Una linea abbandonata, un bene pubblico inutilizzato

Una linea ferroviaria di grande bellezza per il territorio che attraversa e di grande importanza sociale per i collegamenti che consente, da oltre 40 anni resta un bene pubblico inutilizzato.


Una linea abbandonata, un bene pubblico inutilizzato

Una linea ferroviaria di grande bellezza per il territorio che attraversa e di grande importanza sociale per i collegamenti che consente, da oltre 40 anni resta un bene pubblico inutilizzato. Le tante richieste di riapertura si scontrano con l’eccessiva stima dei costi e lo scarso numero dei viaggiatori quotidiani. Che però sono pochi soltanto perché il trasporto su gomma viene continuamente incentivato: anche gli studenti devono viaggiare in pullman. 

di Claudio C.

Cristina gestisce insieme a Nicola un nuovo e amabile affittacamere nel borgo di Toppo. I suoi ospiti sono spesso viaggiatori in bicicletta, in moto o che vengano a fare parapendio e reputa che il treno possa essere usato per progetti turistici. “Traversio è un punto strategico e ci sono molti itinerari interessanti che si possono fare, magari legati al recupero delle tradizioni e degli usi locali. La crisi può divenire un’occasione per i giovani”. Conosce alcuni ragazzi che lavorano a Sacile e che prima si muovevano con la ferrovia ora invece sono costretti ad andare in auto perché il bus è inutile. Un sapore romantico ce lo concede la mamma quando ricorda di aver conosciuto suo marito proprio sul quel treno che oggi non passa più. Stefano venuto a prenderci ci accompagna in stazione, un abbraccio, un ringraziamento e un arrivederci ai prossimi giorni. 

Lasciato l’abitato ci rendiamo subito conto che si sta entrando nella parte più impervia della tratta. Un bosco rigoglioso ci circonda, poi all’improvviso un branco di 9 caprioli si affianca a noi, un avvistamento inusuale per dei cittadini che ci coglie impreparati ma anche divertiti. Attraversiamo il torrente Cosa e giungiamo in quella che fu la fermata di Castelnuovo, soppressa già dai primi anni duemila. Del vecchio casello che era presente qui se ne può solo immaginare la posizione, ricavandola dal tappeto di erba cresciuto su uno spazio regolare di forma rettangolare. L’immobile, danneggiato con il terremoto del 1976 che fece ingenti danni e vittime in questa regione, venne demolito poco dopo. Il luogo appare un angolo isolato abbandonato dal tempo che sorge fra alcune abitazioni private.

Il panorama non si discosta dal precedente, un ponte di altezza notevole con arcate di pilastri ma di cui non riusciamo a coglierne l’essenza, vegetazione sempre più consistente sulle rotaie ed alberi ai bordi che ci concedono un po’ di meritata ombra. Una tabella della velocità, che indica per i ranghi A e B il limite di 65 e 75 km/h, diviene l’occasione per confrontarci e trarre un primo bilancio. Lo stato dell’armamento appare nel complesso molto buono, le erbacce e gli arbusti coprono solo una piccolissima porzione, gli scambi sembrano efficienti e per velocità di 60 km/h, il livello tecnologico evidenzia investimenti effettuati negli ultimi decenni, tempo di percorrenza dell’intera tratta stimato in circa un’ora. Nel complesso crediamo che con pochi e semplici lavori di manutenzione delle squadre di RFI i treni possano tranquillamente e velocemente tornare a circolare. 

