Data la “sirianizzazione” della guerra (termine con il quale si indica una situazione in cui gli attori internazionali e i loro molteplici interessi si sovrappongono in uno stesso territorio, rendendo estremamente difficile il raggiungimento di un accordo), Trump ha spinto con forza verso una soluzione negoziale. Gli Stati Uniti d’America hanno spinto, nell’ultimo mese, per un accordo di pace nella guerra nata per interposta Ucraina tra la Federazione Russa e la NATO. Si era arrivati persino a delineare 28 punti come bozza di accordo di pace.
Secondo molti autorevoli opinionisti, Trump — che non è affatto un uomo di pace — si è trovato nella situazione contingente di dover trattare il più possibile con il nemico per evitare un’ulteriore avanzata e future rivendicazioni territoriali della Federazione Russa. Adesso sta vacillando l’ultimo sbocco dell’Ucraina sul mare: Odessa. Parlando con le persone si avverte una vaga sensazione diffusa: il giudizio negativo su Trump è generalizzato, cosa in parte comprensibile, mentre prevale una valutazione neutrale, se non addirittura positiva, dei leader europei, che difficilmente possono essere considerati moralmente superiori o “seduti alla destra del Signore”.
La bozza di pace, mai resa formale, ha diviso gli analisti tra chi vi leggeva una sconfitta della NATO e chi, al contrario, una sconfitta della Federazione Russa. Tale accordo, apparentemente bilanciato, non teneva conto degli interessi dell’Unione Europea, che infatti ha boicottato questo importante passo in avanti. Con il pretesto di “difendere l’Ucraina”, l’UE ha rivendicato punti che rappresentano in realtà la causa belli di questa disastrosa guerra, la quale ha prodotto — oltre a un numero enorme di vittime civili e militari — anche la perdita di territori ucraini.
L’imperialismo europeo ha bisogni, scopi e interessi che contrastano con l’imperialismo egemonico nordamericano e ha tutto l’interesse affinché la guerra non cessi, o quantomeno affinché vengano riconosciuti i propri interessi e la propria parte del bottino ucraino.
Le ragioni principali dell’imperialismo europeo sono, innanzitutto, il fatto di non aver ancora esaurito le scorte militari che riempivano i magazzini e ostacolavano la produzione di nuovi armamenti più tecnologici. Questo consente di ridare linfa vitale all’industria delle armi, che oggi rappresenta uno dei pochi settori industriali in crescita. Ciò significa aumentare la spesa militare e, in assenza di una produzione sufficiente, acquistare armi da altri Paesi, in primis dagli Stati Uniti.
In secondo luogo, il territorio ucraino — con le sue importanti risorse, produzioni e terre — rappresenta per il capitalismo europeo in declino una delle poche possibilità di aprire e conquistare nuovi mercati. Gli Stati Uniti, imponendo dazi agli europei, li spingono ulteriormente nella crisi: mancano sbocchi commerciali, aumentano le merci invendute e si aggrava la crisi di sovrapproduzione. Gli USA hanno alimentato, se non causato, lo scoppio della guerra con l’espansione degli avamposti NATO nell’Europa orientale; adesso l’intenzione è lasciare la patata bollente all’Unione Europea per potersi occupare di altre situazioni, principalmente in America Latina considerata il proprio cortile di casa. Gli Stati Uniti hanno avviato una politica da corsari, saccheggiando il petrolio venezuelano insieme alle petroliere e agli equipaggi di bordo. Tale pratica si sta verificando principalmente contro la Rivoluzione Bolivariana, ma anche in altre zone, dove le petroliere vengono prese di mira. Data quindi la necessità di concentrarsi su altri teatri geopolitici e vendere al triplo del prezzo il gas statunitense, ora gli USA stanno lasciando sola l’Unione Europea a proseguire la guerra, vendendole le proprie armi e rompendo così un’alleanza fondamentale che l’Europa, soprattutto Germania e Italia per lo sviluppo delle forze produttive, aveva instaurato in passato con la Federazione Russa, come quella energetica per la fornitura di gas russo.
La Germania è in crisi, con un’economia sempre più orientata alla riconversione militare e industriale nel settore bellico. Sappiamo bene che quando la Germania entra in crisi e si riarma, le conseguenze possono essere gravi. Non potendo espandere ulteriormente la propria sfera di egemonia a Ovest, viene spinta sempre più a guardare verso Est.
Questi concetti emergono chiaramente anche nell’importante discorso tenuto dal Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, che ha dichiarato: “Permane l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa”.
È bene ricordare che Sergio Mattarella, prima di diventare Presidente della Repubblica, ha ricoperto numerosi ruoli politici di grande rilievo: proveniente dalla Democrazia Cristiana, tra i fondatori del Partito Democratico, è stato anche ministro durante l’aggressione della NATO alla Serbia, un intervento che ha violato il diritto internazionale e ha ridefinito per primo i confini in Europa.
Il fatto che gli Stati Uniti intendano arrivare rapidamente al bottino nella zona ucraina è legato alla necessità di disinvestire quanto prima dalle risorse militari impiegate, per spostarle verso territori considerati più redditizi. In questo contesto si inserisce il discorso di Trump del 18 dicembre.
Proprio durante lo scambio di auguri di fine anno rivolto alle alte cariche dello Stato, Sergio Mattarella ha affermato: “La spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva è sempre stata comprensibilmente poco popolare”.
Insomma, Sergio Mattarella non si trattiene nemmeno a fine anno. “Dobbiamo sviluppare e implementare nuove capacità per poter combattere una moderna guerra ibrida”, ha dichiarato invece Ursula von der Leyen.
Il fatto che oggi si assista a forme di repressione nei confronti di intellettuali e posizioni liberali — a colpi di denunce, querele e sanzioni — è particolarmente inquietante, soprattutto se si considera che il nemico principale è stato indicato apertamente anche durante la festa di Atreju, al grido di “chi non salta comunista è”. Emblematico è il caso di Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, colpita da sanzioni personali imposte dagli Stati Uniti nel luglio 2025.
Basta fare una semplice ricerca per imbattersi nelle numerose dichiarazioni sconnesse dei principali leader europei, spesso apertamente guerrafondaie e, nel complesso, del tutto imbarazzanti. L’aspetto più preoccupante è l’intenzione di reintrodurre la leva obbligatoria, facendola passare insieme a un aumento sempre più consistente della spesa militare, a discapito delle necessarie spese socio-sanitarie.
Occorre inoltre tenere presente che, ad oggi, gli unici ad aver colpito direttamente l’Unione Europea, in particolare un’infrastruttura vitale, sono stati gli ucraini, in seguito alle azioni di sabotaggio del Nord Stream 1 e 2.
Insomma, se dovessimo prendere sul serio i nostri politici dell’Unione Europea, questo Natale dovremmo scambiarci armi con il sorriso: magari trovandosi sotto l’albero qualche armamento “necessario”, una divisa, un elmetto... Noi certo preferiamo un profilo senz’altro più tradizionalista e gradiremmo passare le feste di Natale in pace e trovare tanti regali divertenti e culturalmente di spessore. E credo proprio di non sbagliare se dico che la stragrande maggioranza delle persone in questo Paese e negli altri Paesi d’Europa è d’accordo con noi…