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Apocalittici e integrati di Umberto Eco

Ricordo dello scrittore de Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault.


Apocalittici e integrati di Umberto Eco

Ricordo dello scrittore de Il nome della rosa e Il pendolo di Foucault, una vita dedicata alla cultura e alla comunicazione di massa, prediligendo gli studi di semiotica. Inizia con lui all’Università di Bologna la facoltà di Scienze della Comunicazione. Il saggio Apocalittici e integrati come strumento per annullare le distanze fra “alta” e “bassa cultura”. Il riferimento alla cultura popolare di Gramsci. Cultura e comunicazione di massa. La critica ai fruitori dei social network.

di Alba Vastano

Nello scrivere su Umberto Eco, rispolvero la sua biografia e i suoi testi più famosi, cercando di fermare nella memoria i punti salienti del suo pensiero. E mi perdo fra le pagine dei suoi romanzi più famosi, fra cui  Il nome della rosa, Il pendolo di Foucault, Apocalittici e integrati. Su quest’ultimo mi soffermo appositamente e a lungo. Occorrerebbe essere medievalisti, semiologi, saggisti, storici, linguisti e contemporaneamente teologi per scriverne propriamente e per interpretarlo correttamente. Non è sufficiente essere giornalisti.

Quello che avvince immediatamente  nelle sue opere è l’intuizione profonda, lo stile  e la profonda ironia con cui affrontava, specie negli ultimi romanzi, la “stupidità”. In particolare il tema del lettore ingenuo, sprovveduto e credulone, del consumatore di informazioni di massa che viene ben trattato nell’ultimo romanzo, edito nel 2015, Numero zero. Una storia incredibile di una redazione fittizia, creata per innescare la macchina del fango sul giornalismo di massa. 

A conclusione della struggente melodia “Folies d’Espagne”, le cui note ancora sovrastano il Castello Sforzesco di Milano, in occasione delle esequie laiche dell’illustre scrittore, forse sarebbe il caso di mettere a tacere le tastiere e casomai leggere, interpretare e studiare i suoi scritti, piuttosto che lanciarsi in pezzi mediocri e inappropriati. 

Per questo scrivere di Umberto Eco, l’illustre professore, semiologo, scrittore e filosofo, mi crea non poco sentimento di inadeguatezza. Sarebbe il caso, forse, che l’umiltà prevalga e la penna taccia questa volta. Non a caso, due illustri filosofi tedeschi, proprio in questi giorni, hanno negato l’intervista sullo scrittore ad un giornalista italiano: “Non siamo in grado di affrontare tutta la sua così vasta produzione”, riferiscono all’intervistatore mandandolo a casa. Tuttavia, pur ammettendo l’ignoranza sulla vastità del  suo pensiero e delle sue opere letterarie, mi sfido a scrivere  di questo grande intellettuale e ironico scrittore con la consapevolezza di camminare  su un terreno impervio e parzialmente sconosciuto.

L’uomo, il docente e il teorico della comunicazione di massa

Era del ’32 Umberto Eco. Una vita pienissima da ultraottantenne, tutta incentrata sulla cultura, alimentata da una mente fervida che spaziava su più campi. Dalla filosofia alla semiotica all’estetica medievale. Dal ‘61 al 2007 professore universitario in varie città italiane. Fra cui l’Università di Bologna, dove, oltre a presiedere la cattedra di semiotica, diede inizio al corso di Scienze della Comunicazione. E poi, in giro per gli States presso la New York University, la Columbia University, Harward e Yale, Cambridge, Oxford, fino alle università di  Rio de Janeiro e Sao Paulo. A portare agli studenti la sua filosofia e il suo pensiero sulla storia, sulla comunicazione e a impartire regole di semiotica.

Fu proprio la semiotica, la scienza che studia il codice dei segni nelle varie espressioni comunicative di tipo linguistico, visivo, gestuale, uno degli studi che prediligeva, in particolare quella riferita alla cultura popolare con massima attenzione ai mezzi di comunicazione di massa e a quanto questi possano influenzare la cultura. Scrive nel 1964 un saggio che vide molte edizioni, l’ultima nel 2013, sulle comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa. Con il titolo alquanto provocatorio esce nelle librerie, edito da Bompiani, Apocalittici e integrati, in cui l’autore spiega come la cultura Alta (gli apocalittici) abbia gli strumenti necessari per analizzare la cultura Bassa (gli integrati), secondo un presupposto evidente: “Tutte le cose sono egualmente degne di considerazione; Platone ed Elvis Presley appartengono allo stesso modo alla storia”. Enunciato che venne molto criticato perché identificato come il coronamento degli ideali  della cultura di massa.

L’autore, in realtà, aveva la sua tesi da proporre agli intellettuali. Essi avrebbero dovuto domandarsi, invece di prendere le distanze con la critica dalla cultura popolare, quali fossero le azioni più utili a veicolare nelle masse valori culturali “dal momento che  la presente situazione di una società industriale rende ineliminabile quel tipo di rapporto comunicativo noto come insieme dei mezzi di massa”.

E, a rendere più chiaro il concetto, spiega: “Non è utopistico pensare che un intervento culturale possa mutare la fisionomia di un fenomeno di questo genere. Pensiamo a cosa intendiamo oggi per industria editoriale. La fabbricazione di libri è diventata un fatto industriale, sottomesso a tutte le regole della produzione e del consumo. Di qui una serie di fenomeni negativi, come la produzione su comando, il consumo provocato artificiosamente, il mercato sostenuto con la creazione pubblicitaria di valori fittizi”.

