Diritti umani nella circolazione e dispotismo nella produzione

I diritti umani sono trasfigurati nel passaggio dalla sfera della circolazione alla sottostante sfera della produzione, per cui l’uguaglianza si riduce al primo diritto innato del capitale, cioè all’eguale grado di sfruttamento della forza-lavoro.


Diritti umani nella circolazione e dispotismo nella produzione

L’immediatezza dello scambio, domino di libertà ed eguaglianza, è in realtà un risultato mediato dalla più profonda antitesi fra produttore e condizioni della produzione a lui contrapposte quale capitale. Placatisi gli sconvolgimenti prodotti dalle grandi rivoluzioni borghesi, a partire da quella francese del 1789, i loro grandi ideali alla base dei diritti umani: uguaglianza, libertà e fraternità non devono porre in discussione la sicurezza di una proprietà molto particolare: quella dei mezzi di produzione e di sussistenza di cui sono privati un numero sempre crescente di uomini, ridotti a macchine bipedi e costretti a vendere l’unica cosa che gli resta, la forza lavoro, nelle peggiori condizioni sotto il costante ricatto della disoccupazione. Del resto la proprietà privata e la sua sicurezza sono gli altri fondamenti dei diritti umani proclamati dalla borghesia.

Il capitalismo sembra portatore della reale emancipazione degli individui, la libertà privilegio di sfere particolari nei precedenti assetti sociali pare universalizzarsi. Tuttavia tale universalità mistifica il fondamento sociale, il particolarismo su cui si fonda. Ognuno appare libero di espandere la propria intangibile proprietà su cui si fonda la libertà personale e, dunque, pensata in forma antagonistica all’universalità della cittadinanza. In tal modo la maggioranza degli individui resta proprietaria unicamente delle funzioni meramente riproduttive mentre ogni attività sociale è alienata al capitale.

La mano invisibile, che garantisce che l’utile particolare corrisponda al generale, ha quale fondamento reale lo scambio di una merce particolare che avviene solo apparentemente sulla base dei diritti umani: la forza-lavoro. Anche in questo caso nella sfera della circolazione capitalista e proletario scambiano merci di eguale valore, sono persone giuridiche libere, ognuna delle quali porta avanti il suo utile particolare sulla base dell’uguaglianza giuridica sancita dal contratto.

Il possessore del capitale compera sul mercato tutte le merci necessarie alla valorizzazione del proprio investimento, come materie prime, macchine, forza lavoro e le paga, mediamente, al loro prezzo intero. Il capitalista paga a chi si vede liberamente costretto a vendere la propria forza lavoro in media il suo valore (come qualsiasi altra merce), che corrisponde al valore delle merci necessarie alla sua riproduzione. Il valore d'uso che il possessore del capitale riceve, per parte sua, nello scambio, si mostra soltanto nel consumo reale, nel processo di consumo di quella merce peculiare che è la forza-lavoro.

Tuttavia, per comprendere come avviene il consumo di questa merce particolare, cioè la forza lavoro, che si compie – come nel caso di ogni altra merce – al di fuori della sfera della circolazione, si deve entrare nella sfera della produzione. Qui è possibile comprendere come produce e come è prodotto il capitale; si tratta, però, di una dimensione lontana da quella sfera della circolazione “rumorosa che sta alla superficie ed è accessibile a tutti gli sguardi” [1]. Si tratta ora di discendere nel laboratorio occulto della produzione “sulla cui soglia sta scritto: No admittance except on business e ai cui cancelli si arrestano anche la democrazia e i diritti innati dell’uomo.

Il che è immediatamente evidente quando “nel separarci da questa sfera della circolazione semplice, ossia dello scambio di merci, donde il liberoscambista vulgaris prende a prestito concezioni, concetti e norme per il suo giudizio sulla società del capitale e del lavoro salariato” [2], calandoci nelle segrete della produzione assistiamo immediatamente a una radicale metamorfosi della stessa “fisionomia delle nostre dramatis personae”. “L'antico possessore del denaro va avanti come capitalista, il possessore di forza-lavoro lo segue come suo lavoratore; l'uno sorridente con aria d'importanza e tutto affaccendato, l'altro timido, restio, come qualcuno che abbia portato al mercato la propria pelle e non abbia ormai da aspettarsi altro che la...conciatura” [3]. Nell’antro oscuro della produzione sarà finalmente possibile “svelare l'arcano della fattura del plusvalore”, che non poteva e non potrà che sfuggire sempre agli economisti borghesi. Il processo di consumo dalla forza-lavoro è allo stesso tempo processo di produzione di merce e di plusvalore. 

Così i diritti universali, innati sono trasfigurati nel passaggio dalla sfera della circolazione alla sottostante sfera della produzione, per cui l’uguaglianza si riduce al “primo diritto innato del capitale”, cioè “all’eguale grado di sfruttamento della forza-lavoro” [4]. L’appello a tale diritto diviene decisivo per il proletariato per preservare l’unica ricchezza di cui dispone, la prole, dalla “libertà del lavoro” cui si appellano i possessori dei mezzi di produzione e di sussistenza per tentare di impedire ogni limitazione giuridica alla durata del suo sfruttamento [5].

Dunque sebbene vi sia una differenza fra diritti dell'uomo e i diritti del cittadino, per cui i primi – in cui il termine uomo sta in realtà per borghese – sono indizio dell’alienazione dell’arbitrio individuale dalla comunità politica, mente i secondi (i diritti di cittadinanza) dipendono proprio dalla partecipazione dell’individuo a quest’ultima (nel senso della volontà generale di Rousseau), Marx nelle opere che abbiamo richiamato appare poco interessato a tale distinzione, in quanto a suo avviso nella società capitalista – dal punto di vista della struttura economica – i diritti del cittadino finiscono con l’essere essenzialmente una copertura ideologica (democratica) al diritto dell’uomo in quanto borghese, tipico della tradizione liberale.