Tre corte gallerie dalle volte strette ma ben tenute, in cui ci concediamo delle lunghe e fresche pause, anticipano il nostro arrivo in quello che era il cervello e centro della linea. La stazione di Pinzano al Tagliamento lascia subito intendere che una volta era una località prestigiosa con almeno cinque binari attivi, uno scalo merci molto grande, un magazzino, un deposito locomotive con piattaforma girevole e torre dell’acqua. Il bivio per Casarsa si riesce ancora ad intravedere, affiora solo qualche traversa e pezzi di rotaia perché la vegetazione ha ripreso il suo corso riappropriandosi di una ferrovia su cui è stato dismesso il servizio fin dal lontano 1967. Una linea abbandonata che da oltre 40 anni resta un bene pubblico inutilizzato, occupata dalla natura e dall’edilizia, su cui sono stati elaborati diversi progetti ma mai realizzati, un ottimo esempio in negativo di quello che potrebbe accadere alla Sacile-Gemona se il treno non ritorna a percorrerla. La stazione conserva tuttora intatto il suo fascino nonostante i tanti depauperamenti perpetrati, restano solo due binari di cui uno tronco, il fabbricato viaggiatori e sede degli apparati tecnologici per il comando centralizzato del traffico appare invece in ottime condizioni e ben sigillato. Adiacente un edificio che dovrebbe contenere le cabine elettriche e forse gli spogliatoi degli operai della manutenzione dell’infrastruttura. Dal lato stradale qualcuno ha appeso sulla facciata dello stabile due fogli con delle poesie dedicate alla ferrovia pedemontana, un ultimo grido di soccorso contro una morte annunciata. 

Ci accorgiamo che il cippo chilometrico riporta la cifra di 29, i conti non ci tornano e solo dopo qualche ragionamento comprendiamo che questa è la progressiva della più antica Casarsa-Pinzano- Gemona. Il conteggio della distanza quindi ha continuato a mantenere quello legato a questa linea invece che proseguire con quello con origine Sacile, un paradosso tutto ferroviario. La vegetazione sulle rotaie comincia a farsi più consistente ed alta, è l’unico momento in cui siamo costretti ad avanzare con qualche difficoltà, poi imbocchiamo l’ultima e la più lunga delle gallerie. 400 metri di buio, diventano finalmente necessarie le torce che ci siamo portati, usciti la strada ricomincia ad esser pulita e di fronte i nostri occhi si manifestano i monti sopra Gemona. Dopo i ponti ad arcate ed in pietre e mattoni quello sull’Arzino è il primo fatto di travate in ferro. Un fascino irresistibile unito alla preoccupazione di poter cadere di sotto. I binari poggiano su traversoni in legno disposti in senso longitudinale e fissati su lamiere assicurate alle travi. L’acqua che scorre sotto di noi è di un azzurro limpido e chiaro ed un bel bagno è il meritato premio ai nostri sforzi.
La fermata di Forgaria-Bagni Anduins è costituita solamente da una piccola pensilina ed un ampio marciapiede ricoperto di erba, su cui una volta sorgeva lo stabile della stazione che venne distrutto dal terremoto. Fuori un’area attrezzata con tavoli e panche riporta l’indicazione di alcuni sentieri escursionistici. La strada ferrata si ributta in mezzo al bosco per un breve tratto prima di giungere nella fermata di Cornino nei pressi dell’omonimo lago e della riserva naturale, alle spalle il monte Prat. Anche questa come la precedente è essenzialmente composta da un marciapiede su cui si trova un gabbiotto in plastica con una panchina. A pochi metri il passaggio a livello, ci incamminiamo sull’asfalto perché siamo giunti a fine tappa. Entrambe le fermate si trovano nel territorio comunale di Forgaria e precisamente nelle frazioni di Flagogna e di Cornino, siamo così entrati nella provincia di Udine. 
Il comune conta circa 1900 abitanti con un’estensione in diverse frazioni ed una variazione altimetrica di circa 1000 metri. Oltre alla riserva naturale del lago può vantare grazie al progetto Grifone la presenza sulle sue alture di questo uccello rapace divenuto uno dei simboli della zona. Il sindaco ci invita nel suo ufficio per una chiacchierata.

