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Australia: non si può cantare vittoria per il successo laburista

Il trionfo laburista alle elezioni federali australiane del 3 maggio, contrapposto a una coalizione di destra allo sbaraglio, inaugura un secondo mandato di Albanese segnato da politiche liberiste, sostegno all’egemonia USA e repressione sindacale, come denunciato dal Partito Comunista.


Australia: non si può cantare vittoria per il successo laburista

Lo scorso 3 maggio, si sono svolte in Australia le elezioni federali per rinnovare la Camera dei Rappresentanti e metà dei seggi del Senato. Il risultato è stato un vero e proprio trionfo per il Partito Laburista (Australian Labor Party, ALP) guidato dal Premier Anthony Albanese, che ha rafforzato considerevolmente la propria posizione alla Camera, conquistando 93 seggi sui 150 in palio (un guadagno netto di 16 seggi rispetto al 2022), mentre l’opposizione di destra, incarnata dalla Liberal–National Coalition guidata da Peter Dutton, ha ottenuto soltanto 43 seggi, con una perdita di 10 rappresentanti. Il Senato, per sua natura più frammentato, resta in bilico: su 40 seggi rinnovati, il Labor ne ha conquistati 16 (portando il proprio totale a 28 su 76), la Coalizione 12 (totale 26), i Verdi (Australian Greens) 6 (totale 11) e i restanti seggi sono appannaggio di partiti minori e indipendenti.

Da segnalare il seggio ottenuto alla Camera dal Katter's Australian Party (KAP), una formazione socialista agraria del Queensland, che prende il nome dal suo leader fondatore Bob Katter.

Questa vittoria plebiscitaria alla Camera consolida il secondo mandato di Albanese come Primo Ministro e segna la più ampia maggioranza laburista in oltre sette decenni. Ma cosa spiegano questi numeri? Quali dinamiche interne e quali spinte sociali hanno condotto a un simile risultato? E, soprattutto, quali sono le ragioni di critica – sul piano economico, sociale e geopolitico – che muove il Partito Comunista d’Australia (Communist Party of Australia, CPA) nei confronti del nuovo governo Laburista?

 

Le ragioni del successo laburista

Come sottolineato da molti analisti, il Labor ha saputo capitalizzare il malessere crescente per il costo della vita, le difficoltà nel settore sanitario e l’emergenza abitativa. In particolare, la promessa di ripristinare il Bulk Billing – ossia il sistema di assistenza sanitaria gratuita al punto di erogazione – ha fatto breccia in un elettorato stremato da liste d’attesa e spese mediche elevate. Come ricordava un editoriale di The Guardian, il quotidiano del Partito Comunista (da non confondersi con l’omonima testata britannica): “Il Labor ha fatto un gran parlare di riportare in vita il Bulk Billing durante la campagna elettorale”, il che ha indubbiamente rappresentato un punto a suo favore, anche se ora il governo dovrà dimostrare di volerlo fare sul serio.

Al contrario, la Coalizione di Peter Dutton è apparsa agli occhi di molti elettori come troppo estremista, in particolare sul tema della sicurezza nazionale e della politica estera. La proposta di rilanciare un’agenda nucleare – già bocciata dagli australiani in passato – e l’ossessione per il rafforzamento del legame militare con gli Stati Uniti tramite l’AUKUS e il Force Posture Agreement (FPA) hanno finito per alienare il centro moderato dell’elettorato.

Inoltre, resta ancora vivido il ricordo dell’ultimo quadriennio di governo conservatore (2018-2002) sotto la guida di Scott Morrison, accusato di aver trascurato i problemi interni (casa, sanità, scuola) e di aver favorito interessi corporativi e fossili. Il Labor si è presentato come portatore di una piattaforma più equa e progressista, soprattutto sul clima: l’aver abbandonato l’idea di scommettere sul nucleare – definita “distrazione nucleare” da The Guardian – per puntare sulle nuove fonti energetiche ha convinto una fetta importante di elettori preoccupati per la crisi ambientale.

 

Il rovescio della medaglia: un’agenda liberista e bellicista

Nonostante l’entusiasmo per la vittoria laburista sia pur sempre preferibile a quella della coalizione conservatrice, il Partito Comunista d’Australia sottolinea che le politiche messe in campo dal Labor non rappresentano una reale rottura con il paradigma neoliberista colonialista e guerrafondaio che da anni caratterizza la politica di Canberra.

Ad esempio, nel corso dell’ultimo mandato, il Labor ha approvato riduzioni delle aliquote d’imposta per i redditi più elevati e ha incrementato i sussidi alle grandi aziende private. Questo approccio è in totale contraddizione con la retorica "pro-lavoratori" e il sostegno al Bulk Billing, che richiederebbe invece un significativo aumento delle risorse pubbliche proprio a danno delle esenzioni fiscali per i ricchi.