La liberazione dell’industria e del commercio scioglie l’uomo dalla servitù politica del mondo feudale, ma anche dalla parvenza di legame universale che lo connetteva agli altri mediante le corporazioni. “Affinché il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona” [6]. Il libero mercato prevede l’eguaglianza giuridica dei contraenti. Per trasformare il suo denaro in capitale il possessore dei mezzi di produzione deve poter incontrare al mercato il proprietario di forza-lavoro, quale persona giuridica, libera nel duplice senso di essere proprietario a pieno titolo della propria merce forza-lavoro e di non poter disporre, senza alienarla, né dei mezzi di produzione, né dei mezzi di sussistenza. L’alienazione della propria forza-lavoro deve ricevere una determinazione temporale, pena il ricadere nel lavoro servile [7].

 

Note:

[1] Marx, Karl - Engels, Friedrich, Werke, Dietz Verlag, Berlin/DDR 1968, vol. XXIII, "Das Kapital", vol. I, Zweiter Abschnitt, p. 189; Marx, K., Il capitale, vol. I, tr. it. di Cantimori D., Editori Riuniti, Roma 1989, p. 208. Conviene citare per intero queste considerazioni davvero illuminanti di Marx: “la sfera della circolazione, ossia dello scambio di merci, entro i cui limiti si muovono la compera e la vendita della forza-lavoro, era in realtà un vero Eden dei diritti innati dell'uomo. Quivi regnano soltanto Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham.

Libertà! Poiché compratore e venditore d'una merce, per esempio della forza-lavoro, sono determinati solo dalla loro libera volontà. Stipulano il loro contratto come libere persone, giuridicamente pari. Il contratto è il risultato finale nel quale le loro volontà si danno una espressione giuridica comune.

Eguaglianza! Poiché essi entrano in rapporto reciproco soltanto come possessori di merci, e scambiano equivalente per equivalente. 

Proprietà! Poiché ognuno dispone soltanto del proprio.

Bentham! Poiché ognuno dei due ha a che fare solo con se stesso. L'unico potere che li mette l'uno accanto all'altro e che li mette in rapporto è quello del proprio utile, del loro vantaggio particolare, dei loro interessi privati. E appunto perché così ognuno si muove solo per sé e nessuno si muove per l'altro, tutti portano a compimento, per una armonia prestabilita delle cose, o sotto gli auspici d'una provvidenza onniscaltra, solo l'opera del loro reciproco vantaggio, dell’utile comune, dell'interesse generale” ibidem.

[2] Ivi, p. 209. Come faceva notare già a tal proposito il giovane Marx: “l’economia politica nasconde l’estraneazione insita nell’essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l’operaio (il lavoro) e la produzione” Marx, K., Manoscritti economico filosofici del 1844 a cura di Bobbio, Norberto, Giulio Einaudi editore, Torino 1968, pp. 73-74.

[3] Id., Il capitale, vol. I, cit, pp. 208-09.

[4] Ivi, p. 329.

[5] Come osserva acutamente a tal proposito Marx, con tutto il suo sarcasmo appassionato, “tutte le volte che la legge sulle fabbriche limita a sei ore il lavoro dei fanciulli in branche d’industria fino ad allora lasciate tranquille tornano a risuonare le lamentose grida dei fabbricanti: una parte dei genitori sottrae ora i fanciulli alla industria disciplinata per legge e li vende a quelle dove domina ancora la «libertà del lavoro», ossia dove fanciulli al di sotto dei tredici anni sono costretti a lavorare come adulti e dove quindi si possono anche vendere a prezzo più caro. Ma poiché il capitale è per natura un leveller [un livellatore, allusione al movimento puritano integrale con tendenze di Comunismo agrario nella rivoluzione di Cromwell], cioè pretende come proprio innato diritto dell’uomo l’eguaglianza delle condizioni di sfruttamento del lavoro in tutte le sfere della produzione, la limitazione legale del lavoro infantile in una branca dell’industria diventa causa della stessa limitazione nell’altra” ivi, pp. 440-41.

[6] Ivi, pp. 198-99.

[7] “Affinché il possessore della forza-lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona. Egli si incontra sul mercato con il possessore di denaro e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, di pari diritti, distinti solo per essere l'uno compratore, l'altro venditore, persone dunque giuridicamente eguali. La continuazione di questo rapporto esige che il proprietario della forza-lavoro la venda sempre e soltanto per un tempo determinato; poiché se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da libero in schiavo, da possessore di merce in merce. Il proprietario di forza-lavoro, quale persona, deve riferirsi costantemente alla propria forza-lavoro come a sua proprietà. La seconda condizione essenziale, affinché il possessore del denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, è che il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi, sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente. Affinché qualcuno venda merci distinte dalla propria forza-lavoro, deve, com'è ovvio, possedere mezzi di produzione, per esempio materie prime, strumenti di lavoro (…). Inoltre, ha bisogno di mezzi di sussistenza. Nessuno, neppure un musicista avvenirista, può campare dei prodotti avvenire, quindi neppure di valori d'uso la cui produzione è ancora incompleta; l'uomo è costretto ancora a consumare, giorno per giorno, prima di produrre e mentre produce, come il primo giorno della sua comparsa sulla scena della terra. Se i prodotti vengono prodotti come merci, debbono essere venduti dopo essere stati prodotti e possono soddisfare i bisogni del produttore soltanto dopo la vendita. Al tempo della produzione s'aggiunge il tempo necessario per la vendita. Dunque, per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero; libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità di libera persona, e che, d'altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro” ivi, pp. 198-202.

01/09/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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