“Riapriamola subito oppure chiudiamola e facciamoci una pista ciclabile. Bisogna prendere una decisione, non può fare la fine della Casarsa-Pinzano e divenire una linea morta, abbandonata” Ci parla del suo impegno in questa battaglia, delle lettere scritte, della richiesta fatta ad RFI per avere in comodato l’area dell’ex stazione di Forgaria per farci attività culturali e della disponibilità dell’amministrazione a tenere pulite le aree ferroviarie ricadenti nella propria competenza. Diverse le riunioni fra tutti i sindaci coinvolti ed uniti dal comune obiettivo della sua riapertura anche al fine della valorizzazione del territorio. Ci racconta di aver incontrato il presidente dell’associazione ferrovie turistiche italiane per raccogliere idee e suggerimenti nella speranza almeno di un riuso della pedemontana con questa finalità. “Anche io sono un camminatore e nell’ambito della giornata a spasso con il sindaco percorro a piedi un breve tratto di ferrovia e vederla così mi ferisce il cuore”. E’ pessimista circa la riapertura perchè i costi stimati sono eccessivi, i viaggiatori quotidiani sono pochi e poi il trasporto su gomma viene continuamente incentivato, ad esempio gli studenti vanno a Gemona in pullman. Eppure è convinto che se gli orari fossero adeguati alle esigenze e grazie anche ai molti festival ed eventi che si tengono ci sarebbe una possibilità, come ha dimostrato il riscontro positivo di manifestazioni culturali specifiche o della formula treno + bici. I progetti ci sono ed è pronto a scommetterci, “se avessi una littorina per tre domeniche sono sicuro che riuscirei a riempirla” . Poi si lascia andare a dei ricordi, “in gioventù lo prendevo per andare a Venezia o Gemona e sembrava di andare chissà dove. Il comune fu completamente distrutto dal terremoto ed i carri ferroviari vennero utilizzati per alloggiare i terremotati. Fin da piccolo ho una passione per il treno”. Scopriamo anche che queste furono terre di emigrazione di massa e che proprio la stazione di Forgaria-Bagni Anduins rappresentava uno dei terminali di queste partenze verso un futuro migliore in un paese estero. 

Enrico ci ha raggiunto da Pordenone anche oggi. Ci mostra con un certo orgoglio i box contenenti fotografie, articoli di giornale e documenti vari che parlano della Pedemontana del Friuli raccolti nel corso degli anni e che custodisce gelosamente. Una ricca documentazione di immagini d’epoca e rare, eventi a cui è stato chiamato ad intervenire, memorie o semplici notizie sulla storia e sul presente di questi 75 km di ferro che tanta attenzione stanno attirando. Vorremmo dedicare più premura a questo preziosissimo patrimonio ma la sua rapida parlantina è così coinvolgente che diviene irresistibile ascoltarlo. Ci racconta dei vari modelli delle automotrici che hanno circolato sulla tratta, della locomotiva a vapore 740 che percorse nel 1991 l’intero itinerario, dell’importanza dell’esistenza di una collegamento ferroviario durante il tragico terremoto che fornì un prezioso supporto logistico, infine una piccola lezione di storia. “L’origine di questa ferrovia è tutta militare”. Terminata poco prima del conflitto mondiale avrebbe dovuto costituire la difesa lungo la riva destra del Tagliamento in vista della possibile offensiva austro-ungarica. Durante la seconda guerra transitavano i treni con i prigionieri e nei pressi della caserma militare dell'Ossario di Pinzano, dove erano di stanza i nazisti, fu creata un’apposita fermata per il carico dei catturati ed il rifornimento alle truppe. Dal dopoguerra fino a pochi anni fa, considerato che in tutto l’arco pedemontano la presenza di caserme è stata notevole, era usata sia per il trasporto di attrezzature e materiali bellici che per quello dei militari. Enrico ci saluta e ci dà appuntamento a domani a Gemona, dove insieme ad Andrea, ci aspetteranno per darci il benvenuto al capolinea del nostro viaggio. 

 

 

 

 

 

16/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Claudio C.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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