaurizzatore razionale” (Marx Karl, Il Capitale, Libro I, a cura di Maurice Dobb, trad. di Delio Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1980, pag. 186)

[10] “Questa contraddizione fra il limite quantitativo e l’illimitatezza qualitativa del denaro risospinge sempre il tesaurizzatore al lavoro di Sisifo dell'accumulazione.” (Ibidem, pag. 165)

[11] Brown, op. cit., pag. 362.

[12] “Si può contrapporre la partecipazione attiva di Calvino in Dio, alla partecipazione tradizionale, contemplativa, che è ancora presente in Lutero. Sembrerebbe che, invece di trovare in un altro mondo un rifugio che ci permetta di liberarci per quanto è possibile dalle imperfezioni di questo, avessimo noi stessi deciso di incarnare l’altro mondo agendo con determinazione su questo. Ed ecco – cosa sommamente importante – il modello dell’artificialismo moderno in generale [...]. Un valore che ha le sue radici nella nostra eterogeneità rispetto ad esso: l’identificazione della nostra volontà con la volontà di Dio (Descartes: “L’uomo si renderà signore e padrone della natura”). La volontà così applicata al mondo, il fine perseguito, il motivo o la molla profondi della volontà sono qualcosa di estraneo; in altre parole, sono extramondani.” (Dumont Louis, Saggi sull’individualismo, a cura di Michela Acquati, trad. di Carla Sborgi, Adelphi, Milano, 1993, pp. 80-81).

[13] Facciamo chiaramente riferimento alla dottrina freudiana che contrappone un istinto volto alla conservazione di sé e della specie, l’istinto di vita, ed uno volto all’aggressività, l’istinto di morte. 

[14] Anche il Marx dei Manoscritti fa riferimento numerose volte al lessico (quello del gioco e della resurrezione intesa come riappropriazione dell’uomo della propria natura) che poi verrà utilizzato da Brown. “Dunque la società è l’unità essenziale giunta al proprio compimento dell’uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura”. (Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di N. Bobbio, Rizzoli, pag. 113); “[...] i soli cinque sensi capaci di un godimento umano, quei sensi che si confermano come forze essenziali dell’uomo.” (Ibidem, pag. 119)

19/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Agnese Tonetto

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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