Controtendenze alla caduta del tasso di profitto

Il non omogeneo sviluppo del modo di produzione capitalistico non è imputabile a cause contingenti, ma all’inconciliabile conflittualità insita nella #molteplicità dei suoi centri decisionali


Controtendenze alla caduta del tasso di profitto

Sottolineando l’andamento contraddittorio della legge della caduta tendenziale del tasso di profitto, Marx scrive: “poiché le stesse cause che fanno aumentare il saggio di plusvalore (anche il prolungamento della giornata lavorativa è un prodotto della grande industria), tendono a ridurre la forza lavorativa impiegata da un dato capitale, esse tendono egualmente a diminuire il saggio del profitto e a rallentare l’andamento di questa diminuzione” [1]. Lo scenario qui delineato è sostanzialmente questo: l’aumento della composizione organica nelle sfere più avanzate della produzione capitalistica, che dovrebbe comportare un’inarrestabile tendenza alla diminuzione del saggio del profitto, rende allo stesso tempo possibile un sostanziale aumento della quota parte di plusvalore estorta alle classi lavoratrici, finendo in tal modo, per contrastare questa stessa tendenza.

Si deve tenere presente, inoltre, che è lo stesso sviluppo della ricerca scientifica, sussunta in grado sempre maggiore alle necessità di valorizzazione del capitale, a consentire un progressivo aumento della composizione tecnica, che comporta necessariamente una progressiva diminuzione in valore e, quindi, in prezzo degli elementi che compongono il capitale fisso. “In breve, la stessa evoluzione, che porta all’aumento della massa del capitale costante rispetto al variabile, tende a far diminuire, in seguito alla crescente produttività del lavoro, il valore degli elementi che lo costituiscono ed impedisce di conseguenza che il valore del capitale costante si accresca nella stessa proporzione della sua massa materiale” [1].

Si arriva, così, a quella che può essere considerata la principale tra le cause antagoniste alla caduta tendenziale del tasso di profitto: lo sviluppo della produttività del lavoro, con il susseguente aumento della composizione organica, genera, per Marx, un inevitabile aumento della sovrappopolazione relativa [2].

Ciò risulta evidente non appena si prendano in considerazione i rami più avanzati dello sviluppo capitalistico, nei quali il progressivo incremento della componente fissa del capitale tende a liberare quote crescenti di popolazione operaia, unitamente alla corrispondente quota di capitale variabile anticipato. Ne consegue un sostanziale abbassamento del valore della forza lavoro occupata, sottoposta alla crescente pressione dell’esercito industriale di riserva [3]. Finisce, così, per essere proprio questa massa sempre crescente di popolazione messa in libertà a favorire le condizioni di un suo impiego, in quei rami della produzione [4] dove la composizione organica è più bassa. Sono dunque, i rami più arretrati, ad alto grado di sfruttamento, che tendono a compensare l’abbassamento del tasso di profitto nei rami più avanzati della produzione.

Per concludere si riporta qui un breve passo del quattordicesimo capitolo dove tutto ciò è così sintetizzato: “dalla sovrappopolazione relativa deriva da un lato a causa della diminuzione di costo e dell’aumento di massa degli operai disponibili o, licenziati [...] il prolungarsi in diversi rami produttivi della più o meno incompleta subordinazione del lavoro al capitale, la quale persiste più a lungo di quanto non lo comporti a prima vista il grado generale dello sviluppo” [5].

Come dallo stesso sviluppo si generi il suo opposto: il sottosviluppo

L’analisi svolta in questo paragrafo prenderà le mosse dalle conclusioni esposte da Marx nel decisivo quindicesimo capitolo. “Lo sviluppo delle forze produttive del lavoro procede molto inegualmente nei diversi rami industriali, non solo per quanto riguarda il grado di intensità, ma anche per quanto riguarda la sua direzione sovente opposta” [6].

L’accento viene posto proprio sul contraddittorio e dicotomico sviluppo del modo di produzione capitalistico nelle sue differenti sfere. Se lo sviluppo della produttività del lavoro è indice, nelle sfere poste all’avanguardia, di una flessione del saggio di profitto, da ciò non si possono trarre affrettate conclusioni riguardanti il capitale sociale complessivo. Poiché nelle sfere più arretrate tale aumento di produttività può tradursi nel suo opposto. “Ne consegue che la massa del profitto medio [...] dev’essere di molto inferiore a quello che sarebbe logico pensare in base allo sviluppo della forza produttiva nei rami industriali più progrediti” [7].

Sostanzialmente Marx mostra agli apologeti dello sviluppo capitalistico che se esso avesse portato allo sviluppo assoluto della produttività del lavoro, come essi pretendevano, e se tale processo fosse stato così unidirezionale esso avrebbe comportato l’inarrestabile caduta del tasso del profitto. Al contrario, per Marx, tale sviluppo è tutt’altro che lineare e univoco, ne deriva la necessità di scomporre il grado di composizione organica media (indicatore generale del livello di sviluppo), per poter distinguere al suo interno, di fronte a un polo più avanzato il persistere al polo opposto di una composizione organica decisamente inferiore alle attese. “Il fatto che lo sviluppo della forza produttiva nei diversi rami industriali si manifesta non solo in proporzioni molto diverse, ma spesso in direzione contraria, non è dovuto unicamente all’anarchia determinata dalla concorrenza o al particolare carattere del modo di produzione borghese; si ricollega anche alle condizioni naturali, che diminuiscono sovente il loro rendimento nella stessa misura in cui la produttività, in quanto dipende da condizioni sociali, aumenta” [8].