Un tentativo nobile, quello di Eco, per contrastare la mercificazione della cultura, restituendola ai suoi originali valori e riproponendola alle masse, priva della contaminazione dei mercati. “L’industria dei mercati - scrive l’autore nel primo saggio del testo - si distingue in questo dall’industria dei dentifrici: che vi sono inseriti uomini di cultura, per i quali il fine primario non è la produzione di un libro da vendere, bensì la produzione di valori per la diffusione dei quali il libro appare lo strumento più comodo”. 

E demonizza i poteri economici  che smerciano libri di pseudo valore culturale per  ricavarne profitti. “Il problema della cultura di massa è proprio questo: oggi è manovrata da gruppi economici che perseguono fini di profitto e realizzata da esecutori specializzati nel fornire al committente ciò che ritiene più smerciabile, senza che si verifichi un massiccio intervento degli uomini di cultura nella produzione. L’atteggiamento degli uomini di cultura è proprio quello della protesta e del riserbo. E non vale dire  che l’intervento di un uomo di cultura nella produzione della cultura di massa si risolverebbe in un nobile quanto sfortunato gesto subito soffocato dalle leggi inesorabili del mercato”.

Pone anche un accento negativo su un’operazione  che modifica parzialmente il sistema culturale di massa con interventi paragonabili al riformismo in politica “come opposto all’atteggiamento rivoluzionario”. La cultura non ha bisogno di modifiche mirate a mantenere lo status quo e i valori culturali non si possono cristallizzare con il riformismo. Scrive ancora Eco: “In termini assai chiari se in una situazione di tensione sociale aumento le paghe agli operai di una fabbrica, può darsi che questa soluzione riformistica distolga gli operai dall’occupare lo stabilimento. Ma se a una comunità agricola di analfabeti insegno a leggere affinché siano in grado di leggere i miei proclami politici, nulla potrà impedire che questi uomini domani leggano anche i proclami altrui”.

Per questo, spiega Eco nel suo primo saggio contenuto in Apocalittici e integrati, è necessario che vi sia un intervento degli intellettuali nel campo delle comunicazioni di massa: “Il silenzio non è protesta, è complicità”. 

Come non associare il pensiero di Eco sulla cultura popolare a Gramsci, sia  ricordandolo nella sua famosa espressione apparsa l’11 febbraio del 1917 su La Città Futura: “Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che vivere vuol dire essere partigiani. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”. Sia per il suo particolare interesse al folklore non più come “bizzarria” ma come “cosa molto seria” che avrebbe permesso la nascita di una nuova cultura nelle grandi masse popolari, annullando le distanze fra la cultura degli intellettuali (gli Apocalittici?)  e la cultura degli umili (gli integrati?). 

Eco, la Tv e il web

Una buona porzione del saggio di Eco è dedicata  alla Tv, come strumento di cultura di massa tramite l’immagine. Così descrive il fenomeno dell’immagine tramite la televisione: “La Tv ci sta portando soltanto a una nuova civiltà della visione, come quella che vissero gli uomini del Medioevo di fronte ai portali della Cattedrale. Forse caricheremo i nuovi stimoli visivi di funzioni simboliche e ci avvieremo alla stabilizzazione di un linguaggio ideografico”; criticando così la manipolazione dei messaggi televisivi, prosegue dicendo che “dietro ogni regia del linguaggio per immagini c’è sempre stata una èlite di strateghi della cultura educati sul simbolo scritto e sulla nozione astratta. Una civiltà democratica si salverà solo se farà del linguaggio dell’immagine una provocazione alla riflessione critica, non un invito all’ipnosi”. 

Eco, negli ultimi anni, si accanì soprattutto contro il web. La comunicazione tramite la rete era per lui una spina nel fianco, perché la considerava la fine della cultura e la frequentazione assidua delle masse (si riferiva agli integrati) nei social network costituiva l’impedimento ad avvicinarsi ai valori culturali e l’impossibilità di costruire un pensiero critico e autonomo. Finiva per lui con il web la possibilità di mediare l’alta e la bassa cultura.

“Sui social network si dà diritto di parola a legioni di imbecilli”, così si espresse durante la cerimonia all’Università di Torino, durante la quale gli venne assegnata la laurea honoris causa in comunicazione. “La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. E invita anche i giornalisti “a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno”.  

Sollevò molte critiche questa sua affermazione, in particolare da Gianluca Nicoletti, giornalista della “Stampa”  che, in risposta a quanto affermato dallo scrittore, disse che “non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza” [1].

Umberto Eco non c’è più a bacchettare sia gli “apocalittici” che gli “integrati” ma, leggendo tra le righe dei suoi saggi sulla comunicazione  di massa e sulla cultura popolare, ad essere maggiormente responsabili del declino dei valori culturali sono gli Apocalittici, coloro che dall’alto della cultura, prevedendo costantemente il peggio non sono in grado di ribellarsi ai sistemi di mercato, ai poteri economici, e acconsentono  a che le cose vadano inesorabilmente “come devono andare”, nel modo peggiore, quindi. 

Di lui, di Eco ci resta un patrimonio culturale immenso, ci restano messaggi fondamentali per contrastare i poteri forti, il riformismo inutile e le politiche neoliberiste che stanno massacrando oltre che l’economia anche la cultura. È necessario contrastare queste politiche se si vuole che i valori culturali tornino a trionfare anche fra gli integrati. 

Buon viaggio Umberto.

 

Fonti

Apocalittici e integrati - Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, di Umberto Eco Edizioni Bompiani.

 

Note

[1] Su questo argomento potrebbe interessare anche un mio precedente articolo su questo giornale: Le insidie della hi-tech e dei social network. Eremitaggio, furto d’identità e disinformazione.

 

26/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alba Vastano

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi" (Karl Marx)


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