Le ragioni della pace

L’irrazionalità, l’immoralità, l’ingiustizia della violenza, dell’oppressione dello sfruttamento, del classismo, del nazionalismo e della guerra versus la razionalità, l’eticità, la moralità, del dialogo, della solidarietà, della cooperazione, della pace, dell’internazionalismo e del comunismo.


Le ragioni della pace Credits: https://www.lacittafutura.it/editoriali/la-guerra-ucraina

Siamo talmente abituati all’esistenza, per quanto irrazionale, della guerra da considerarla normale, scontata, inevitabile, razionale e, persino, in diversi casi utile, giusta, vantaggiosa, imprescindibile. Certo, esistono diverse tipologie di guerra che vanno necessariamente distinte. Così già nella nostra Costituzione mentre si ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e, quindi, ogni forma di guerra di aggressione, si considera un dovere di ogni cittadino prendere parte a una guerra difensiva, nel malaugurato caso che il proprio paese venga invaso. Sono persino opposte le gloriose guerre di liberazione nazionale e le riprovevoli guerre imperialiste e colonialiste. La guerra di rapina è completamente diversa dalla guerra di resistenza, la guerra per gli interessi di pochi è opposta alla guerra di popolo. La guerra addirittura necessaria, a causa dell’inevitabile sviluppo in senso imperialista del modo di produzione capitalistico, può essere realmente arrestata esclusivamente dalla sua trasformazione in una guerra civile rivoluzionaria. Anche per questo motivo non ha senso, da un punto di vista marxista e comunista, definirsi pacifisti fino a che ci saranno potenze imperialiste. La pace infatti è del tutto inconciliabile con la fase imperialista del modo capitalistico di produzione. Infine, per contrastare la guerra di classe degli sfruttatori è indispensabile la guerra di classe degli sfruttati, che resta indispensabile sino a che ci sarà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Inoltre, come osservava già Hegel, sino a che ci saranno gli stati nazionali la guerra come modo per risolvere alcune contraddizioni e contrasti internazionali resterà indispensabile. Ogni stato nazionale è necessariamente sovrano, per cui non esiste nessun tribunale o legge superiore alla volontà della nazione, perciò teorizzare in tale situazione una pace perpetua o un diritto sovranazionale non è solo una utopia, ma perfino una distopia, come hanno ampiamente dimostrato alleanze storiche costituitesi a questo scopo, a partire dalla Santa Alleanza, tutte caratterizzate, non a caso, da un orientamento ideologico reazionario. Solo nella prospettiva internazionalista del comunismo è possibile, anzi necessario battersi per un mondo in cui la guerra possa essere, almeno in prospettiva, bandita effettivamente.

Detto e premesso tutto ciò non può che rimanere del tutto riprovevole la guerra in quanto tale da un punto di vista etico, morale, razionale, progressista e/o rivoluzionario. Del resto quantomeno dai tempi di Platone è evidentissimo il contrasto fra le persone etiche, morali e razionali e, perciò, progressiste che ritengono essenziale rivolvere ogni possibile contrasto fra gli uomini mediante il dialogo e il confronto dialettico, rispetto alle forze violente, brutali, reazionarie, irrazionali che ritengono, al contrario, necessario risolvere i contrasti fra uomini sulla base della violenza, della legge della giungla, l’unica legge realmente naturale.

Perciò tutti gli uomini effettivamente grandi, in quanto rivoluzionari, buoni e giusti, hanno sempre costantemente contrastato e criticato l’irrazionalità oltre alla immoralità della guerra in quanto tale. È, in effetti, inoppugnabile dal punto di vista razionale e, di conseguenza, anche assolutamente necessario in una prospettiva morale, sostenere e mostrare come la cooperazione e la solidarietà fra gli uomini sia indubbiamente e indiscutibilmente superiore a ogni forma di rapporto regolato dalla violenza e, quindi, dalla guerra. Ci si potrebbe e dovrebbe a questo punto domandare, dal momento che la guerra e la violenza con essa necessariamente connessa è indubbiamente immorale e irrazionale, contraria agli interessi del genere umano, per quale motivo le guerre restano una realtà indiscutibile e addirittura centrale nel nostro mondo presente e, persino, nel futuro più prossimo? Naturalmente sono lo sfruttamento e l’oppressione a rendere necessaria la violenza e di conseguenza la guerra. Perciò sino a che ci saranno società classiste, la pace rischia di essere una distopia, funzionale a consolidare il potere degli oppressori e degli sfruttatori. Non a caso colonialisti e imperialisti hanno sempre denunciato la violenza e la guerra delle forze della resistenza, dichiarandosi garanti della pace.

Dunque, sino a che ci saranno società divise in classi, in cui ci sono necessariamente contasti dovuti a interessi antagonisti, la violenza e la guerra rimarranno tragicamente indispensabili. Perciò è realmente contro la guerra e per la pace solo chi non solo si batte per l’emancipazione del genere umano, ma chi lotta per il comunismo quale unico modo per superare la divisione in classi della società, il classismo e la violenza.

