Il salario nominale e il salario reale

I lavoratori salariati sono costretti non solo a vendere la loro forza-lavoro, ma anche ad acquistare i beni di prima necessità contro tutti i princìpi che regolano il mercato, in quanto sono costretti dalla necessità ad acquistare e vendere e non possono fare leva sulla dialettica fra domanda e offerta.


Il salario nominale e il salario reale

Il salario nominale (la retribuzione monetaria della forza lavoro) tende sempre più a scostarsi dalla quantità di merci acquistabili mediante la busta-paga (salario reale), per la svalutazione del denaro cioè per la rivalutazione delle altre merci (inflazione) [1]. In particolare i beni di prima necessità tendono, a meno di una forte pressione politica sullo Stato borghese, a essere relativamente più elevati dei beni di lusso [2]. I lavoratori salariati sono, in effetti, costretti non solo a vendere la loro forza-lavoro, ma anche ad acquistare i beni di prima necessità contro tutti i princîpi che regolano il mercato, in quanto sono costretti dalla necessità ad acquistare e vendere e non possono fare leva sulla dialettica fra domanda e offerta. Come osserva Marx: “lo sfruttamento del lavoratore ricomincia ogni volta che egli baratta il prezzo, frutto del suo lavoro, con altre merci. Il droghiere, l’usuraio, il padrone di casa, tutti lo sfruttano ancora una volta” [3]. D’altra parte se lo sviluppo dei mezzi di produzione rende tendenzialmente le merci meno care e, quindi, sebbene in misura minore, gli stessi mezzi di sussistenza ciò consentirà al capitale di comprimere ulteriormente i salari, di modo che la parte necessaria a riprodurre i salari anticipati sia sempre più breve rispetto al pluslavoro generatore di plusvalore. Inoltre lo sviluppo dei mezzi di produzione abbassa il prezzo dei mezzi di sussistenza, ma aumenta la produzione di prodotti meno cari in quanto più scadenti (si pensi al fenomeno dei discount) [4].

Occorre, inoltre, considerare che nel momento in cui il capitalismo – nella sua fase matura, monopolistica – prende il completo controllo dello Stato e lo conforma alla sua forma imperialista, aumentano necessariamente gli apparati burocratici e di sicurezza (esercito all’estero, polizia all’interno), volti a salvaguardare gli assetti proprietari esistenti. Le crescenti spese dello Stato e gli interessi del debito verso il capitale finanziario, in tal modo vero controllore delle politiche economiche, comportano un aumento delle tasse che determina necessariamente una diminuzione del salario. In tali fasi anche le riduzioni delle imposte dirette portano a una diminuzione del salario, perché comportano una loro progressiva sostituzione con le imposte indirette, non più proporzionali, ai guadagni su voci che rientrano nel salario sociale quali i trasporti, l’istruzione, la spesa sanitaria ecc. [5].

Infine, oltre alla diminuzione assoluta del salario, cioè la minor quantità di merci con cui si scambia la forza-lavoro, vi è la diminuzione relativa, ovvero la diminuzione della quota di ricchezza generale prodotta di cui si appropriano i salariati rispetto a capitalisti e rentier [6]. In effetti, a ogni sviluppo della scienza applicato dalla tecnica alla produzione il lavoro necessario per riprodurre il capitale anticipato in salari si riduce, mentre aumenta in proporzione il pluslavoro e, dunque, il profitto [7] e il capitale tenderà ad aumentare la composizione organica, cioè l’investimento in macchinari piuttosto che in forza-lavoro [8]. Lo sviluppo delle forze produttive porta necessariamente a uno sviluppo del capitale e del profitto che favorisce la lotta per aumenti salariali. Lo sviluppo tecnologico consente un aumento salariale soprattutto per i lavoratori a più alta specializzazione, il che favorisce le divisioni interne alla classe, in quanto l’aumentata produttività del lavoro consente di ammortizzare i maggiori costi del capitale variabile su una quantità maggiore di merci prodotte [9]. Tuttavia affermare che è nell’interesse anche dei salariati l’aumento il più rapido possibile delle forze produttive del capitale, “significa soltanto che, quanto più rapidamente la classe operaia accresce e ingrossa la forza che le è nemica, la ricchezza che le è estranea e la domina, tanto più favorevoli sono le condizioni in cui le è permesso di lavorare a un nuovo accrescimento della ricchezza borghese, a un aumento del potere del capitale, contenta di forgiare essa stessa le catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sé” [10].

Tanto più che il capitale concederà tali aumenti in misura necessariamente inferiore all’aumento dei profitti aumentando l’abisso sociale che separa il padronato dalla razza degli sfruttati [11]. Se i salariati saranno in grado di soddisfare bisogni sociali, cui prima dovevano rinunziare, non potranno egualmente soddisfare la schiera dei nuovi bisogni più o meno indotti sorti con lo sviluppo sociale [12]. Essendo i bisogni dei lavoratori non solo quelli assoluti, legati alla mera sopravvivenza, ma anche quelli relativi allo sviluppo della società in cui si vive, il grado di insoddisfazione tenderà a aumentare proporzionalmente all’ampliarsi del divario fra le classi sociali [13].

