Un po’ come per la guerra in Ucraina, si sente spesso parlare di una politica suicida dell’Unione Europea nella trattativa sui dazi con gli Stati Uniti. Inizialmente si era provato, in modo un po’ sessista, a scaricare la colpa sull’imperizia di Ursula von der Leyen. Naturalmente non vogliamo in nessun modo rivalutare questa politicante aristocratica e militarista espressione della destra reazionaria e guerrafondaia. Ma come si è visto alla conclusione della partita sui dazi, nel secondo e conclusivo round la situazione non è affatto migliorata per l’Ue, a dimostrazione che non poteva trattarsi di un incidente di percorso imputabile a un singolo, per quanto autorevole. Anche in questo caso lo spiegare questa tragica vicenda con le tendenze masochiste dell’UE o con le porte girevoli, per cui i leader europei si venderebbero per avere un posto di rilievo nei grandi fondi di investimento statunitensi sono delle pseudo spiegazioni. Naturalmente anche in questo caso hanno certamente un fondo di verità, ma sarebbe da complottisti fare di questa parte di verità il tutto.
Pure in tal caso, come già riguardo alle posizioni prese sul vertice in Alaska, è evidente che un po' tutti (o quasi) i leader dell’Unione Europea temono una nuova Jalta, cioè che le due superpotenze mondiali si spartiscano il mondo in aree di influenza, tagliando fuori l’Ue. In effetti, il summit non aveva tanto o solo e nemmeno principalmente lo scopo di individuare una exit strategy per consentire agli Stati uniti sotto la presidenza Trump di non emergere come i principali sconfitti della guerra della Nato alla Russia per interposta Ucraina. Si è trattato di una logica monopolistica, per cui due dei paesi più importanti per la produzione di materie prime strategiche alimentari ed energetiche, hanno preso atto che un accordo che gli consentirebbe di fatto di fare cartello sia più utile a entrambe del precedente tentativo di resuscitare fuori tempo massimo la guerra fredda. Naturalmente questo potenziale accordo fra grandi produttori rischia di tagliare fuori i due maggiori consumatori, nonché alleati traditi: Ue e Repubblica popolare cinese. Ma mentre quest’ultima è stata in grado di tenere testa all’offensiva statunitense gettando sul piatto della bilancia le terre rare, di cui è decisamente il massimo produttore mondiale, l’Ue sembra aver accettato di acquistare il gas statunitense con un assegno in bianco. In effetti, l’Ue si è impegnata a spendere miliardi per acquistare il gas statunitense a prescindere dal prezzo, proprio nel momento in cui gli Usa si riavvicinano alla Russia per rideterminarlo a proprio vantaggio.
Per chi ragiona in senso intellettualistico, economicista, si tratta di una mossa decisamente masochista. A stupire negativamente è che tale interpretazione sia fatta propria da diversi analisti che in un modo o nell’altro pretenderebbero di rifarsi a Marx o al marxismo. In effetti l’economicismo non solo tradisce l’intento marxiano della critica dell’economia politica, ma pretende, esattamente come gli apologeti del capitalismo, di separare l’economia dalla politica. In tal modo si rinuncia anche al concetto fondamentale e indispensabile per comprendere criticamente l’attuale economia politica, cioè il concetto di imperialismo.
Quest’ultimo non può essere considerato una categoria puramente economica, in quanto presuppone necessariamente un sostrato politico-militare, ossia la capacità di difendere i capitali sovraprodotti in patria e, perciò, investiti all’estero.
Ora come dimostra in modo lampante l’imbarazzo in cui si trova l’Ue, quest’ultima rischia di apparire un generale senza esercito, in quanto non appare in grado in nessun modo di tenere testa da sola alla Russia sul piano politico-militare e, di conseguenza, economico.
Anche i capitali esportati dall’Ue all’estero senza l’aiuto statunitense sono decisamente più a rischio, senza contare che l’alleanza militare con gli Usa garantiva contro l’ipotesi stessa di una rivoluzione, dal momento che la determinatezza e la potenza militare statunitense appariva capace di stroncarla appena concepita.
Del resto la questione fondamentale del comando sulla forza lavoro acquistata, a partire dalla questione decisiva dell’orario e dei ritmi di lavoro, dipende fondamentalmente dai rapporti di forza fra le classi anche a livello internazionale. In questo caso un occidente diviso e privato del supporto della santa alleanza con gli Stati uniti, comporta una ridefinizione meno vantaggiosa dei rapporti di forza non solo verso i paesi sfruttati dall’imperialismo, ma anche verso le classi subalterne nel proprio paese.
Il fatto che l’Unione europea si lascia bullizzare da Trump dipende dal fatto che ha assolutamente bisogno dell’imperialismo guerrafondaio statunitense per poter svolgere la propria funzione imperialista sul piano internazionale e mantenere sotto botta i subalterni nella politica interna.