D’altra parte, chi si batte contro l’emancipazione del genere umano, per la disemancipazione, cioè i reazionari, gli sfruttatori, gli oppressori, le classi dominanti e dirigenti non potranno che essere, al contrario, concettualmente guerrafondai. La pace che vogliono e cercano di imporre questi ultimi è necessaria per cercare di difendere i propri irrazionali privilegi, in quanto basati su dominio, sfruttamento e oppressione. Quindi a volere effettivamente una pace perpetua, cioè non una semplice tregua fra una guerra e l’altra, sono i comunisti, mentre i peggiori guerrafondai sono gli anticomunisti, in quanto di fatto impediscono di togliere e superare dialetticamente quegli ostacoli innanzitutto classisti e nazionalisti che impediscano che la pace sia altro di un cessate il fuoco fra uno scontro violento e il successivo.

Naturalmente sarebbe facile e addirittura ovvio obiettare che in realtà molti che si definivano comunisti hanno promosso guerre e soluzioni violente dei conflitti persino all’interno del movimento comunista, mentre ci sono moltissimi che, pur non essendo comunisti, si sono battuti e si battono contro la guerra e addirittura per la non violenza. Naturalmente il nostro ragionamento e la regola in qualche modo universale che ne abbiamo tratto non ha una validità sul piano empirico dell’esistente, ma esclusivamente sul piano razionale, ideale. Questo, come è evidente quantomeno già con Platone, vale per ogni ragionamento e regola universale, mentre ciò che semplicemente esiste, il meramente empirico non può che sottrarsi in qualche modo al piano razionale e universalistico del concetto, alla purezza dell’idea. Quest’ultima per realizzarsi, per dimostrarsi razionale deve necessariamente storicizzarsi ma, in tal modo, avrà sempre a che fare con l’altro da sé, con l’aspetto meramente esistente ed empirico che non può che resistere, in qualche modo, all’astuzia della ragione e all’universalismo degli ideali, della morale.

Se ne deve dunque dedurre che proprio perciò l’ideale non può mai essere reale, che i princìpi restano validi solo in astratto, che il potere non può che corrompere, che la volontà di potenza non può che rendere violento l’uomo? Perciò la pace perpetua è destinata a rimanere, sempre e comunque, solo quella dei cimiteri? Il comunismo è una utopia, cioè una società internazionalista, non classista, priva di sfruttamento non potrà mai realizzarsi? In tal caso il comunismo non potrebbe che assumere dei tratti distopici nel momento in cui si è cercato di realizzare storicamente tale utopia, in quanto l’ideale non può mai essere reale, se non violentando l’esistente, in modo peraltro vano?

In realtà sul piano esistente ed empirico della natura, come abbiamo visto ed è, del resto, incontrovertibile, l’unica legge che esiste è la legge del più forte, la legge della giungla, mediante la quale con la violenza e, in casi estremi, la guerra il più forte e potente si impone sul più debole. D’altra parte, tutta la storia non può che dimostrare come gli uomini proprio guardando alle idee, ai valori, agli ideali, alla ragione hanno introdotto tutto una serie di leggi e di universali che per quanto “artificiali”, astratti non possono che costituire quella che è stata a ragione definita come la seconda natura del genere umano. Proprio perché non si tratta di qualcosa di naturale, ma di ideale e di artificiale, la razionalità si è affermata perché qualcuno si è battuto in suo favore. Del resto, sono gli stessi classici del marxismo a dire che la lotta, il conflitto, persino la violenza sono le levatrici della storia, intendendo con tale termine la storia conosciuta fino a ora propria di società divise in classi e, dunque, classiste. D’altra parte i marxisti e comunisti – non nel senso empirico, ma ideale e razionale – si battono per far sì che tali vicende divengano una preistoria del genere umano, la cui storia effettiva inizierà esclusivamente quanto la seconda natura si sarà compiutamente sostituita alla prima. Dunque è solo con il comunismo che inizierà la vera e propria storia del genere umano, una storia non più naturale, ma “artificiale” e, dunque, ideale.

Ci si potrebbe, anzi dovrebbe, domandare perché ancora nel nostro mondo presente e anche in un futuro prossimo i comunisti, gli esseri razionali fautori della cooperazione e del dialogo, contrari alla violenza, siano necessariamente una minoranza. Perché, per quanto irrazionale, immorale anti-etica, la maggioranza ancora, di fatto – per quanto inconsapevolmente – finisce per consentire al prevalere delle soluzioni violente, fino alla guerra, delle controversie fra uomini, cioè fra esseri che dovrebbero, al contrario, dimostrarsi razionali, dunque solidali, tesi alla cooperazione e non allo scontro più o meno violento? Il problema è che in un mondo classista, dove domina l’oppressione, lo sfruttamento, la violenza e la guerra chi vi si oppone realmente e, dunque, razionalmente non può che essere perseguitato, in un modo o nell’altro. Del resto, “naturalmente” nessuno ha la vocazione al martirio. Non a caso in una società classista i comunisti restano i più perseguitati, discriminati, i più violentemente combattuti e repressi.

Come potrà una minoranza che non ha il potere, che è idealmente contraria alla violenza e alla guerra, avere ragione di chi ha il potere, è naturalmente violento e, in fondo, guerrafondaio, e riesce a godere, grazie all’egemonia, del consenso passivo e in parte anche attivo della maggioranza? La prima regola generale è che solo la lotta paga e, l’unica battaglia veramente persa è quella che non si è combattuta. La seconda regola è che, per quanto possiamo essere spaventati dallo scontro titanico con cui dovremmo fare i conti, chi lotta per difendere i propri ingiusti e irrazionali privilegi avrà certamente più paura.

 

24/08/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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