Note:

[1] Come chiarisce Marx a proposito della differenza fra il salario nominale e il salario reale: “il prezzo in denaro della forza lavoro, il salario nominale, non coincide con il salario reale (in caso di variazione del valore del denaro ovvero di mutamento dei prezzi delle altre merci), cioè con la quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario. Quando parliamo, dunque, di aumento o diminuzione del salario, non dobbiamo tener presente soltanto il prezzo del lavoro in denaro, il salario nominale.” Marx, Karl, Il salario, Laboratorio politico, Napoli 1995, p. 43.

[2] Anzi, come osserva in modo ancora più radicale Marx, “tutte le merci divengono meno care – a eccezione dei generi di prima necessità” ivi, p. 67.

[3] Ivi, p. 68 e prosegue Marx, sviluppando il suo ragionamento: “per determinare il salario relativo, bisogna far presente che un tallero per un lavoratore e un tallero per un datore di lavoro non hanno lo stesso valore. Il lavoratore deve acquistare le merci di qualità peggiore e a un prezzo più caro. Con il suo tallero non acquista tante merci né altrettanto buone quante ne acquista il datore di lavoro. Obbligato ad essere dissipatore, il lavoratore deve acquistare e vendere contro tutti i princîpi economici.” Ibidem.

[4] “Se questo salario ha cominciato a far lavorare l’uomo per vivere, finisce per far vivere all’uomo una vita da macchina. La sua esistenza non ha altro valore che quello di una pura e semplice forza produttiva; e il capitalista lo tratta di conseguenza.” Ivi, p. 117.

[5] Pur se il lavoratore non ricava alcun guadagno dalla soppressione di una imposta diretta, in quanto la deve ripagare con più ingiuste gabelle indirette, ogni nuova imposizione – dovuta al crescente aumento degli oneri del bilancio dello Stato a causa della politica imperialista – lo pregiudica fin tanto che il minimo salariale non abbia raggiunto il suo livello più basso.

[6] Come chiarisce Engels, a proposito del salario relativo, esso: “esprime la parte del valore nuovamente creato che spetta al lavoro immediato, in confronto con la parte che spetta al lavoro accumulato, al capitale.” Ivi, p. 154 in nota. Dunque, tornando a Marx, “nel corso del suo svolgimento la riduzione del salario riveste un duplice aspetto; primo: riduzione relativa, misurata in rapporto allo sviluppo della ricchezza generale; secondo: riduzione assoluta, data la sempre minore quantità di merce che il lavoro riceve in cambio” ivi, p. 72.

[7] Quindi, a ogni nuova scoperta scientifica, a ogni perfezionamento tecnico, l’eccedenza del prodotto giornaliero estorto al lavoratore sul costo giornaliero della sua forza-lavoro aumenta. È questo il processo di impoverimento relativo che determina la perdita di capacità sociale di acquistare merci da parte delle classi subalterne, in rapporto all’accumulazione di capitale e all’arricchimento della borghesia.

[8] “Quella parte del capitale che è formata dal capitale fisso, macchine, materie prime, mezzi di produzione d’ogni genere, aumenta più rapidamente di quell’altra parte del capitale che viene investita in salari, cioè per comperare lavoro.” Id., Salario prezzo e profitto, Laboratorio politico, Napoli 1992, p. 86.

[9] In “tutti i paesi capitalistici avanzati, in cui lo sviluppo tecnologico ha obbligato a una maggiore retribuzione dei salari a lavoratori di più elevata qualificazione”, ha al contempo, paradossalmente, “consentito di frazionare i maggiori costi su una quantità maggiore di merci prodotte, grazie all’aumento di produttività del lavoro” ivi, p. 100, in nota.

[10] Id., Il salario, op. cit., p. 47.

[11] L’aumento della ricchezza prodotta dalla forza-lavoro salariata porta a una crescita del capitale e anche, ma non necessariamente, dei salari. Tuttavia, perché i frutti del lavoro sociale non sono equamente distribuiti – in massima parte al capitale, in minima parte, e non sempre, al salario – il divario sociale tra la classe dei capitalisti e la classe dei proletari aumenta.

[12] Per quanto concerne la diminuzione del salario relativo, osserva ancora Marx: “la situazione relativa per i lavoratori peggiora in rapporto a quella dei capitalisti, come anche il valore dei godimenti. I godimenti stessi non sono altro che godimenti sociali, relazioni, rapporti sociali.” Ivi, p. 66.

[13] La tragica condizione del proletario non va confusa con la povertà retributiva, ma ha a che fare con la condizione sociale in cui si trova relativamente agli altri membri o classi sociali. Essa è determinata dalla quota relativa e non assoluta di beni dell’intero ammontare sociale, in costante progressivo divaricarsi.

24/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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