Marx sottolinea qui come il non omogeneo sviluppo del modo di produzione capitalistico non sia imputabile a cause contingenti, ma all’inconciliabile conflittualità insita nella molteplicità dei suoi centri decisionali, che rendono irrealizzabile uno sviluppo uniforme ed equilibrato. Non va però sottovalutato l’altro aspetto del problema evidenziato da Marx: la dicotomia dello sviluppo capitalistico non è imputabile esclusivamente ai limiti intrinseci al rapporto stesso di capitale. Entrano qui in azione, così, un insieme di limiti naturali, che risultano incompatibili, con lo sviluppo tendenzialmente infinito, della produttività, nell’ambito capitalistico di produzione. Evidentemente Marx intende riferirsi a quelle sfere produttive maggiormente legate alla terra, cioè a quelle particolari condizioni di produzione, che sebbene sussunte al rapporto di capitale, restano, tuttavia, non riproducibili capitalisticamente.

Si spiega così la difficoltà, quando non l’impossibilità, per tutte queste sfere, di poter raggiungere la composizione organica media. “Come conseguenza si hanno movimenti in senso contrario in queste diverse sfere produttive, ed al progresso da una parte corrisponde il regresso dall’altra” [9].

Nuovi orizzonti e possibili sviluppi

Con questo paragrafo si cercheranno di mettere in luce gli sviluppi possibili della problematica messa a punto da Marx in relazione alla caduta tendenziale del saggio di profitto. A questo scopo sarà necessario riferirsi ad alcune tematiche affrontate da Marx nei capitoli che seguono il capitolo del III libro de Il capitale, in cui il moro affronta tale problematica. Dati i limiti di spazio di questa analisi, ci si limiterà a trattare, tra i possibili sviluppi, quelli esclusivamente inerenti alla questione della rendita fondiaria, tema affrontato da Marx nella VI sezione di questo III libro de Il capitale [10]. “D’altro lato però sorgono nuove industrie, soprattutto per la produzione di beni di lusso, le quali si fondano proprio su quella popolazione relativa che si trova sovente disoccupata in seguito alla preponderanza del capitale costante in altri rami di produzione, poggiano a loro volta sulla preponderanza degli elementi del lavoro vivo e solo gradualmente percorrono la stessa evoluzione degli altri rami di produzione” [11]. 

Nel passo sopra riportato, Marx intende ancora evidenziare come la parte di popolazione operaia posta in sovrannumero nei settori più avanzati, favorisca il sorgere di nuove fabbriche, a bassa composizione organica e alto tasso di sfruttamento, occupate, nella maggior parte dei casi, nella produzione di quelle merci di lusso destinate al consumo improduttivo dei percettori di rendita fondiaria. A questo proposito si riporta un breve passo del capitolo quindici: “Ricardo e la sua scuola considerano veramente solo il profitto industriale, nel quale è compreso l’interesse. Ma anche il saggio della rendita fondiaria ha una tendenza a diminuire, nonostante la sua massa assoluta si accresca e possa accrescersi anche proporzionalmente più che il profitto industriale” [12]. Questo passo risulterà centrale per lo sviluppo ulteriore di questo III libro in quanto qui, l’analisi è ulteriormente complicata dal riferimento alla distribuzione secondaria. Il profitto, fino a ora supposto uguale al plusvalore si scinde in realtà in: profitto industriale, interesse e rendita fondiaria.

 

Note:

[1] Marx, Karl, Il capitale. Critica dell’economia politica [Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie], Editori Riuniti, Roma 1989, terzo libro, p. 286.

[2] Si veda il capitolo ventitreesimo del I libro de Il capitale in cui Marx critica la teoria malthusiana dell’aumento della popolazione in quanto è spiegata in base a un principio naturale e, quindi, non concernente lo storico modo capitalistico di produzione.

[3] Si può produrre in questo caso una riduzione del salario al di sotto del valore della forza lavoro, che si contrappone ulteriormente alla caduta del saggio del profitto. Cfr. Marx, Il Capitale, cit., libro III, p. 287.

[4] Senza voler qui considerare il capitale variabile così risparmiato, che si rende in questo modo utilizzabile proprio in quei settori a più bassa composizione organica.

[5] Ivi, III, p. 288.

[6] Ivi, III, p. 313.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, III, p. 314.

[9] Ibidem.

[10] Altri possibili sviluppi dovrebbero far riferimento alla VII sezione e alla problematica degli extraprofitti.

[11] Ivi, III, p. 288.

[12] Ivi, III, p. 294.

05/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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