Siamo alla solita logica per cui la ricca borghesia, in questo caso dell’Unione europea, ha paura a ragione dei diseredati sia sul piano internazionale che nazionale, anche perché sa che non hanno nulla da perdere, nel ribellarsi, che le proprie catene, mentre lei rischia di perdere gli enormi privilegi di cui gode grazie allo sfruttamento e all’oppressione dei subalterni. Perciò delega le funzioni di polizia e di repressione dei subalterni a professionisti della violenza o legalizzata, i militari, o illegale, dagli squadristi agli squadroni della morte. La differenza non è poi così significativa, perché l’esercito per fare il lavoro sporco per la classe dominante non può farsi imbrigliare dalla legge e, quindi, tende a sviluppare vieppiù azioni illegali. Al contrario squadristi e squadroni della morte debbono essere progressivamente integrati negli apparati repressivi regolari dello Stato. Anche perché non si può mettere in discussione, per quanto per scopi reazionari, troppo a lungo il monopolio della violenza legalizzata dello Stato.
La questione è che tanto l’esercito quanto squadristi e squadroni della morte – quando comprenderanno quanto la classe dominante ha bisogno di loro e quanto il non prendere il potere sia rischioso dopo un uso così ampio e spudorato della violenza extralegale – tenderanno a prendere direttamente nelle loro mani il potere. Così la classe dominante finisce per divenire in qualche modo ostaggio delle forze del terrore bianco che ha suscitato, ma di cui ha finito per perdere il controllo.
Gli Stati uniti dimostrano ancora una volta la loro notevole capacità di rovesciare le alleanze repentinamente nel momento in cui gli appare utile. Tale virtù camaleontica che caratterizza un po’ tutta la storia degli Usa raggiunge un proprio apice con il governo repubblicano di destra radicale di Trump, che non ha nessun bisogno di mascherare ideologicamente la propria politica imperialista, come aveva fatto il governo democratico di Biden.
Al contrario l’Unione europea neanche in questa situazione pone in atto una ritorsione adeguata, cioè nel momento in cui gli Usa sconvolgendo le precedenti alleanze trovano un accordo con i Russi, di fatto contrario agli interessi dell’Ue e della Cina, i rappresentanti dell’Europa centro-occidentale portano avanti una politica, di fatto, sinofoba.
Come è noto, ma non perciò conosciuto, i rapporti fra potenze imperialiste seguono la logica dei fratelli coltelli. Sono fratelli nel combattere socialismo, antimperialismo, anticolonialismo etc., ma sono al contempo in una acerrima concorrenza che può trascendere in una lotta per la vita e per la morte nel momento in cui i paesi in crisi di sovrapproduzione si sono già spartiti il mondo in aree di influenza imperialista.
Se la logica dei fratelli coltelli è la regola, il modo di applicarla dipende dalla libera scelta politica di ogni paese. Ora, come è evidente, mentre il governo statunitense ha l’attitudine di fomentare i contrasti interimperialisti, ogni volta che gli pare utile, l’Unione europea preferisce, in questa fase, la politica del fronte unico imperialista contro chiunque osi resistergli sul piano internazionale.
Purtroppo diversi analisti di geopolitica, anche di sinistra radicale, non riescono a tenere fermo il concetto dei fratelli nemici e sviluppano delle interpretazioni e, di conseguenza, delle mosse politiche completamente schiacciate sulle apparenze empiriche. Così nei momenti in cui prevale la politica imperialista degli Stati uniti e alcuni paesi dell’Unione europea si rifiutano di seguirla, ecco giungere alla conclusione che esisterebbe un unico superimperialismo o impero, di contro al quale anche paesi in realtà decisamente imperialisti diverrebbero dei preziosi alleati. Mentre quando prevale l’accordo in funzione antimperialista ecco di nuovo la teoria del superimperialismo in questo caso occidentale a trazione statunitense. In ogni caso si evita, in modo inconsapevolmente opportunista, di denunciare le politiche imperialiste, in primo luogo, del proprio paese e, in secondo luogo, dell’Unione europea di cui l’Italia è parte.
Si badi bene di volta in volta può tornare utile individuare quale potenza imperialista è più pericolosa dal punto di vista internazionale, sino a trovare dei possibili accordi persino con le forze imperialiste che in quel momento, per i propri interessi, frenano le politiche più scopertamente guerrafondaie. Il punto è però quello di avere ben chiaro che fino a che ci sarà l’imperialismo ci saranno sempre, aperti o latenti, conflitti interimperialisti che l’internazionale degli oppressi dovrebbe poter sfruttare a proprio vantaggio. Questo è il compito dell’internazionale, che anche quando non esiste nella realtà deve sempre rimanere nell’ideale di ogni comunista, anche se sempre dialetticamente connessa con il compito, talvolta addirittura opposto, di contrastare in primo luogo il proprio imperialismo, in quanto la lotta di classe e la politica rivoluzionaria va declinata, in primis, sul piano nazionale.