Hegel, il cristianesimo e la Rivoluzione francese

La Rivoluzione Francese ha ricevuto un grande sostegno tra gli intellettuali tedeschi e in particolare tra i filosofi, che vi avevano visto la possibilità della realizzazione storica della categoria della universalità. Tale categoria da Kant a Hegel porterebbe in sé un pathos antifeudale, volto a spazzare via il particolarismo dominante nell’ancien règime.


Hegel, il cristianesimo e la Rivoluzione francese Credits: https://www.lasepolturadellaletteratura.it/hegel/

Hegel analizza diversi passi dei vangeli, per denunciarne il carattere puramente ideale, soggettivo, che ne ostacola la realizzazione intramondana: “«Se tu vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dà il tuo avere ai poveri» disse Cristo al giovane. Questa immagine della perfezione che Cristo avanza porta in se stessa la prova di quanto egli nel suo insegnamento avesse di mira solo la formazione e la perfezione del singolo uomo, e quanto poco esso si lasci estendere ad una grande società” [1]. In questo caso, paradossalmente, l’esigenza di distinguere tra la lettera e lo spirito del messaggio evangelico, non è più utilizzata da Hegel per sostenere un’interpretazione razionale, pura del cristianesimo contrapposta al suo positivizzarsi, ma per evitare ogni lettura volta a radicalizzare il conflitto tra messaggio del Cristo e realtà storico-oggettiva. In caso contrario si rischierebbe di entrare in rotta di collisione con un risultato fondamentale del progresso storico, lo Stato di diritto. “Così molti comandi di Cristo – scrive Hegel – sono in contrasto con i primi fondamenti della legislazione di una società civile, con i principi del diritto di proprietà, di legittima difesa ecc. Uno stato che volesse oggi introdurre nella sua legislazione i comandi di Cristo (ed avrebbe a che fare solo con i comandi esteriori, poiché lo spirito di essi non può essere comandato) si dissolverebbe ben presto” [2]. Ciò vale soprattutto nei confronti di certo primitivismo presente nella riforma protestante, che aveva portato, una volta condotta alle estreme conseguenze la pretesa di attenersi alla lettera dei testi sacri, ai tragici errori commessi dal calvinismo e dall’anabattismo [3]. Così lo stesso cristianesimo primitivo, tanto vagheggiato dai sostenitori della Riforma, è decisamente rifiutato come modello per l’epoca moderna. Osserva, a questo proposito, Hegel: “tutto va bene se si pensa che ciò è stato presentato come principio di una piccola comunità, di un piccolo borgo, ma si giunge a conseguenze assurde se viene in mente di estenderlo ad una popolazione maggiore; oppure, se una comunità si unifica, come i primi cristiani, in mezzo ad un altro popolo sotto una simile legge della comunanza dei beni, lo spirito di una tale legge è sparito proprio nel momento stesso della sua istituzione, che non soltanto induce con tale costrizione al piacere dell’occultamento (…), ma anche limita il beneficio di una tale distribuzione ai soli suoi membri, ai partecipanti ai suoi usi e ai suoi segni di riconoscimento, contraddicendo così lo spirito dell’amore per tutti gli uomini che estende le sue benedizioni ai circoncisi e agli incirconcisi, ai battezzati e ai non battezzati” [4].

Allo stesso modo, la nostalgia per l’antichità non spinge il giovane Hegel a mettere in dubbio il primato dell’universalismo della legge, di contro alle tradizioni positive su cui si fondano assetti istituzionali dispotici [5]. A dispetto della forte influenza di Rousseau o di Herder, l’umanità primitiva, più vicina all’immediatezza della natura, non appare a Hegel maggiormente conforme all’ideale razionale, in quanto non ancora in grado di elevarsi al di sopra dei bisogni empirici [6]. Del resto, alcune delle tesi più provocatorie di questi autori finiscono per incontrarsi con quelle elaborate dai critici della Rivoluzione Francese, che vedevano nel progressivo affermarsi dell’universalismo giuridico una violenza fatta alle tradizioni “naturali” dei popoli storici [7]. Al contrario per Hegel, già in questi anni, il rafforzarsi del fondamento giuridico dello Stato costituisce a tutti gli effetti un oggettivo baluardo di contro al dispotismo proprio del particolarismo feudale: “per quel che riguarda la costituzione statale e la legislazione, i popoli sentirono ben presto, non appena ingrandirono un poco, che si era abusato della loro fiducia infantile e limitarono con leggi determinate la cattiva o buona volontà dei loro potenti. Nelle religioni lo spirito infantile si è conservato più a lungo” [8].

Note:

[1] Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, pp. 121-22; id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 208.

[2] Ivi, p. 129; p. 217. Per cui Hegel sembra quasi giustificare l’odio delle classi dirigenti ebraiche contro la religione puramente soggettiva del Cristo che aveva preteso, sulla base dell’astrattezza dell’imperativo categorico, di rimettere in discussione lo stesso diritto costituito: “da tutto questo risulta chiaro che le dottrine e i principi di Gesù erano propriamente adatti solo alla formazione di persone singole ed erano a ciò rivolti” ibidem.