Contrariamente a quanto recita il nome “Labor”, poi, il governo di Anthony Albanese ha imposto una dura amministrazione straordinaria sul Construction, Forestry, Maritime, Mining and Energy Union (CFMEU), uno dei sindacati più combattivi del paese, dimostrando una politica fortemente anti-sindacale. Questa misura, motivata in nome della “trasparenza” e del “buon governo”, viene condannata dal Partito Comunista come un vero e proprio accanimento volto a spezzare la resistenza operaia e a sottoporre i lavoratori alla logica del profitto privato.

Inoltre, nonostante le promesse di maggiori tutele per i salari e la contrattazione collettiva, il nuovo aumento del salario minimo promosso dal governo stenta a superare l’inflazione e le condizioni di lavoro si mantengono precarie in molti settori. Il Partito Comunista chiede invece l’introduzione di un salario operaio dignitoso indicizzato al costo della vita, la riduzione dell’orario di lavoro settimanale senza perdita di salario e il diritto di sciopero pienamente garantito.

In materia ambientale, nonostante le buone parole, i nuovi progetti estrattivi e le concessioni minerarie hanno continuato a proliferare. Come evidenziato da Aidan Young su The Guardian, il Labor ha “continuato ad aprire nuovi progetti nei combustibili fossili e a sovvenzionare le grandi società che li gestiscono”. Il Partito Comunista respinge fermamente questa continuità con il passato, chiedendo invece una riconversione immediata verso un’economia post‑carbonio e la nazionalizzazione dei settori strategici dei trasporti e dell’energia.

In politica estera, il governo Laburista prosegue senza riserve il rafforzamento dell’alleanza bellica con Washington. L’Accordo AUKUS e il Force Posture Agreement (FPA) prevedono la costruzione di basi e depositi militari statunitensi sul suolo australiano, l’arrivo di sottomarini nucleari e l’accesso senza restrizioni di forze e contractor USA alle strutture nazionali. Secondo i comunisti, questi accordi “facilitano l’ampliamento della presenza militare statunitense in Australia, causano enormi spese per i contribuenti australiani e distolgono risorse pubbliche da bisogni sociali critici quali edilizia abitativa, sanità, welfare, istruzione, contrasto alla crisi climatica e infrastrutture per le energie rinnovabili”.

Per il Partito Comunista d’Australia, questa “difesa” costituisce in realtà un attacco alla sovranità nazionale e una minaccia per la pace nella regione Indo‑Pacifico. Qualsiasi apologia di un ruolo subalterno agli Stati Uniti, denuncia il Partito, favorisce lo scontro di potenze nella regione – con la Cina in primo luogo – e aumenta il pericolo di un’escalation militare.

 

La visione del Partito Comunista d'Australia

Alla luce dei risultati elettorali e delle politiche messe in campo, il Partito Comunista d’Australia rilancia una piattaforma di lotta e di costruzione di un’alternativa reale basata sui seguenti punti:

Riconversione ecologica: occorre un piano di nazionalizzazione delle fonti energetiche e dei trasporti pubblici, finalizzato alla rapida uscita dai combustibili fossili e allo sviluppo delle rinnovabili, con forma di democrazia diretta nei luoghi di lavoro e nei territori.

Sovranità nazionale e non‑allineamento: l’Australia deve ritirarsi dall’AUKUS e dal Force Posture Agreement, rompendo i vincoli militari con Washington e orientandosi verso una politica di non‑ingerenza e cooperazione con tutti i paesi della regione Indo‑Pacifico, compresa la Cina popolare.

Centralità del lavoro: rispedire al mittente ogni ipotesi di ulteriori attacchi ai sindacati e introdurre un salario minimo di sopravvivenza indicizzato, ridurre l’orario di lavoro a parità di salario e ampliare i servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, casa).

Democrazia partecipata: avviare processi di consultazione popolare e assemblee cittadine per ogni grande scelta di politica economica, sociale e ambientale, in modo da spezzare l’oligarchia partitica e restituire potere effettivo ai lavoratori e ai giovani.

Per il Partito Comunista d’Australia, la battaglia inizia ora: non basta celebrare la sconfitta delle destre, bisogna organizzarsi per un vero cambiamento di sistema. La politica non finisce con le elezioni: è sul terreno della mobilitazione operaia, dei comitati di quartiere e delle lotte ecologiche che si costruisce una prospettiva rivoluzionaria capace di dare corpo alle speranze di lavoro, pace e giustizia sociale.

23/05/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi
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