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Macron, il presidente voluto dalle banche d’affari

Tra i due invotabili al ballottaggio vince il capitalista-liberista appoggiato dalle banche europee.


Macron, il presidente voluto dalle banche d’affari Credits: http://www.slate.fr/story/144936/macron-banque

PARIGI. Già dal giorno dopo il ballottaggio tra i due candidati alla presidenza francese, elezione vinta da Macron che ha superato la Le Pen, si analizzano i dati dell’astensione – mai così elevata al ballottaggio – e delle schede bianche o annullate. Comunque è Macron il nuovo Presidente della Repubblica francese. Voluto dal sistema delle grandi banche d’affari e dalle società finanziarie, benvoluto dal capitalismo e dal liberismo europeo, non andrebbe considerato il male minore tra i due contendenti. Sia Macron sia la Le Pen rispondono a ideologie verso cui gli anti-capitalisti e gli anti-liberisti hanno il dovere di combattere. Analisti economici marxisti, qui a Parigi, non accettano il plauso che anche i socialisti hanno dedicato a Macron.

Va ricordato che analisti di Oddo BHF Asset Management hanno valutato la vittoria di Macron come evento favorevole ai mercati: i grandi investitori torneranno a valutare i fondamentali che per la Francia, ma anche per Eurolandia, migliorano: settore delle costruzioni in ripresa, una crescente fiducia delle imprese, una crescita del credito robusta e disoccupazione in pur leggero calo. Gli esperti, già il giorno dopo il risultato del voto, hanno preferito suggerire investimenti in azioni e in titoli a media e piccola capitalizzazione, quelli in grado di beneficiare di eventuale crescita più robusta del previsto nella zona Euro. Va fatta attenzione, invece, agli investimenti in bond a lunga scadenza, in particolare nei Bund tedeschi,: i bassi tassi d’interesse attuati sono stati dovuti all’afflusso di liquidità in cerca di un riparo sicuro prima delle elezioni francesi. Gli esperti di “State Street Global Advisors” dicono che potrebbe inoltre registrarsi un restringimento dello spread tra Oat francesi e Bund tedeschi, ma modesto a causa del debito pubblico e del potenziale per la sua riforma. Non va dimenticato che nel corso dei prossimi mesi ci saranno le elezioni in Inghilterra, in Germania e, perché no, in Italia, così il fascino del Bund si manterrà come quello del Franco svizzero e dello Yen in campo valutario. Ben diverso sarebbe stato il quadro disegnato dalla vittoria della Le Pen: al di là del tipo di politica economica che dipende in larga misura dal Parlamento, che sarà eletto tra l’11 e il 18 giugno prossimi e dove si pensa che il Front National si confermerà una piccola minoranza senza stabilire alleanze di governo, i mercati avrebbero potuto tremare e gli investitori rifugiarsi nell’oro in attesa di vedere gli sviluppi della situazione.

Però, se Le Pen avesse insistito sul proporre l’uscita dall’euro ricorrendo al referendum costituzionale, Parigi nell’euro e nella Ue non avrebbe corso rischio, ma aumento di incertezza che avrebbe portato alla crescita dello spread tra titoli di Stato francesi e Bund tedeschi inducendo un temporaneo alleggerimento delle posizioni di entrambi nella mani di investitori esteri. E’ certo che l’uscita della Francia dall’euro provocherebbe il più grande default sovrano della storia, intanto perché l’80% (emesso in base al diritto francese) dei 2100 miliardi di euro di debito pubblico francese sarebbe da ridenominare in franchi (un franco per un euro). La ridenominazione della valuta equivale a un default, senza alcun dubbio, come ha affermato Moritz Kraemer capo dei rating sovrani di Standard & Poor’s. Insomma vale la regola economica che se un debitore cambia i termini del contratto, compresa la valuta, dichiara default. Cambiare la valuta provoca la svalutazione del titolo in portafoglio e la conversione forzata in valuta nazionale porta alla svalutazione della nuova divisa nazionale. Il restante 20% è costituito da titoli regolamentati dal diritto internazionale e resterebbe pertanto denominato in euro.

La paura della Frexit ha agitato i mercati francesi, portando lo spread ai massimi dal 2014. Mentre si avvicinavano le elezioni e, un po’ meno, anche nelle settimane precedenti al ballottaggio la tensione è stata elevata: sia sui titoli di Stato francesi sia su quelli dei Paesi periferici come l’Italia, la Spagna e il Portogallo, che sono considerati i più vulnerabili in caso di rottura dell’euro. Non c’è stato grave allarme perché la scommessa è stata su Macron.

Anche il Movimento per la democrazia in Europa (DiEM25), fondato nel 2015 dall’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, ha fatto appello a “fare muro” contro l’estrema destra al turno di ballottaggio delle presidenziali francesi di domenica scorsa e a votare per Emmanuel Macron.

La scelta di sostenere il candidato dei poteri forti è naturalmente dovuta alla sua diretta competitrice, la leader dell’estrema destra Marine Le Pen. Anche per DiEM25, come per molti esponenti della sinistra francese, la priorità è stata tenere lontano dall’Eliseo la destra post-fascista.

Il sostegno al capitalista Macron è parso di facciata perché l’associazione di Varoufakis ha preso le distanze dal suo programma politico, definendolo “un pericolo per gli equilibri sociali”. Tutti rischi e potenziali arretramenti spinti in secondo piano dai pericoli reali posti dall’elezione della Le Pen.

DiEM25 ha sottolineato il successo in voti al primo turno del candidato progressista e anti-austerità Mélénchon.

13/05/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.slate.fr/story/144936/macron-banque

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L'Autore

Guido Capizzi
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