[3] A questo proposito, osserva Hegel: “i riformatori, che nei loro principi dottrinali seguendo i dettami del Nuovo Testamento, e che nelle loro istituzioni politiche cristiane volevano seguire la semplicità della chiesa primitiva (essi credevano infatti che senza queste istituzioni non potesse aver luogo l’osservanza della religione; non pensarono di contrapporre al potere dei principi un potere della chiesa come difesa della libertà di coscienza per controbilanciarlo; infatti sottomisero il cristianesimo al potere temporale), furono da tutto ciò portati a trascurare la differenza che vi è fra le istituzioni necessarie in una religione popolare dominante presso un popolo e le leggi private di una società parziale, di un club” ivi, p. 131; pp. 219-20.

[4] Ivi, pp. 129-130; p. 218.

[5] Come ricorda a questo proposito Bodei, Hegel ha sempre sostenuto la Rivoluzione francese, perché essa “ha smantellato «il vecchio edificio di iniquità» e dimostrato per la prima volta all’uomo come la realtà possa essere guidata dal pensiero e dal diritto” Bodei, Remo, Introduzione a Rosenkranz, Karl, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben [1844], tr. it. a cura di Bodei, Remo, La vita di Hegel, Vallecchi, Firenze 1966, p. IX.

[6] Anche in questo caso una concezione rousseauiana, quella dello stato di natura, è considerata da Hegel alla luce della sua trasformazione nella filosofia della storia kantiana, in cui diviene ideale proiettato nel futuro della realizzazione della natura razionale dell’uomo. Hegel tende allora a storicizzare l’ideale rousseauiano dell’originario, per cui le tematiche della pedagogia e del contratto sociale sono progressivamente ripensate a partire dall’analisi determinata di epoche storiche più o meno capaci di integrare il singolo nella totalità etica dello stato. Tale concezione è attestata anche nel giovane Schelling della Dissertatio pro Magistero, in cui si trova una partizione della filosofia della storia in tre epoche: quella della sensibilità, quella della lotta tra sensibilità e ragione e infine quella che segna il definitivo affermarsi della ragione, che costituisce la vera e propria età dell’oro.

[7] Su questa problematica cfr. Losurdo Domenico, L’ipocondria dell’impolitico. La critica di Hegel ieri e oggi, Milella, Lecce 2001, pp. 9-35 e pp. 467-513. A parere di Losurdo, la Rivoluzione Francese avrebbe ricevuto un grande sostegno tra gli intellettuali tedeschi e in particolare tra i filosofi, che vi avevano visto la possibilità della realizzazione storica della categoria della Allgemeinheit [universalità]. Tale categoria da Kant a Hegel porterebbe in sé un pathos antifeudale, volto a spazzare via il particolarismo dominante nell’ancien règime. Di ciò si erano ben presto resi conto i fautori della reazione, che la avevano messa al centro delle loro critiche in difesa delle libertà, ovvero dei privilegi particolari. Particolarmente importante da questo punto di vista è la figura di Burke, la cui critica della Rivoluzione Francese, presto tradotta in tedesco, sarà una delle fonti principali dei suoi avversari in Germania. Ad essa si richiameranno nella loro critica della Rivoluzione Francese tanto A. Müller, quanto F. Schlegel e von Haller. Per questi autori, come per Burke, la critica politica si lega alla critica ideologica, per cui a essere presi di mira sono sempre i principi astratti, universali a cui si contrappone la particolarità, lo storicamente positivo, il mito astorico ed organicistico della comunità e, infine, la critica della modernità. Certo questo richiamo dei conservatori tedeschi a Burke e al modello inglese è palesemente selettivo, restando fermo il rifiuto del costituzionalismo inglese e dell’economia politica.

[8] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 123; Scritti…, cit., p. 212. Questi tratti infantili sono riconducibili – in qualche modo – alla stessa fede che, come osserva Mirri, “tanto in Hegel quanto in Kant e in Fichte, è considerata solo come sorgente e forma essa stessa del pregiudizio, in quanto pretende di esimersi dall’esame critico dell’intelletto, come fondamento della positività della religione” Mirri, Edoardo, in Hegel, G.W.F., Scritti teologici giovanili, a cura di E. Mirri, Guida, Napoli, 1972, p. 37. E ancora, benché Mirri sembri sottovalutare le differenze tra l’illuminismo soggettivistico ed intellettualistico di Fichte e gli ultimi sviluppi del pensiero di Kant, “sua struttura è infatti la fede, che lo Hegel, sulla scia di una lunga tradizione intellettualistica culminante in Kant, pone in netta antitesi con la razionalità, quasi come una forma di pigrizia che impedisce il sorgere dell’attività riflessiva o che comunque la ottunde” ivi, p. 45.

29/12/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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